Ho incontrato Pinello

‘Un turista ci seppellirà’

Di stereotipi, prostituzioni (in)culturali, cortocircuiti intellettuali, sushi e pinguini

Il cinema in ciabatte
(Keystone)
10 agosto 2023
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L’altro ieri Pinello arringava un drappello di cinefile nordiche in fila per un piattino di uramaki su insalata di avocado. Le stava persuadendo del fatto che al Festival tutti si riempiono la bocca di cultura, dal presidente all’ultimo imbucato, ma in realtà imperano mode sociali e stereotipi (in)culturali (ha abbozzato un paio di parentesi in aria). Pinello ce l’aveva con quei film che “spacciano per provocazione intellettuale o liberazione interiore”, la dozzinale esibizione di corpi e il compiaciuto avvitarsi in pruriginose vicende sessuali. Rivolgendosi a un’algida gazzella in top e shorts inguinali, con un gatto tatuato sul polpaccio, Pinello ha precisato che siamo tutti un po’ pervertiti, però si può anche parlare d’altro, “o almeno alzare il livello delle nostre miserie”. Ha poi chiesto che gli si spiegasse come una regista possa far dire a una serva indonesiana analfabeta di inizio ‘900: “Finché sarò viva con questo corpo farò ciò che voglio. Manco fosse Shakira!”. Visto che non otteneva risposta, e avendo iniziato a inferire che film di questo tipo rappresentano “una forma di prostituzione (in)culturale che uccide la dignità intellettuale femminile”, gli ho detto di arrivare dalla proiezione di ‘Touched’, in cui in effetti… “Ecco, non ci hai capito niente!”. Al che Pinello ha fatto capo alle sue esigue riserve di pazienza per spiegarmi che quella è tutt’altra storia, che lì l’autrice mette in scena un amore doloroso fra una ragazza obesa e un giovane paraplegico: “Quei corpi imperfetti rivendicano la loro consistenza, la loro legittimazione. L’esposizione di quelle carni è necessaria!”.

Ieri notte, solo al centro della Piazza, Pinello era pervaso da due dilemmi. Il primo riguardava ciò che lui definisce “cortocircuito concettuale”. Con il cuore ancora colmo di fascinazione per la prontezza d’animo e l’agilità felina con cui i due attivisti sono balzati sul palco, Pinello rifletteva sul senso ultimo delle cose. In breve, Luc Jacquet da anni ci mostra l’incanto fragile dell’Antartide, dicendo al mondo che è un continente da proteggere, ma facendo venire a milioni di spettatori il desiderio di replicare, con qualche comodità in più, le sue imprese. E secondo Pinello – al tempo del credi nei tuoi sogni, sposta il limite più in là, ogni obiettivo è raggiungibile dipende solo da te e dal conto in banca – la tragedia è che quelli poi lo fanno. S’imbarcano su aerei e navi, fendono i cieli e le acque per andare a riempirsi occhi e cuore di quella bellezza perduta, contribuendo a perderla. Poi tornano a casa e condividono con gli amici le proprie rivelazioni interiori, ingozzandosi di sushi e affamando i pinguini. Così poi Jacquet fa un altro film, ancor più incantato e più urgente… A questo punto sono caduto nel buco nero della riflessione di Pinello, ne sono riemerso solo quando ha sentenziato che “il turismo di massa ci seppellirà, coglioni e contenti”. E mi ha confidato il secondo dubbio: “Ma visto che avevano regolarmente pagato il biglietto, non potevano restare a guardarsi il film?”.

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