Spettacoli

'Hai 40 anni e 2 figli: vergognati!' (Antonio Ornano e il Boss)

Nel giorno del 70esimo compleanno di Springsteen, intervista al comico (e fan) genovese, a gennaio a Locarno: 'È una forma di educazione sentimentale'

"Pur non conoscendo nulla, la prima volta su 'Badlands' già piangevo come un vitello" (YouTube)
23 settembre 2019
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Con ‘Partigiano Reggiano’ (così ‘simile’ a ‘Cry me a river’ di Joe Cocker) uno pensa di avere esaurito le ‘ispirazioni’ di Zucchero, e invece quello spietato di Antonio Ornano, devoto del Boss, fa notare che ‘Solo una sana e consapevole libidine (etc)’ ha una successione di note che 'ricorda’ quelle di ‘I’m on fire’. Lo spoiler giunge da una serata milanese di ‘Non c’è mai pace tra gli ulivi’, spettacolo multi sold out al Teatro Manzoni la scorsa primavera, in arrivo a Locarno sabato 25 gennaio 2020 (www.biglietteria.ch). Il tutto in attesa de 'L'Ornano Furioso', spettacolo tutto nuovo che debutterà a Genova, sempre nel nuovo anno. «Premetto che all’inizio il Boss per me era mainstream», spiega l’attore. «Mi sentivo molto più fico con Siouxsie and the Banshees, i Cure, gli Smiths, forse perché ero nel periodo triste; oppure i Van Halen, che erano dei terroni meravigliosi!». Andando per ordine...

Antonio Ornano, perché si ama il Boss?

Credo per la maniera di esprimere la sua arte e per come si pone nei confronti di chi lo ama. ‘Springsteen On Broadway’, per esempio, è una forma di educazione sentimentale nella quale si mette a nudo; cosa che per altro fa sempre, ma in quello show è ancora più palese. E poi ci sono i testi, quella capacità di scendere nel profondo di un artista che nonostante milioni di fragilità, che sono poi fonte di empatia, ancora viene a patti con le debolezze e le trasforma in piccole opere d’arte. Detto fuori dai denti, secondo me ‘Springsteen On Broadway’ è da far vedere nelle scuole...

Nel tuo caso com'è andata? Hai visto la luce come Javed in 'Blinded by the light'?

No, io il Boss l'ho scoperto tardi. Avevo 37 anni e tutta una serie di pregiudizi su di lui. Paradossalmente è stata una fortuna, perché l’adorazione maniacale rischia di farti trascurare un universo musicale enorme e amare il Boss non significa disconoscere il resto. Fino ai 36 anni sono stato piuttosto onnivoro. Per me la musica significava chiudermi in camera con il walkman prima di addormentarmi, ascoltarmi tutti i dischi, esplorare nuovi generi, leggermi tutti i testi, provare empatia con le storie e anche un po’ imparare l’inglese. E quando ho iniziato a recitare la musica è significata anche scegliere quella da usare sul palco, cosa che faccio ancora oggi.

Il fan intervistato sul proprio idolo risponde generalmente a due scontatissime domande di rito. La prima: la canzone che ami di più?

Mi piace tantissimo ‘Bobby Jean’, perché è una delle canzoni più belle sull’amicizia che siano mai state scritte. Ma ci sono anche vecchie cose che ho scoperto solo di recente, che è un concetto che se adesso mi sentisse parlare un vero fan del Boss mi bestemmierebbe contro...

La seconda domanda di rito: la tua prima volta con il Boss?

Fu dieci anni fa. Al primo concerto mi ci portò il mio testimone di nozze, il maieuta che avevo sempre deriso, lui fanatico di Springsteen mentre io ascoltavo i Pixies, Peter Gabriel, i Pearl Jam. Andai con lui a Torino giusto per passare un po' di tempo insieme. Pur non conoscendo nulla, sulla seconda canzone, che era ‘Badlands’, piangevo già come un vitello. E poi ricordo la mia prima volta nel pit a San Siro, quando tornai a Genova alle cinque del mattino: mia moglie (universalmente nota come ‘Crostatina’, ndr) si svegliò per chiedermi com’era andata; le dissi che era stato un concerto straordinario, e per darle un’idea di quanto, le comunicai che avevo pianto quattro volte. Mi rispose: “Hai 40 anni e due figli: vergognati”.

Chiudiamo con quel video di Zurigo che è entrato anche nei tuoi spettacoli?

Ok. Siamo nel 2016. Gli svizzeri sono proprio come uno se li immagina, precisi, ordinati, nessuno che fa casino, entrano tutti all’ultimo minuto; gli unici davanti alle transenne siamo noi italiani in trasferta, sotto la pioggia, pronti a tutto; da buoni genovesi non abbiamo il biglietto del pit, ci siamo attaccati alle transenne vicine al palchetto sul quale speriamo che il Boss salga per ‘Hungry Heart’; malgrado la pioggia, lui arriva e dopo alcune gomitate in faccia date a distintissime signore svizzere, io e il mio testimone di nozze riusciamo a toccargli la mano come la si tocca a un santo, iniziando a ballare e a gridare come due cretini tra gli zurighesi smarriti. Ecco, vista oggi fu una cosa da vero italiano medio, una cosa di cui dovrei vergognarmi, ma sarebbe solo un misero tentativo di dare un’immagine migliore di me, perché, lo giuro, quel giorno pur di toccare il Boss sarei passato sopra il cadavere di mia madre...

 

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