Ticino7

Yor Milano fa ottanta

Incontro con un menestrello della risata, che martedì si esibirà al Lac

(Ti-Press)
26 maggio 2018
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Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.

Sembra un incipit di basso giornalismo, ma è la verità: entrare in casa di Yor Milano, nel giorno del suo ottantesimo compleanno, è come ritrovarsi sul palco di un suo spettacolo. Non solo perché la gestualità, le battute, lo sguardo stralunato dell’enfant terrible restano gli stessi; ma anche perché fra la sala nella quale ci troviamo e la cucina si genera un viavai da commedia degli equivoci, con la moglie Silvana che lo aggiorna sui messaggi di auguri, e coglie l’occasione per fare il controcanto ai racconti del marito. Guardandolo con quella paziente tenerezza che è il sintomo di un amore irreversibile, chiaramente ricambiato. E senza rinunciare all’ironia. Come quando gli chiedo se è stata dura tirare su cinque figli, e al «per niente» di Yor si accoda subito la voce di Silvana: «Eh certo, perché non ci sei mai!». O quando lui si lamenta perché non ricorda un nome – «ogni tanto l’età si fa sentire!» – e lei lo consola: «Guarda che sei sempre stato così…». Salvo sentirsi dare della «zurighese» quando gli rinfaccia di essere disordinato. Poi squilla il telefono, un altro buon compleanno, e Yor tuona nella cornetta: «Sto benissimo caro, non vuole andare male!». È una casa in cui gli affetti seguono il canovaccio dell’allegria, e verrebbe voglia di farsi adottare.

Il palco, un vecchio vizio

L’occasione per incontrare Yor è anche quella del suo «ultimo spettacolo» – dobbiamo crederci? – che andrà in scena al LAC martedì 29 maggio. Silvana lo sgrida subito, perché «la gente non ha ancora capito cosa farai quella sera, devi spiegarglielo». Ma lui non rinuncia alle allusioni sibilline: «Farò quello che so fare, e che forse il pubblico ticinese non conosce». E svicola subito a parlar d’altro.

Forse sarà proprio questo, lo spettacolo: un divertito divagare sulle tracce dei ricordi, riscoprendo le molte facce di un’esperienza artistica. Perché Yor Milano non è solo «quello delle commedie dialettali», ma anche un musicista, rumorista, ventriloquo, direttore di crociera. Direttore di crociera!? «Eh sì, ho fatto anche quello. Ho iniziato alla fine degli anni Sessanta, organizzavo gli spettacoli e l’intrattenimento. Un viaggio costava diecimila franchi, era pieno di signori. Ho conosciuto anche Juan Carlos di Spagna, per esempio. Ho imparato a divertire un pubblico che parlava dieci lingue diverse». Musica, pantomime, versi (se lo incontrate in giro, chiedetegli di farvi il cavallo con la carrozza: «Sono l’unico al mondo che riesce a fare due rumori contemporaneamente»; riesce a essere autoironico anche nel vantarsi). È durante una crociera sulla famosa Achille Lauro che ha incontrato Silvana, portata a Cureglia dopo dodici anni «da pendolari dell’amore».

Ci sarà la musica, al LAC, questo è certo. Quella dei 40 elementi della Castagnola Big Band, ma anche quella che Yor ha imparato sulle ginocchia dei genitori – lui violinista, lei contrabbassista – in un’infanzia nomade ai quattro angoli della Svizzera. Tanto che sembrerà paradossale, ma è nato a Delémont e in Ticino ci è arrivato solo a 12 anni. «Mia madre era di Milano, ma mi parlava in francese. Così sono cresciuto bilingue, e quando sono tornato scrivevo l’italiano come se fosse francese, coi que al posto dei che». E non è stato facile ambientarsi nella scuola bigotta dell’epoca: «Suonavo in giro, e all’epoca questo bastava per farti una cattiva reputazione. Se ero troppo esuberante mi dicevano: ‘Non siamo in una sala da ballo’. Mi hanno massacrato, come tanti ragni davanti a una piccola mosca».

La musica nel sangue

Ovviamente, non poteva bastare qualche professore ingrugnito a tenere lontano dalla musica uno come lui, che se la porta perfino nel nome: «Yor lo ha pescato mia nonna, cantante lirica. È il tenore protagonista nell’Iris di Mascagni, un’opera stupenda ambientata in Giappone». Milano, invece, è un cognome d’arte: «Quello vero è Pasquali, ma quando facevo le tournée in Europa suonava male, lo storpiavano tutti».

Dalle prime esibizioni adolescenziali a fianco del padre – che suonava anche nell’orchestra Radiosa, nel 1958 – Yor è infatti passato ad alcune delle più strepitose band dell’epoca. Come quella di Luc Hoffmann, giunto qui per esibirsi alla leggendaria Romantica. «Facevano jazz di tutti i tipi, ma gli mancava la canzone italiana». Voce, batteria, intrattenimento. Prima a Melide, poi in tutto il continente. «E pensare che alla fine la Romantica l’hanno buttata giù: è emblematico».

Non è che sia sempre stato tutto un successo, sia chiaro: «Una volta mi misi in testa di mettere insieme un quartetto. Ma musicalmente facevamo talmente schifo che il gerente di un club di San Gallo, il Trischli, ci cacciò dopo due serate. Fu un’umiliazione terribile». Salvo poi ripartire con un altro quartetto da Capo San Martino, «col campeggio pieno di ragazze svedesi e danesi, che attiravano i giovanotti locali a sentirci». E via ancora, stavolta con un’orchestra italiana «insieme a Nanni Jannello, un ottimo pianista che disse di no ad Aznavour perché aveva paura di volare. Nel 1966, alla Rsi, le trasmissioni venivano sospese dalle 9 alle 11. Sono riuscito a farmi dare quello spazio e inventai Radiomattina, una trasmissione informale, nella quale mi rivolgevo alle casalinghe e agli automobilisti come se fossi seduto accanto a loro. Avevo ascoltato per mesi Europe 1, dove Maurice Biraud spopolava e io adattai la formula in italiano, per primo in assoluto in lingua italiana».

L'arrivo alla commedia

«Ma il grande successo lo fece Il microfono in tasca, scherzi telefonici che facevo sotto le vesti di un improbabile ‘Signor Hüttliman’ che parlava con un forte accento svizzerotedesco; mi ricordo che una volta, eravamo sotto Natale, chiamai cinque hotel di Lugano, chiedendo se potevano ospitare gratis una coppia di profughi. ‘Lei è incinta, non pozzono pacare, ma lui è falegname, può aiutare se afete qualke porta ke cigòla…’. Nessuno capì l’allusione, e soprattutto nessuno li prese».

Partecipò poi al nuovissimo varietà Rai Non Stop di Enzo Trapani. Eppure non si può dire che il pubblico italiano abbia saputo apprezzare Yor Milano: «Era una comicità di gusto francese che apprezzavano molto i colleghi, come Massimo Troisi ed Enrico Beruschi, ma non il pubblico». Meglio, molto meglio lo schermo svizzero, conquistato a partire dal 1968. Quando le fiction si chimavano ancora sceneggiati. «Bisogna ringraziare Vittorio Barino, uno dei grandi della tele, che seppe dare spazio a progetti del tutto nuovi. E che poi è diventato autore di quasi tutte le nostre commedie, insieme a Marta Fraccaroli, senza mai fare un solo flop. Producemmo perfino due puntate di Arsenio Lupin per la televisione francese». E poi le tombole, il Superflip della domenica, una serie innovativa come Boxershorts. Programmi che hanno segnato l’immaginario di un’epoca (frase fatta, d’accordo, ma quando ci vuole ci vuole).

La tradizione nel Tepsi

E poi al LAC ci sarà anche il dialetto, ça va sans dire. Quel dialetto che Yor ha contribuito a tenere vivo attraverso il Tepsi (Teatro popolare della Svizzera italiana), ibridandolo con i grandi testi della commedia internazionale e dimostrando così che «la radice popolare non ha limiti né confini». Un messaggio che ha spiazzato alcuni, forse perché scombina le categorie ideologiche correnti, proponendo l’idioma di «casa nostra» come veicolo di un messaggio universale. Un modo per far capire che tradizione non significa chiusura, che «il bello di una società multiculturale è che ognuno ci mette del suo: e noi ticinesi ci possiamo mettere anche il nostro dialetto». Senza mai dimenticare quella leggerezza che, come notava Italo Calvino, è la cifra inconfondibile della vera cultura. Ma questa storia la conoscete, anche se l’appuntamento del LAC sarà una buona occasione per ricordarsene in modo originale. Lasciamoci stupire.

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