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La fiducia nella scienza resiste

Una ricerca condotta in 68 paesi, Svizzera inclusa, mostra che la popolazione si fida di scienziate e scienziati. Con alcune differenze notevoli

(keystone)
21 gennaio 2025
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La notizia della morte della scienza è grossolanamente esagerata: potremmo riassumere così, parafrasando la celebre smentita di Mark Twain al suo prematuro necrologio, il risultato di una ricerca internazionale sulla fiducia in scienziate e scienziati che si mantiene relativamente alta, nonostante quello che ci si potrebbe aspettare seguendo certi dibattiti sulla salute pubblica o la crisi climatica. A livello mondiale, quasi quattro individui su cinque considerano qualificate le persone che fanno ricerca, e poco più di uno su dieci pensa che siano disoneste o non abbiano a cuore il benessere dell’umanità. I risultati peggiori, comunque non drammatici, riguardano l’apertura al dialogo: per tre persone su cinque scienziate e scienziati dovrebbero ascoltare maggiormente la cittadinanza.

Questa ricerca, pubblicata negli scorsi giorni su ‘Nature Human Behaviour’ e condotta da un team di 241 ricercatori e ricercatrici tra cui Viktoria Cologna dell’Università di Zurigo, ha coinvolto quasi 72mila persone in 68 paesi, rappresentativi di circa l’80% della popolazione mondiale. È il primo studio sul tema di questa ampiezza e che dedica particolare attenzione ai Paesi del cosiddetto “Sud globale”. Le differenze che emergono a livello nazionale sono infatti una delle parti più interessanti e forse sorprendenti di questo lavoro: i Paesi con la maggior fiducia in scienziate e scienziati sono l’Egitto, l’India, la Nigeria e il Kenya. La Svizzera si posiziona al 47° posto, nella fascia medio-bassa della classifica, dietro a molti paesi africani e del Nord Europa, ma in linea con Germania, Francia e Austria e in ogni caso davanti a Russia e alcune ex repubbliche sovietiche.

L’analisi demografica rivela altri aspetti interessanti anche se in parte già noti: la fiducia nella scienza è generalmente più alta tra le donne, le persone anziane, chi vive in aree urbane e ha redditi più elevati. Il livello di istruzione, che ci si potrebbe aspettare essere un fattore importante, è invece debolmente correlato alla fiducia in scienziati e scienziate; per contro, la religiosità non è associata a una minore fiducia nella scienza e, anzi, a livello globale le persone religiose tendono ad avere una idea più positiva della scienza.

La politica conta. Le gerarchie sociali di più

Per quanto riguarda la politica, in molti paesi (tra cui la Svizzera) le persone con orientamento conservatore tendono ad avere meno fiducia in scienziati e scienziate. Tuttavia, questa correlazione non è universale: in alcuni paesi dell’Europa orientale, del Sud-est asiatico e dell’Africa sono invece le persone progressiste a mostrare livelli più bassi di fiducia, un aspetto poco noto visto che come detto le precedenti ricerche si concentravano sui paesi occidentali. Lo studio rivela anche l’importanza dell’orientamento alla dominanza sociale (Sdo), ovvero la tendenza a sostenere le gerarchie sociali e le disuguaglianze tra gruppi. Chi mostra alti livelli di Sdo tende ad avere meno fiducia nella comunità scientifica, una tendenza che, al contrario di quella con l’orientamento politico, non varia significativamente tra paesi e culture diverse.

La ricerca ha anche indagato quali dovrebbero essere, secondo la cittadinanza, le priorità della ricerca. A livello globale, emerge al primo posto la salute pubblica, seguita dalle questioni energetiche e dalla lotta alla povertà. Al contrario, la ricerca militare è considerata sovradimensionata: la comunità scientifica vi dedicherebbe insomma troppa attenzione rispetto alle aspettative della società.

Gli aspetti sui quali migliorare, come si vede, non mancano (e i risultati dettagliati si possono esplorare sul sito interattivo isp.shinyapps.io/TISP). Ma il quadro generale è positivo: l’impressione di una crisi di fiducia nella scienza sarebbe dovuta all’ampio spazio occupato nel dibattito pubblico dalle “minoranze scettiche”, soprattutto quando tra di esse vi si trovano persone in posizioni di potere. Una visibilità che, come scrivono autori e autrici dello studio, può influenzare il dibattito pubblico, portando a decisioni non basate sulle evidenze scientifiche. Cosa che, dopo una pandemia e di fronte a una crisi climatica, nessuno dovrebbe augurarsi.