Spettacoli

Kureishi ha inaugurato gli insoliti Eventi letterari 2020

Lo scrittore anglo-pakistano, in collegamento da Londra, ha parlato della pandemia e delle nuove prospettive che ci attendono

31 ottobre 2020
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«Eccoci qui a inaugurare un festival inconsueto». Che poi il “qua” al quale giovedì sera ha fatto riferimento Paolo Di Stefano, direttore degli Eventi letterari Monte Verità, è ubiquo: lui nella sua casa di Milano, il pubblico diviso tra Palacinema (una cinquantina, ben distanziati e con mascherina) e chissà dove con lo streaming, la moderatrice, la giornalista Alessandra Coppola, presente in sala e l’ospite, lo scrittore Hanif Kureishi, a Londra.

Un misto presenza e virtualità che potrebbe diventare la “nuova normalità”. «Se ci sarà, una nuova normalità: è una cosa che incuriosisce anche me. Per ora mi sembra che viviamo in un’epoca di crisi permanente» ha affermato in un certo punto Kureishi, rispondendo a una domanda su come è cambiata la sua città.

Romanziere, drammaturgo e sceneggiatore, Kureishi è nato a Londra nel 1954 da padre pakistano e da madre inglese: autore sempre attento alle trasformazioni sociali, chi meglio di lui per cercare di portare un nuovo sguardo su questi giorni «tristi e tenebrosi»? Certo, ci troviamo in una situazione che «non ha precedenti, qualcosa che non è mai successo e che spero non succederà più», quindi «è inutile che lo chiediate a me, non sono la persona giusta per dire cosa sta accadendo». E in effetti qualche rassicurante luogo comune l’ha infilato, come il lockdown occasione per imparare qualcosa su sé stessi e sul mondo, il disagio di non vedere più i volti nascosti dalle mascherine, persino un accenno a chi si è ritrovato chiuso in casa con una persona con cui mai si sarebbe aspettato di restare 24 ore su 24 ore, facendo quasi temere di aver firmato la sceneggiatura di un film di Vanzina (soprattutto quando ha rassicurato di avere «una compagna italiana a cui voglio molto bene»).

Ma poi, ecco l’attento narratore che a una domanda sulla Londra del lockdown, con i solitari giri in bicicletta in zone solitamente trafficate, non solo si interroga sul futuro della città, con quartieri di uffici ancora deserti, ma anche sul suo presente, su quella gioia che lui, cresciuto in periferia, aveva provato quando si era trasferito a West London perché era una zona viva, «mentre con il tempo si è insterilita, troppi ricchi».

E ancora, l’osservatore della società multietnica che ricollega la paura istintiva che, per paura del contagio, proviamo verso gli sconosciuti che incontriamo per strada alla diffidenza che sempre hanno accompagnato le minoranze. Così il 2020 non è più solo l’anno della pandemia, ma anche l’anno di Black Lives Matter, di un nuovo modo di pensare la pelle bianca, all’avere la pelle di un altro colore, all’essere minoranza, ai privilegi, alla storia, ai nostri vissuti. «È un movimento che cambierà l’Occidente»: probabilmente un’esagerazione, ma forse è davvero il momento di affrontare i problemi del razzismo, di guardare la storia da un’altra angolazione, di costruire una nuova narrazione attraverso i mass media e, ovviamente, anche la letteratura.

Scontata, a questo punto, la domanda sui nuovi autori. Tutt’altro che scontata la risposta: «Non leggo i romanzi dei nuovi autori: guardo i film, guardo la tv, leggo saggi di storia, filosofia, sociologia ma i romanzi dei nuovi scrittori no, non so neanche io il perché ma mi sono stufato». Tuttavia, ha proseguito Kureishi, ci sono scrittori asiatici e africani che si sono affermati a livello mondiale e «ne sono felice perché la letteratura può progredire solo quando ci sono nuove voci, quando qualcuno afferma “che modo strano e interessante di scrivere”». È un bene che si aprano nuovi spazi, «che ci sia interesse per questi autori, così come è successo a me quando ero giovane».

Appunto, i giovani: Kureishi è docente di scrittura creativa, e le opere dei suoi studenti le legge ma «non sono abbastanza coraggiosi, tendono a volare basso mentre io li incoraggio a osare, a essere audaci». Anche perché abbiamo bisogno di nuove scritture, di nuove parole, di nuove metafore per raccontare il virus e la pandemia.«La lingua è sempre indietro: prima accade un evento e solo dopo si trovano le parole per descriverlo e noi adesso dobbiamo trovare il linguaggio per una cosa inusitata».

Concludiamo con quella che in realtà è stata la prima domanda di Alessandra Coppola: le ‘Grandi speranze’ che fanno da titolo a questa edizione degli Eventi letterari. Pensate per l’anniversario dickensiano – 150 anni dalla morte – con la pandemia hanno assunto un nuovo significato. «Al momento non abbiamo alcuna speranza» la risposta secca di Kureishi. Certo, magari chiuso in casa c’è qualcuno che ha scritto o sta scrivendo ancora e verranno fuori quelle nuove, importanti narrazioni di cui abbiamo bisogno. «MMa io durante il primo lockdown ho scritto pochissimo, e lo stesso anche per i miei amici scrittori». Solo questa estate ha ritrovato la voglia di scrivere: il testo per uno spettacolo teatrale che doveva debuttare a dicembre a Torino: ‘The Spank’, la sculacciata, con Filippo Dini. «È incoraggiante lavorare, pensare a un progetto», anche se al momento pare difficile che i teatri riapriranno in tempo.

Eppure, nonostante si avvicini un lockdown più buio del primo, per la stagione e per lo spirito, nonostante la Brexit che sigilla il declino del Regno Unito, alla fine Kureishi si è detto ottimista: «Siamo alla fine di un’epoca, ma ci possiamo inventare qualcosa di nuovo: non è detto che dobbiamo essere una nazione ricca e potente, possiamo riorganizzare su altri valori come la comunità, l’uguaglianza, la libertà, l’integrazione delle minoranze».

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