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La memoria del ghiaccio

I ghiacciai sono importanti archivi sul nostro passato climatico. E il riscaldamento globale li sta facendo sparire. Ne parliamo con François Burgay

Ghiacciaio del Pers, Engadina, 2022
(Gianluca Bonetti)
20 marzo 2025
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I ghiacciai raccontano storie: del clima del passato, degli effetti sull’ambiente, delle attività umane, del riscaldamento globale e di quello che possiamo fare per limitarne le conseguenze. Ma sono storie che dobbiamo imparare ad ascoltare e il chimico François Burgay, ricercatore all’Università di Basilea, è una delle persone che sa come leggere le storie contenute negli strati di ghiaccio.

Di queste storie parlerà domani, venerdì 21 marzo, in occasione della prima Giornata mondiale dei ghiacciai indetta dall’Unesco, a Lugano: l’incontro, in programma alle 18 alla Artphilein Library (Via San Salvatore 2 a Paradiso) si svolge nell’ambito del festival L’Uomo e il Clima (uomoeclima.org) che proprio alla Artphilein ospita la mostra ‘Lost Ice’ che esplora il tema della fusione dei ghiacci attraverso il linguaggio della fotografia e del fotolibro contemporaneo.

François Burgay, che cosa possiamo imparare studiando un ghiacciaio?

Spesso si ha l’idea che i ghiacciai siano qualcosa di puro, costituiti solo da acqua pura congelata. In realtà i ghiacciai al loro interno contengono delle minuscole concentrazioni di altre sostanze che erano presenti nell’aria al momento della nevicata che ha poi portato alla formazione dello strato di ghiaccio.

Analizzando queste impurità abbiamo una sorta di fotografia della composizione chimica dell’atmosfera e questo ci permette di comprendere come sono cambiati il clima e l’ambiente nel corso di migliaia di anni. Quindi i ghiacciai in realtà custodiscono al loro interno quella che è la memoria climatica e ambientale del nostro passato.

Quanto indietro si può andare?

Dipende da dove andiamo a prendere questi “libri di ghiaccio”, i campioni che tecnicamente si chiamano “carote”. In Antartide possiamo ad esempio andare indietro fino a 800mila anni. La missione Beyond Epica, che si è conclusa da poco, ha raggiunto un ghiaccio vecchio di 1,2 milioni di anni. In Groenlandia si può arrivare intorno ai 100-120mila anni, sulle Alpi fino a 15mila anni.

Tutti i ghiacciai permettono questo ‘viaggio nel tempo’?

No, non tutti i ghiacciai si prestano a essere analizzati in questo modo. Pensando soprattutto alle Alpi, le condizioni affinché un ghiacciaio possa essere letto come libro di storia sono innanzitutto che sia sufficientemente in alto da non avere una fusione estiva significativa, insomma che la neve si mantenga per la totalità dell’anno e questo per evitare che l’acqua che si fonde in superficie percoli in basso mescolando l’informazione contenuta nel ghiaccio. È anche importante, sempre per preservare i vari strati, che non vi sia un grande movimento del ghiacciaio.

Che cosa possiamo scoprire analizzando il ghiaccio?

Studiando la concentrazione di CO2 possiamo mettere in relazione i cambiamenti che stiamo vivendo oggi con la storia climatica. Ma possiamo anche confrontare la presenza di sostanze inquinanti come i metalli pesanti, le cui concentrazioni intorno agli anni 80 hanno raggiunto livelli molto più alti rispetto al passato e, fortunatamente, le carote di ghiaccio ci indicano anche che grazie a politiche ambientali più rigorose le loro concentrazioni stanno calando. Oltre a queste concentrazioni possiamo anche andare a vedere gli effetti sulla temperatura.

Il ghiaccio mantiene la traccia delle temperature?

Sì, possiamo vederla attraverso gli isotopi stabili dell’idrogeno e dell’ossigeno – diciamo che l’acqua è sempre acqua, composta da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, ma di questi atomi esistono versioni leggermente diverse e la presenza di queste versioni, gli isotopi appunto, cambia a seconda della temperatura. Se fa più caldo abbiamo una maggiore presenza di isotopi pesanti, se invece fa più freddo più isotopi leggeri. Questa distinzione ci permette di ricostruire le temperature di decine, o centinaia per i ghiacci dell’Antartide, di migliaia di anni.

La scomparsa dei ghiacciai quindi non solo minaccia l’habitat glaciale e mette a rischio importanti riserve di acqua dolce, ma ci priva anche di un archivio storico. È come se bruciasse una biblioteca.

È come se bruciasse una biblioteca e non sapessimo neanche quanti libri vi sono custoditi. Fino a oggi abbiamo infatti studiato le carote di ghiaccio analizzando solo un numero limitato di sostanze, ma nell’aerosol atmosferico – e quindi anche nel ghiaccio – ci possono essere centinaia se non migliaia di molecole diverse che noi non abbiamo analizzato perché non abbiamo gli strumenti o magari perché quelle sostanze sono legate a processi particolari che ancora non conosciamo. Di questa biblioteca che rischiamo di perdere conosciamo magari solo un decimo dei libri presenti, gli altri ancora non abbiamo imparato a leggerli.

Possiamo conservare campioni di ghiaccio per quando avremo più conoscenze o strumenti più avanzati?

Sì, c’è un progetto internazionale, alla cui fondazione ha partecipato anche la Svizzera con il Paul Scherrer Institut, che si chiama Ice Memory. L’idea è proprio quella di andare in giro per vari ghiacciai del pianeta, tra cui appunto le Alpi, prelevare le carote di ghiaccio che contengono ancora un’informazione salvabile e spedirle nell’altopiano antartico che, anche nel peggiore degli scenari climatici, resterà comunque sotto lo zero.

In questo modo, anche quando i ghiacciai alpini, e di altre regioni, sono ormai per la stragrande maggioranza illeggibili, ricercatori e ricercatrici che avranno nuove idee o avranno a disposizione nuove tecniche potranno usare queste “copie di backup” che saranno custodite in Antartide. Ci sono delle carote del Colle Gnifetti sul Monte Rosa, del Col du Dôme, che è vicino al Monte Bianco, dell’Elbrus in Russia e ogni anno se ne aggiungono di nuove.

Vedo dal sito ice-memory.org che sono stati raccolti campioni anche sul Grand Combin, in Vallese.

Sì, il Grand Combin è purtroppo un esempio di come il cambiamento climatico stia agendo molto più veloce di quello che pensassimo, proprio sulla conservazione di questi archivi climatici. Un articolo pubblicato dal mio ex gruppo di ricerca ha confrontato due carote superficiali prese sul Grand Combin nel 2018 e nel 2020 e si vede che mentre nel 2018 il “segnale chimico” è integro, appena due anni dopo abbiamo una sorta di “encefalogramma piatto”. Un risultato simile indica che c’è stata una grossa fusione e l’acqua ha trascinato via l’informazione chimica contenuta nei ghiacci. E questo è avvenuto in appena due anni e in un sito a quattromila metri di altitudine, una quota che si pensava fosse sicura per la conservazione dell’informazione nei ghiacciai.

Sono ricerche molto interessanti e complesse. E riguardano solo una parte degli studi sul clima e il riscaldamento globale… come raccontare tutto questo?

Ho una pagina Instagram in cui faccio divulgazione e qualche tempo fa ho pubblicato un post in cui dicevo proprio che dobbiamo abituarci alla complessità. Cerchiamo sempre di ridurre temi complessi all’essenziale, a semplificare il più possibile, ma non è sempre possibile farlo e bisogna sempre avere in chiaro che dietro una cosa semplice c’è uno sfondo di complessità. Dobbiamo, appunto, abituarci alla complessità, accettare che la complessità è parte del mondo. Ed è un primo passo che deve essere fatto da chi fa ricerca, da chi fa divulgazione ma anche dal pubblico: viviamo in un mondo che è sempre più complesso, non puoi pensare di banalizzarlo efficacemente con un video di 30 secondi sui social media.

Quello che ci aiuta è che il cambiamento climatico è complesso ma possiamo vederne gli effetti e in questo i ghiacciai sono, credo, uno strumento fondamentale. Possiamo non ricordarci di come erano le estati di venti o trent’anni fa, possiamo ricordarci le giornate particolarmente calde o fredde e non la temperatura media, ma i ghiacciai sono quel qualcosa che ci fa capire che noi stiamo vivendo un periodo straordinario e sempre più caldo. Sono una sorta di indicatore che non può essere falsificato: guardando i ghiacciai vediamo, anno dopo anno, che sono sempre di meno. Potrebbe essere il proverbiale ceffone che ci fa risvegliare dal torpore: riusciamo a immaginare le Alpi senza ghiacciai? Siamo pronti ad andare sull’Aletsch e non trovare più ghiaccio? Sarebbe un colpo al cuore.

Poi, certo, dobbiamo anche evitare di abituarci, perché quella che abbiamo di fronte è un’emergenza che sta andando avanti da anni e andrà avanti per anni, non è sicuramente una cosa destinata a spegnersi da un momento all’altro. Però la sensazione che ho io purtroppo è che ci stiamo un po’ assuefacendo a questa emergenza: mi sembra ad esempio che il cambiamento climatico non sia più un tema elettorale forte.

Ed è un tema controverso. Mi rendo conto che è una domanda difficile, ma come parlare con gli scettici?

Sì, è una domanda molto difficile e io poi non sono un comunicatore professionista, sono un ricercatore che si è avvicinato alla divulgazione un po’ per passione e un po’ perché sento il dovere di non lasciare la scienza rinchiusa in una torre d’avorio. In ogni caso, mi sembra che sia illusorio pensare di poter convincere tutte le persone. Per fortuna i negazionisti puri, quelli con cui proprio è impossibile parlare, credo siano una minoranza, magari molto visibile e rumorosa, ma piccola. Basta vedere anche le varie indagini sulle preoccupazioni principali delle persone: il cambiamento climatico è sempre se non al primo, al secondo o terzo posto. La vera sfida non è parlare a chi nega l’esistenza del cambiamento climatico o chi nega che siamo noi esseri umani la causa principale: la vera sfida è far capire che la transizione energetica ha un costo ma che, se paghiamo adesso questo costo, in futuro risparmieremo molto, molto di più. Solo che è un discorso poco accattivante, dal punto di vista politico: non convinci molte persone dicendo “oggi paghiamo il doppio”, anche se è per evitare di pagare cinque volte di più tra dieci anni. Quella che abbiamo davanti è una sfida difficile, costosa, ma non fare nulla è la peggiore delle decisioni.