laR+ L’intervista

Voce e pianoforte, l'anima di Dolcenera

Sabato 29 marzo al Sociale il piano recital di ‘Anima Mundi’, la testimonianza più recente di una cantautrice vera

Dolcenera, all’anagrafe Emanuela Trane, nome d’arte che arriva da ‘Anime salve’ di Fabrizio De André
(Teatro Sociale)
27 marzo 2025
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Ha da poco superato i vent’anni di carriera. Li ha festeggiati nel 2022 con un album intitolato ‘Anima Mundi’, che dal 2023 in avanti è stato portato in tour nella forma del piano solo, o se si vuole del ‘one woman show’, lo spettacolo di chi fa tutto da sé (voce e pianoforte acustico, looper, organo Hammond e piano Rhodes). Un po’ come nei suoi dischi, dei quali Dolcenera decide tutto. E bene.

‘Anima Mundi’ raccoglie brani usciti dal 2018 fino all’anno della sua pubblicazione. È un disco sperimentale e immediato, filosofico e pop, politico e sociale. Tra una celebrazione dell’esistenza e l’altra (‘Un altro giorno su questa terra’), tra una denuncia e l’altra (‘Mondo Takeaway’, il mondo “a chi si mangia prima”, il nostro), tra l’immigrazione e lo svilimento culturale (‘Mediterraneo’ e ‘Lo-Fi’, quella di “chi posta dal bidet è influencer”), sabato alle 20.45 il Teatro Sociale di Bellinzona ascolterà ‘Anima Mundi’ in versione ‘naked’ e così gli altri brani imprescindibili di Dolcenera (‘Ci vediamo a casa’, Com’è straordinaria la vita’, ‘Siamo tutti là fuori’), capitoli di una carriera da cantautrice ulteriormente certificata nel 2024 dal Premio Nuovo Imaie Venice Award, ritirato all’81esima Mostra del cinema di Venezia.

‘Piano recital teatrale’. Si dice, anzi è proprio così: il piano solo è una formula che si possono permettere in pochi, o in poche…

Il pianoforte è stata la mia vita da sempre, non sarei stata Dolcenera se non avessi avuto il pianoforte, se non mi fossi espressa con il mio strumento. Mi sento fortunata, da ragazzina c’è stato un momento in cui volevo abbandonarlo, ma il senso del sacrificio che è nel mio carattere mi ha salvata dal farlo. Tanti ragazzini passano la fase di rifiuto per lo strumento musicale, o il rifiuto per la pratica sportiva, perché hanno voglia di divertirsi, di avere le cose più facili; superato quel momento, il pianoforte è stato la mia chiave espressiva, mi ha aiutato a trovare la mia voce e a sviluppare una delle cose sempre più rare di questo mondo, ovvero l’arte di improvvisare. Sul palco sei sola con il tuo strumento e puoi improvvisare, senza chiedere il permesso a nessuno. L’improvvisazione è ciò che rende un concerto unico, che rende tutto meno plastificato, meno finto, e di cose plastificate e finte oggi ne abbiamo in abbondanza.

Come si rende, per pianoforte solo, un album così ricco come ‘Anima Mundi’?

Si tratta di sapere come accompagnare, bisogna saper parlare diversi linguaggi musicali. In ‘Più forte’, per esempio, c’è un andamento cubano; il pianoforte a Cuba non si suona come si suona in Europa, e se lo si vuole suonare in quel modo bisogna conoscerne lo stile. Io l’ho studiato.

L’album contiene testi tra il politico e il sociale, qualcosa di decisamente controcorrente oggi, non che l’andare controcorrente non ti abbia mai riguardato. Pare che oggi convenga cantare d’amore, così nessuno si offende…

È vero, è un periodo nel quale si canta molto d’amore e si cerca di non mettere bocca sugli argomenti sociali, ma non tanto per non offendere nessuno, quanto perché la musica è diventata intrattenimento di sottofondo. La sua funzione di specchio della realtà non esiste più, è cambiata la società e nella società digitale il grosso della fruizione della musica è digitale. Si è perso il valore dell’acquisto in nome dello streaming forsennato, che è prerogativa dei giovani, e si è perso il valore dell’ascolto nella sua interezza.

In epoca di producer, tu scrivi, componi, arrangi e produci da sola, cosa rara. È mania di controllo? Autostima? Autoconservazione? Rischio che altre mani possano cambiarti?

In quanto donna potrei dire che sì, c’è una certa mania di controllo, come quella delle donne sulla cucina (ride, ndr). Fare da sola ha un lato positivo e cioè che tutto è interamente come lo penso e il messaggio è diretto, dal cuore verso le persone. Il lato negativo è che è stancante caricarsi di tutto un lavoro che dovrebbe essere condiviso, accettando – almeno fino a un certo limite – la parte negativa della condivisione, e cioè il fatto che non è mai tutto come vorresti tu. Lavorare da soli è un grosso dispendio di energie anche perché a volte t’infili in qualcosa di cui non riesci a venire a capo e avresti bisogno di un orecchio esterno, di persone sagge. Il problema è dove trovarle. Sono passati gli anni, è cambiato il modo di usufruire della musica, è cambiata la qualità, la tipologia di musica prodotta e sono cambiati i personaggi che lavorano nella musica. Oggi i produttori sono i beatmaker e io cosa posso chiedere a un beatmaker? “Scusami, secondo te questa quinta bemolle va bene? Questo accordo funziona? L’armonia è corretta?”. Ci sono specie musicali in estinzione, anche per questo motivo tutto il lavoro è ricaduto su di me.

A proposito di figure in estinzione. A Sanremo sono tornati i cantautori, come se non esistessero più…

Vero, ma quanti erano? Lucio Corsi, Brunori Sas. Quanti altri? Di cantautori non ce ne sono più tanti perché la società li ha massacrati a lungo, non a caso Brunori Sas ha ottant’anni (ride, ndr) e Lucio Corsi nemmeno è più un ragazzino. I cantautori sono stati tolti dai palchi importanti e la conseguenza è che sono sempre di meno. Quelli che esistono ancora sono un miracolo di Dio. Bene è che siano stati riportati a Sanremo, almeno per rimpinguare la categoria. In passato c’è stata una fetta cantautorale indie, ma tra le righe era ironica e non era del tutto ‘seria’.

Hai dichiarato che mai un nome d’arte come Dolcenera fu così profetico. Quanto De André c’è ancora dentro di te?

La parte letteraria non mi ha mai abbandonato, quella musicale aveva cose molto belle, ma io ho sempre avuto voglia di rock, e soprattutto di sperimentare con la musica. Non ho mai voluto restare dentro la zona di comfort del folk, o della musica popolare.

In ‘Piena di vita’, dove l’inno alla vita è nel titolo, la tua voce si fonde con quella della Gabriella Ferri di ‘Sempre’...

Avevo già interpretato la sua canzone in passato, è nelle mie corde. Ho sempre amato la capacità interpretativa di Gabriella Ferri, il suo mettere l’anima sopra la faccia. Mentre scrivevo ‘Piena di vita’ mi è venuta istantaneamente la frase “ognuno ha tanta storia”. Lì ho sentito il desiderio di citarla ed è iniziato il lungo lavoro di raccontare ai suoi eredi cosa fosse ‘Piena di vita’, come avrei voluto omaggiare l’originale. Ho fatto ascoltare il pezzo e mi è stato dato il permesso di utilizzare la sua voce.

‘Tanto buio, tanto colore / Tanta noia, tanto amore / Tante sciocchezze, tante passioni / Tanto silenzio, tante canzoni’, cantava Gabriella Ferri in quel brano. Vale come sintesi di una vita d’artista?

Il passaggio è forte, bellissimo. In questo momento storico mi spenderei mezza frase di ‘Ci vediamo a casa’: “La chiamano realtà / Questo caos legale / Di dubbie opportunità”. E una mezza da ‘Niente al mondo’: “Chi sogna non ha regole / E non si arrende mai / La vita che s’immagina / Diventerà realtà”. È la forza dei sogni, un modo per incitarsi, nonostante tutto.