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‘Shambhala’, da Berlino un prezioso film sulla vita etica

In Germania, prima mondiale, scrivevamo dell’incanto che ci aveva regalato: in Piazza Grande quell’incanto si è moltiplicato

Dal film del regista nepalese Min Bahadur Bham
13 agosto 2024
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Ci sono film che ti restano nel cuore, uno di questi è ‘Shambhala’ del regista nepalese Min Bahadur Bham e il primo motivo è la splendida protagonista Thinley Lhamo, attrice, membro della Nepal Tibetan opera sia come cantante che come musicista per gli spettacoli tradizionali. Coinvolta in questo film – storia di una donna, Pema, che in un villaggio dell'Himalaya deve praticare la poliandria, il che la costringe ad avere vari sposi – Thinley Lhamo colora sapientemente il suo personaggio, regalandole naturalmente colori e gesti che appartengono finemente alla cultura di quei popoli e sorretta dalla felice mano del regista Min Bahadur Bham. Curioso è il fatto che prima di approdare in Piazza Grande del film si fosse già parlato a Open Days nel 2018: aveva un altro titolo, legato più al freddo e al ghiaccio che tra i 5 e i 6 metri, dove è ambientato, sono di norma, ma il regista ne ha preferito uno più spirituale qual è ‘Shambhala’, il regno spirituale della tradizione buddista tibetana, menzionato nel Kalachakra Tantra. E di sicuro questo titolo si adatta perfettamente a un film dove ognuno pensa al compimento etico e morale del proprio vivere.

La protagonista sposa Tashi, ma con lei già incinta intraprende un viaggio d’affari e scompare sulla rotta commerciale verso Lhasa. Ora di fatto lei è sposa del fratello del marito, Karma, che però è un monaco, mentre il terzo maschio di grado è un bambino. Nel villaggio si sussurra che il neonato sia figlio del maestro del luogo. Pema decide di partire a cercare il marito e il suo sarà un viaggio di iniziazione che la porterà a comprendere il senso profondo di essere donna, di essere indipendente. Mentre il marito, che non era morto, resta a contemplare l’imbecillità di essere un maschio. Film carico di epica poesia, con paesaggi che regalano l’infinito e figure umane che dipingono la stranezza di essere diversi tra di noi. Da Berlino, dove il film ha avuto la prima mondiale, scrivevamo dell’incanto che ci aveva regalato: sul grande schermo di Piazza Grande quell’incanto si è moltiplicato.

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