Spettacoli

State umani se potete (intervista a Francesco Tesei)

Dai Simple Minds al Mentalismo con Il più noto mentalista italiano, giovedì 14 novembre a Chiasso con ‘Human’, due ore per stupirsi e riaccendere il cervello

‘Sono riuscito nella magia di portare una che abitava a Zurigo a vivere a Forlì’ (© Gianluca Colagrossi)
8 novembre 2019
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Il pensiero che ci assale mentre parliamo con Francesco Tesei, il re dei mentalisti italiani, è che conosca già le domande e si sia preparato le risposte. Pensiero avvalorato dal fatto che sua moglie Nicole è svizzerotedesca. «Sono riuscito nella magia di portare una che abitava a Zurigo a vivere a Forlì – dice – e se non sono un mentalista io…». Forti del fatto che “mentalismo non significa lettura del pensiero”, parole sue, la piacevolezza del suo esporre spazza via ogni timore e rende tutto molto ‘Human’, per dirla col nuovo spettacolo scritto insieme a Deniel Monti, al Cinema Teatro di Chiasso giovedì 14 novembre alle 20.30 (prevendita anche su www.ticketcorner.ch).

“Tu non sei umano…”, ti hanno detto. È da lì che nasce ‘Human’.
È vero. Succede che alla fine di uno show il pubblico rimanga un po’ sbalordito da quel che accade. Questa frase mi è rimasta in testa fino al giorno in cui, cominciando a pensare al terzo spettacolo, l’ho messa in prospettiva col fatto che il mentalismo ha bisogno di aspetti tipicamente umani per funzionare. Quando mi chiama una radio per un’intervista, per esempio, capita che mi chiedano “Ci puoi fare qualcosa in diretta?”. E io rispondo che al telefono sono come un cannone con le polveri bagnate, perché non li posso vedere. Il mentalismo utilizza il rapporto diretto con le persone, che è fatto anche di quella capacità di decodificare il linguaggio non verbale, le espressioni del viso, le pause, i silenzi, elementi tipicamente umani che si stanno un po’ perdendo, oggi che siamo sempre meno faccia a faccia e sempre più davanti allo schermo del nostro cellulare.

Introducendo ‘Human’, infatti, si parla di un obiettivo preciso. Cito testualmente: “Il mentalista vuole ripescare l’umano che è in ogni persona (…) attraverso sentimenti veri invece delle gratificazioni istantanee cui i social network ci hanno abituati”…
Esattamente. Dopo anni si cominciano a vedere i lati oscuri delle relazioni personali. Le amicizie che nascono sui social sono una specie di surrogato di quelle vere, prodotti a volte anche tossici che possono indebolire la capacità di socializzare nel mondo reale e favorire  in alcuni casi l’insorgere di forme depressive. Colpa dell’ansia un po’ narcisistica di mostrare una versione photoshoppata di sé, quella di chi sembra vivere una vita al top per la tendenza di ognuno a privilegiare gli highlights della propria vita invece che la noia. L’impressione, per qualcuno, è che tutti gli altri stiano facendo cose mirabolanti e soltanto lui è rimasto indietro. Volevamo, io e Deniel, toccare proprio questo argomento, restando però nella cifra stilistica di qualcosa che non è una conferenza sull’argomento.

Perché è pur sempre spettacolo...
Certamente. Volendo farne una conferenza si farebbe fatica a raccogliere un pubblico giovane disposto ad ascoltare. Diciamo che la premessa è quella di uno spettacolo in cui ci si diverte tanto, si resta a bocca aperta, si gioca insieme, ma con la possibilità di far passare qualche messaggio che possa suscitare riflessione, affinché il mentalismo non si esaurisca in “pensa a una parola: ecco ho indovinato la tua parola”, “pensa a un numero: ecco, ho indovinato il tuo numero”.

Il Tesei mentalista, quindi, fa un altro passo verso il Tesei divulgatore...
Verso il tipo di mentalista che mi piacerebbe essere, direi, che io definisco un frullatore che contiene un illusionista, uno psicologo, un esperto di comunicazione e una piccola dose di alcol, dal quale esce il cocktail che sono io. La sensazione che registro al termine degli spettacoli è che siano tutti in preda a quell’ebbrezza di quando si bevono due birre. Non si è sbronzi marci, ma euforici e con gli occhi un po’ luminosi.

Anche il Tesei mentalista è nato però con la mitica scatola di Silvan...
Sì, avevo sette-otto anni e la scatola, quella col coperchio giallo, era della mia vicina di casa. Poi i miei genitori me ne comprarono una tutta per me. Raul Cremona dice “un mago è un bambino al quale hanno regalato una scatola di magia e che trent’anni dopo ci sta ancora giocando”. Uno per fare da grande il mago di professione dev’essere rimasto in parte bambino, in senso buono e romantico. Frase ironica, ma vera.

Poi, un certo punto, con l’illusio­nismo, hai smesso...
Non voglio dire di aver chiuso la porta in faccia, perché il mentalismo è anche illusionismo, altrimenti sarei chiuso in un laboratorio per essere studiato. È successo che intorno ai trent’anni ha iniziato a starmi un po’ stretto il sottotesto dell’illusionismo, che è più o meno “Io so che voi sapete che c’è un trucco, però se io sono abbastanza bravo come illusionista voi non riuscirete a capire qual è”. Punto. Avevo girato il mondo con uno spettacolo in cui non dicevo una parola e mi ero detto che se quello che volevo fare davvero era il teatro, allora serviva qualcosa che potesse parlare al pubblico, che andasse oltre il foulard che sparisce nella mano o l’assistente tagliata a metà. E l’ho trovato nel mentalismo, che attraverso un’inganno di percezione ti concede la possibilità di trasmettere concetti reali e ancorati alla vita quotidiana, cosa che è il compito dell’arte in generale. Mi viene in mente Magritte che realizza il quadro con la pipa, e sotto la pipa ci scrive “Questa non è una pipa”. L’arte è sempre una simulazione, una rappresentazione della realtà. A variare sono gli strumenti: un poeta lo fa con le parole, un pittore con i pennelli e i colori, un mentalista con tecniche che in parte arrivano dall’illusionismo, in parte dalla psicologia, per creare una rappresentazione della realtà dal sottotesto in dialogo col mondo reale. 

E la batteria, che fine ha fatto?
Sono stato un mediocre batterista e adesso sono un ex-mediocre batterista. Suonavo in un gruppo che faceva canzoni proprie insieme a quelle dei Marillion e dei Simple Minds.

E la mente, da semplice, è diventata complessa. A proposito: non è preoccupante vivere con uno che è allo stesso tempo illusionista, psicologo ed esperto di comunicazione? Penso a tua moglie Nicole...
Ad essere sincero, all’inizio un po’ era preoccupata. Soprattuto quando per la serata mi proponeva di andare in un determinato posto, io rispondevo che era la stessa cosa le avrei chiesto e lei voleva sapere se la sua scelta fosse avvenuta liberamente o se l’avessi condizionata io. Ci ho giocato un po’ su questa cosa, fingendo di averla ipnotizzata. E può anche essere che sia ancora ipnotizzata… (ride, ndr).

E invece...
E invece, alla fine, quel che vado a prendere dalla psicologia, per esempio, sono spunti che cerco di trasformare in esperienze da far vivere alle persone dentro un teatro. Non credo di mettere in imbarazzo più di quanto non potrebbe fare qualsiasi psicoterapeuta o psicologo. La componente di leggere nel pensiero portata a questi livelli è tale perché agganciata a una buona dose d’illusionismo. 

... in nome dell’umana e inesauribile necessità di essere stupiti...
È bello essere stupito. Mio figlio che ha due anni e mezzo sgrana gli occhi in continuazione. La sua vita è fatta di continui momenti di meraviglia da condividere con noi, che è una cosa che scolora man mano che si cresce. Oggi è difficile meravigliarsi. Credo che il mondo non finirà per mancanza di cose meravigliose, ma per la mancanza di meraviglia, che non è qualcosa fuori da noi, ma uno stato d’animo, quella predisposizione per le cose che ci circondano che può aiutare a vedere la meraviglia che ci sta intorno.

 

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