Intervista allo psichiatra Vittorio Lingiardi, mercoledì ospite del Lac e della Società Dante Alighieri per presentare il suo saggio ‘Corpo, umano’
“Come in un film di fantascienza, questo è un viaggio all’interno del corpo” scrive Vittorio Lingiardi nelle prime pagine del suo libro ‘Corpo, umano’ pubblicato da Einaudi. E il riferimento alla fantascienza non è casuale: la letteratura è uno degli strumenti con cui Lingiardi, psichiatra e psicoanalista italiano e professore di Psicologia dinamica a La Sapienza di Roma, indaga il corpo. Il libro, moltiplicando approcci e punti di vista, passa in rassegna i vari organi che ci compongono, ma mai senza perdere di vista l’insieme; anzi, Lingiardi cerca di restituire al corpo quella dimensione paradossalmente cancellata dalla sua onnipresenza, con corpi scomposti e analizzati dalla medicina, virtualizzati dagli strumenti di comunicazione digitale e anche strumentalizzati dalla politica.
Lingiardi ne parlerà, in dialogo con Michela Daghini, mercoledì 19 febbraio alle 18 nel primo appuntamento delle Colazioni letterarie al Lac, organizzate dal centro culturale insieme alla Società Dante Alighieri Lugano._
Professor Lingiardi, perdoni la domanda un po’ schietta: perché uno psichiatra, che si occupa di quella cosa che potremmo chiamare ‘anima’, scrive un libro sul corpo?
Bene, la sua domanda schietta ci consente di dire subito le cose come stanno. Gli psichiatri non si occupano dell’anima (che è un concetto soprattutto religioso-filosofico), ma della psiche, che è un concetto più psicologico-scientifico. Diciamo che “psiche” è un concetto più “fisico” mentre “anima” è più “metafisico”. La sua domanda ci conduce però all’origine delle parole, dove ritroviamo una sorta di affinità: anima, infatti, è un termine che rimanda al latino ànemos, cioè “soffio”, “vento”; psiche è un termine che rimanda al greco psyché, che è “soffio” e “respiro”. Questo mi consente di dire che se la psiche è respiro, la psiche è anche corpo. È un “errore cartesiano”, rubando il titolo ad Antonio Damasio, pensare che la psiche e il corpo siano enti separati. Sono anzi la stessa cosa vista da due prospettive diverse e chiamata con termini diversi. Le nostre cognizioni, le nostre emozioni e gli affetti nascono dal nostro corpo organico, dal nostro cervello e dalla sua convivenza, più o meno pacifica, con tutti gli altri organi. Dovremmo sempre parlare di corpomente.
E perché, tra gli ‘strumenti’ di questa esplorazione del corpo, troviamo anche la letteratura e l’autobiografia?
Penso che se vogliamo parlare di corpo in modo sincero e convincente dobbiamo partire dalla nostra esperienza. Che è fisica e culturale al tempo stesso. E quindi anche dall’autobiografia. Il nostro corpo “adulto” è anche figlio di come è stato toccato, accudito o non accudito il nostro corpo bambino. Penso anche che il vero corpo sia quello che possiamo raccontare. Per questo dobbiamo chiamare a raccolta ogni sapere, e per questo ho scelto come introduzione al libro una bella frase dello scrittore Ian McEwan: “Il poetico, lo scientifico, l’erotico: perché mai la fantasia avrebbe dovuto votarsi al servizio di un unico padrone?”. Ogni corpo ha una dimensione letteraria e simbolica. Come diceva Freud, “i poeti arrivano sempre prima”. Ogni parte del corpo è un distretto anatomico e fisiologico, ma anche un luogo dell’identità, dell’immaginazione e del linguaggio. Per non parlare della dimensione politica dei corpi.
Nel capitolo sul cervello, scopriamo il ‘cervello sociale’. Che cosa intende di preciso?
Il cervello dirige l’orchestra di tutti gli organi che ho raccontato nel mio libro, dal cuore alle ossa, dal fegato ai polmoni. E anche di quelli che non sono riuscito a raccontare! Dal cervello originano il linguaggio, l’immaginazione e la coscienza. Ma non vive nel vuoto, è un organo sociale che si sviluppa nel contesto delle relazioni. Collabora con altri cervelli. La biologia dell’attaccamento (i cervelli di cargiver e bambino che si sintonizzano e si regolano a vicenda nell’esperienza fondamentale dell’accudimento e della ricerca di sicurezza) e il funzionamento dei neuroni specchio (coinvolti nell’esperienza dell’empatia) sono due tra i principali esempi che confermano la teoria del “cervello sociale”. La nostra coscienza è il risultato della nostra interazione con il mondo. Siamo un sistema io-tu-noi.
Nel capitolo sui genitali, si affronta il tema dell’identità di genere e della transizione. Come è cambiato l’approccio della psichiatria e della psicologia negli ultimi anni? Secondo alcuni si tratterebbe di una ‘moda ideologica’.
Negli ultimi anni il vocabolario che definisce generi, identità e orientamenti sessuali si è moltiplicato. Il paesaggio dei generi è abitato da molteplici soggettività. Alcune sembrano avere radici profonde nella realtà psichica e in quella personale, altre sembrano più transitorie e volatili. Il linguaggio è in continuo aggiornamento e non mancano spunti polemici e prese di posizione forti sia sul versante della conservazione sia su quello dell’innovazione.
Ogni epoca ridefinisce ciò che è “maschile” e “femminile”. La nostra epoca ha iniziato a definire anche ciò che non è binario, ciò che è più “fluido”, nell’identità e/o nel ruolo di genere. Dai miti antichi ai primi studi clinici di metà Novecento, ci siamo sempre interrogati sull’enigma psicobiologico di quella che oggi è chiamata “disforia di genere”, cioè sofferenza legata al non riconoscersi nel proprio corpo anatomico, e che un tempo si chiamava “disturbo dell’identità di genere”. Questo cambiamento terminologico è già indicativo del modo diverso con cui le scienze della psiche guardano a questo fenomeno: in modo meno patologizzante. Anche a livello sociale, oggi, le disforie di genere iniziano a essere guardate, per lo meno in alcuni contesti, con occhi meno stigmatizzanti.
Oggi le diverse componenti dell’identità ci pongono di fronte a una complessità che pone domande continue sul significato, personale e collettivo, di concetti come “identità”, “genere”, “corpo”. L’identità di genere, cioè il modo in cui il nostro corpomente vive e interpreta la sua appartenenza ai generi, è una costruzione bio-psico-sociale, sospesa tra natura e cultura. Non esiste una sola identità trans: le vite che si raccolgono sotto questo termine ombrello sono varie e articolate. Ci sono persone che si identificano con il sesso opposto a quello assegnato alla nascita, altre che non si riconoscono nel binarismo maschio-femmina, altre che non si identificano in un unico genere. Per alcune intraprendere un percorso di adeguamento tra identità di genere e sesso è vitale, per altre è meno importante. Le disforie di genere nell’infanzia col tempo possono “rientrare” oppure mantenersi fino a richiedere interventi endocrinologici e/o chirurgici.