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Il canto delle balene e le sue leggi linguistiche

Analisi di otto anni di registrazioni svela modelli linguistici universali nei cetacei

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(keystone)
7 febbraio 2025
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Le favole ci hanno abituato all’idea di animali dotati di linguaggio, oltre che di vizi e virtù molto umani. Ma i racconti di grilli parlanti, cicale canterine e formiche previdenti si sono anche accompagnati alla consapevolezza che il linguaggio è ciò che più caratterizza l’umanità, ciò che ci distingue dalle altre specie animali. Altri esseri viventi comunicano tra di loro, ma la ricchezza e la versatilità del linguaggio umano non hanno eguali. Per quanto, a studiare senza preconcetti queste forme di comunicazione, possa venire il sospetto di avere a che fare con modalità linguistiche diverse e non necessariamente più semplici e primitive. E questo non vale solo per specie vicine agli esseri umani, come i primati, ma anche per animali dalla storia evolutiva ben diversa. Come le balene, con il loro “canto” che è, a tutti gli effetti, un fenomeno culturale, dal momento che, come diverse ricerche hanno dimostrato, viene trasmesso di generazione in generazione e può evolversi nel tempo.

Due principi universali

Due studi da poco pubblicati confermano la complessità linguistica del canto delle balene: ‘Whale song shows language-like statistical structure’ di Inbal Arnon, Simon Kirby ed Ellen C. Garland, pubblicato su ‘Science’, e ‘Language-like efficiency in whale communication’ di Mason Youngblood, pubblicato su ‘Science Advances’. I due lavori hanno analizzato il canto delle balene alla ricerca di strutture che seguono le leggi di Menzerath e di Zipf, due principi fondamentali del linguaggio (non solo) umano. La legge di Menzerath stabilisce che più lunga è una sequenza linguistica, più brevi tenderanno a essere i suoi componenti (ad esempio le parole lunghe avranno sillabe corte, e più un testo è lungo più tenderà ad avere frasi brevi). La legge di Zipf, invece, prevede che gli elementi più frequenti di un linguaggio tendono a essere più brevi (pensiamo ad esempio alle preposizioni e agli articoli). Queste leggi empiriche riguardano il linguaggio in generale e sono considerate il risultato di un’ottimizzazione per l’efficienza comunicativa.

Analizzando otto anni di registrazioni del canto delle balene megattere, utilizzando metodi ispirati all’apprendimento infantile del linguaggio per identificare le unità sonore, Arnon e colleghi hanno rivelato che le sequenze sonore delle balene seguono sia la legge di Menzerath sia quella di Zipf. Youngblood ha esteso l’analisi a 16 specie di balene, confermando che 11 di esse seguono la legge di Menzerath, talvolta con effetti più marcati rispetto al linguaggio umano.

Convergenze

Entrambi i lavori non prendono in considerazione la semantica, vale a dire il significato delle parole, e quindi non permettono certo di concludere, e neanche di suggerire, che le balene abbiano un linguaggio simile a quello umano. Rilevano comunque che sistemi di comunicazione evolutisi indipendentemente possono convergere verso strutture simili quando sono trasmessi culturalmente. Come sottolineano gli autori, queste somiglianze potrebbero derivare dalla necessità di ottimizzare l’apprendimento e l’efficienza della comunicazione. Il che apre nuove prospettive non solo sullo studio della comunicazione animale, ma anche sull’evoluzione del linguaggio. In altre parole, per comprendere le origini del linguaggio umano potrebbe essere utile guardare non solo ai nostri parenti più stretti, ma anche a casi di evoluzione convergente in specie distanti. Il prossimo passo sarà infatti capire se strutture simili possano essere trovate in altre specie che trasmettono culturalmente comportamenti complessi, come gli uccelli canori.

Le balene con il loro canto ci ricordano che il confine tra comunicazione umana e animale è più sfumato di quanto pensassimo, e che l’evoluzione sa trovare soluzioni simili a problemi simili attraverso percorsi evolutivi completamente diversi.