Musica

Per il Paese plurilingue, Raissa Avilés canta Alfonsina Storni

Inserita da Simonetta Sommaruga nella playlist che accompagna il suo anno di presidenza, l'artista ticinese interpreta 'Che direbbe'. L'intervista.

Raissa Avilés
17 novembre 2020
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Il titolo è ‘Presidenza in musica’. È la playlist della presidente della Confederazione. Sono “i dodici brani musicali che accompagneranno l’anno di presidenza. Sono simbolo della nostra varietà”, scrive Simonetta Sommaruga, promotrice di una compilation con artisti e interpreti svizzeri di provenienza varia, formanti, uno per mese, una rappresentazione del mondo della musica elvetica per regioni e realtà linguistiche. “La cultura è ciò che ci tiene uniti”, scrive Sommaruga. E visto che quest’ultima affermazione, in questi giorni, un po’ traballa, sul progetto preferiamo chiudere con un’altra citazione presidenziale: “In un Paese plurilingue e diversificato, essa è nel contempo un collante e una ricchezza”. Sottolineando la ricchezza.

Raissa Avilés, di madre svizzera e padre messicano, cantante attrice e insegnante, è ascoltabile da qualche giorno sul sito della Confederazione in un bellissimo adattamento di ‘Qué diría’, un brano di Rossana Taddei (uruguayana adottata dal Ticino) con testo dalla poesia di Alfonsina Storni (ticinese emigrata in Argentina) tradotta da Pina Allegrini (italiana). Brano diventato ‘Che direbbe’. E se non è plurilinguismo questo…

Raissa Avilés nella playlist di Simonetta Sommaruga. Come accade?

L’anno scorso sono stata contattata dal suo staff. Mi hanno comunicato che avrebbero avuto piacere ad avere un mio brano, chiedendomelo in lingua italiana. In quel momento stavo lavorando con Sara Magon, chitarrista del Sottoceneri. Con Sara da qualche tempo interpretiamo in italiano un brano di Rossana Taddei intitolato ‘Qué diría’, una poesia di Alfonsina Storni che Rossana ha musicato. È una canzone che mi piace molto per il testo e per la musica allegra, festosa e l’intenzione abbastanza giocherellona di Rossana. Mi è sembrato un ottimo brano da proporre in un’iniziativa del genere. Per il tema femminile del testo, per le mie radici latino-americane. La mia musica si basa soprattutto su quel repertorio, anche se sono ticinese. Lo stesso vale per Rossana Taddei, e per Alfonsina Storni, poetessa di origine ticinese emigrata in Argentina.

Alfonsina Storni ‘donna ultramoderna’ ben riassunta in quel “Che direbbe la gente se (…) mi tingessi i capelli di viola e d’argento”…

Sì, è una dichiarazione d’intenti molto moderna per l’epoca. Alfonsina Storni non è certo uscita dagli anni Ottanta (ride, ndr), viveva in un’epoca in cui le donne portavano la gonna sotto il ginocchio. E… guai! Era una donna che lavorava, ma era una delle eccezioni per la sua epoca. Anche per queste caratteristiche abbiamo scelto di seguire questo tema nell’arrangiamento del brano, dandogli un taglio un po’ pazzo. È un testo che parla della voglia di uscire dagli schemi, di azzardare, con il rischio di farsi prendere per pazzi. Abbiamo scelto di lavorare con armonizzazioni vocali, voci diverse che fanno suoni, canto, fischio. Con noi ha collaborato Simone Mauri, clarinettista molto bravo che ha usato la tecnica dello slap sostituendo le percussioni. Perché sono solo il clarinetto e la voce a formare la base ritmica, completata dal basso elettrico di Sara Magon. Ci siamo sbizzarrite, io e Sara insieme a Camilla Uboldi, arrangiatrice che ha catturato subito lo spirito della nostra proposta e ha portato il tutto ai massimi livelli. È una collaborazione che mi rende molto felice.


Sara Magon

Scrivi sulla tua pagina facebook: “Ecco, siamo di nuovo ridotti all’osso”. Hai firmato la lettera aperta della cultura al governo. Qual è lo stato d’animo?

Al di là di questa triste situazione manifestatasi questa settimana, è uno stato d’animo altalenante. Chiaramente, voglia di rinchiudermi in un altro lockdown, di dover vivere ancora a lungo così non ne ho, per la mia vita personale e per quella professionale, che in fondo coincidono. Non mi sento di lamentarmi del fatto che le cose stiano andando in questo modo, in generale. Prima o poi era possibile che ci sarebbero state difficoltà e che si sarebbe dovuto prendere provvedimenti. Però la sensazione è stata di stupore, lo stupore di quando non sai se ridere o piangere. Io non sono un’esperta, ma credo di poter dire che difficilmente sarebbe successo con i commercianti o i ristoratori: dare un preavviso di sette ore per la chiusura di un’attività è fondamentalmente ridicolo, ancor più in un settore come questo e solo una settimana dopo l’aver preso misure, da cui il doversi riorganizzare.

sia un posto più a rischio di altri, che restano aperti, pare chiaro si tratti di un triste abbaglio…

L’ho vista come un errore, molto sintomatico di com’è percepito il ruolo dell’artista qui da noi, nel nostro cantone in particolare ma anche in generale. Al di là delle buone e cattive intenzioni, sarebbe stato bello che alla correzione, o alla presa di coscienza di questo errore, si fosse accompagnata un’autocritica, cosa che non mi è parso di percepire da parte delle autorità, confermandomi una tendenza che mi pareva tale anche prima della pandemia, ovvero la sensazione che il nostro mestiere non sia considerato un mestiere, piuttosto un’attività per cui sì, si guadagna qualcosa, ma ci dobbiamo accontentare e poco importa. È vero che è una qualità quella di volere e di poter fare con poco; questo però non significa che non si possa tener conto di cosa comporta e di quanto sia fondamentale per la crescita delle proposte artistiche del nostro cantone avere un contesto economico e amministrativo più solido. È una difficoltà, questa, contro la quale ci scontriamo da anni, io e i miei colleghi.

Domenica sarai nella ‘Zona 30’ del Sociale con ‘Verso suelto’, i classici della musica latinoamericana. Virus permettendo, ci tornerai in gennaio e in aprile…

Sì, domenica sarò a Bellinzona con Pedro Martinez-Maestre al contrabbasso e Alix Logiaco alle tastiere. In gennaio ci sarà lo spettacolo ‘Il dolore’, di e con Margherita Saltamacchia e con Rocco Schira. Ad aprile, invece, debutta il mio nuovo progetto musicale performativo, che si chiama ‘Maybe a concert’.

Il ‘Maybe’ (forse, ndr) è preveggenza?

(Sorride, ndr) Non pensavo, ovviamente, alla situazione che si è venuta a creare adesso. Però sì, è un titolo che ho scelto quest’estate e che mi è sembrato avesse a che vedere con l’aspettativa e l’incertezza. D’altra parte, non possiamo creare non tenendo conto delle circostanze. ‘Maybe’ porta con sé l’aspettativa, ma è anche una richiesta di permesso, un concetto che mi accompagna da tempo, l’indefinizione, la possibilità di essere questo o quello, una domanda sull’identità. Oggi questo ‘Maybe’ acquista ulteriori significati. Quindi, vedremo di farne tesoro.


In formazione 'Zona 30', domenica 22 novembre al Sociale

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