società

Dopo il vuoto del noma, si può ancora sorridere

L’infezione deturpante ha pesanti ripercussioni psicologiche e sociali. Intervista alla psicologa di Msf La Gattuta, in missione a Sokoto fra 2018 e 2019

In sintesi:
  • L'emozionante documentario di Claire Jeantet e Fabrice Catérini ‘Restoring Dignity’
  • La malattia in un contesto dove non c’è una medicina di base diffusa, ha conseguenze disastrose, anche fatali
In cura
(© Fabrice Catérini/Inediz)
24 maggio 2023
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Succede all’improvviso. Umar ha male ai denti, gli viene data una medicina tradizionale, ma nel giro di qualche giorno lo zigomo sinistro si infetta. Si forma un buco e l’infezione cammina verso gli occhi. Umar ha sette anni e ha contratto il noma. Viene curato e subisce un intervento chirurgico ricostruttivo al Sokoto Noma Hospital, nella Nigeria nordoccidentale, tuttavia l’occhio è danneggiato a tal punto che per i dottori di Medici senza frontiere non è stato possibile preservarlo.

La sua storia insieme a quella di molti altri bambini e ragazzi colpiti dal noma è raccontata nell’emozionante documentario di Claire Jeantet e Fabrice Catérini ‘Restoring Dignity’, co-prodotto da Inediz e Medici senza frontiere (Msf). Il documento video verrà proiettato – con sottotitoli in italiano – giovedì 1° giugno (alle 19) al Cinestar di Lugano, nell’ambito di una serata proposta dall’organizzazione umanitaria non governativa. Terminata la proiezione, sarà dato spazio agli interventi di alcuni ospiti fra cui la psicologa Lisa La Gattuta. In occasione dell’appuntamento del 1° giugno, l’abbiamo intervistata.

Partiamo con due cenni biografici: nata a metà anni Settanta, La Gattuta è una psicologa clinica palermitana che dal 2016 lavora a tempo pieno per Medici senza frontiere, è lei a dirlo: «Sono una persona molto attiva e mi piace andare sul campo». In sette anni, è stata in Iraq, Yemen, Siria, Sud Sudan, Nigeria, Bangladesh, fra gli altri.

Soprattutto bambini

Torniamo in Africa. Nell’arco di un anno, i registi del documentario hanno seguito alcuni pazienti curati all’ospedale di Sokoto. Ma è bene partire dall’abbiccì e spiegare cosa sia il noma facendo capo al portale dedicato di Msf e all’aiuto della psicologa La Gattuta, che nell’ospedale nigeriano ha lavorato fra il 2018 e il 2019.

Nei Paesi occidentali, «il noma paradossalmente non costituisce un problema. Ma, in un contesto dove non c’è una medicina di base diffusa, ha conseguenze disastrose, anche fatali». L’infezione gangrenosa colpisce persone (in maggioranza bambini sotto i sette anni) che vivono in estrema povertà, malnutrite e con scarsa igiene, anche orale. In effetti il noma – che è una malattia batterica non contagiosa, ma che si cronicizza – origina in bocca: le gengive si infettano (ulcerandosi) e, nel giro di due settimane, distrugge i tessuti della faccia, intaccando mascella, labbra, guance, naso, occhi. «L’infezione crea gravi deturpazioni facciali che rendono difficoltoso mangiare, parlare, vedere o respirare: complicazioni secondarie che mettono in pericolo la sopravvivenza». Purtroppo molte persone, in particolare nelle aree discoste e periferiche, sottovalutano il problema pensando che «si risolva da solo».

Uno stigma sociale

Se presa in tempo, l’infezione è curabile con una terapia antibiotica, tuttavia la conoscenza del noma e l’accesso alle cure di base nelle regioni povere – soprattutto Africa e Asia – sono tutt’altro che scontati. Chi non riesce ad accedervi muore: basti pensare che l’incidenza della mortalità è del 90 per cento. Di vitale importanza risultano perciò essere le campagne diffuse – dalle équipe di Msf – di diagnosi precoce e sensibilizzazione (importantissima è l’identificazione del noma) per una malattia che colpisce all’incirca 140mila bambini ogni anno, secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Queste campagne permettono anche «la creazione di una rete con la popolazione», decisiva per poter agire tempestivamente in caso di infezioni.

Chi sopravvive al noma, oltre alle conseguenze fisiche, è discriminato e stigmatizzato dal contesto d’origine: dalla famiglia che copre i figli ammalati per vergogna, alla scuola, alla comunità d’appartenenza. Bambini e ragazzi vengono isolati, allontanati e derisi a causa del volto deturpato e dell’odore fetido che emanano le piaghe. Tutto ciò li può condurre a problemi di salute mentale e ritardi nello sviluppo.

Processo lento e graduale

Una migliore aspettativa di vita è possibile solo se chi è stato colpito dal noma si sottopone alle cure per fermare l’infezione e successivamente subisce un’estesa chirurgia ricostruttiva. Qui entra ancora in gioco Msf che dal 2014 sostiene il Sokoto Noma Hospital (fondato nel 1999) con una missione dal programma specifico. L’ospedale è un luogo protetto che accoglie e segue pazienti e familiari nel percorso di guarigione fisica e anche psicologica. Le fasi del trattamento sono impegnative e i pazienti rimangono in ospedale per lunghi periodi di tempo. Diversi bambini devono essere anche curati per la malnutrizione e altre malattie legate allo sviluppo del noma prima che possa iniziare l’intervento chirurgico.

«Una squadra di chirurghi estetici e anestesisti – nazionali e internazionali – si reca all’ospedale tre-quattro volte all’anno per la ricostruzione facciale su pazienti, di regola, adolescenti. L’intervento è intrusivo e molto delicato e la degenza dura almeno tre mesi», chiarisce la psicologa. Una volta fatta l’operazione, inizia il periodo di guarigione che è molto lungo. «Fra i medici Msf della squadra fissa in ospedale, ci sono coloro che si occupano del sostegno psicologico costante, a bambini e familiari, madri soprattutto». Gli psicologi, prima e dopo l’intervento, «stimolano quotidianamente i ragazzi a immaginare il proprio futuro, perché il noma condiziona pesantemente il loro approccio alla vita», al punto che non riescono a pensarsi oltre l’infezione. «Le attività proposte sono molto diverse fra loro e vanno dal supporto emotivo, alla riappropriazione dell’identità, ma si impara anche a guardarsi nuovamente allo specchio e accettarsi, a rieducare le espressioni: si impara di nuovo a sorridere… Per i ragazzi è una rinascita».

Fondamentale in questo percorso è «la resilienza»: in quel contesto «c’è già un adattamento alla sofferenza e ogni aiuto, ogni cambiamento è visto come un regalo. In questo senso l’aspetto spirituale è determinante. Antropologicamente, queste malattie non vengono considerate solo dal punto di vista medico, ma c’è anche un lato fatalista. Così, una volta intrapreso il percorso di guarigione, ogni cambiamento è visto come una benedizione divina. Quando i giovani fanno rientro ai loro villaggi, la comunità organizza una grande festa, questo è molto bello e commovente».

Delegazione della Svizzera italiana

Medici senza frontiere è nella Svizzera italiana con una presenza dedicata da più di un anno con il delegato Giacomo Lombardi che si adopera, da una parte, per garantire che si arrivi alla copertura finanziaria proporzionale dei progetti per la sua area di competenza. Dall’altra, si occupa di far conoscere i progetti dell’organizzazione, soprattutto quelli dimenticati e non considerati grandi crisi mediatiche, come il noma. Per informazioni ulteriori visitare www.msf.ch; oppure scrivere al delegato per la Svizzera italiana giacomo.lombardi@geneva.msf.org.

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