Locarno 74

Il futuro del cinema secondo Kevin B. Lee

Abbiamo incontrato il Locarno Film Festival Professor for the Future of Cinema and Audiovisual Arts

5 agosto 2021
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Piazza Grande durante una delle proiezioni serali del festival; una persona intenta a guardare un telefonino. È con queste due immagini che Kevin B. Lee, il nuovo “Locarno Film Festival Professor for the Future of Cinema and Audiovisual Arts”, si è presentato giovedì mattina alla Rotonda in un incontro tenutosi quasi tutto in inglese. «Ma tempo qualche mese e vedrete che parlerà un ottimo italiano» ha rassicurato il presidente del festival Marco Solari. Anche perché, come ci ha spiegato brevemente dopo l’incontro pubblico, Lee ha l’intenzione di trasferirsi a Locarno. «Sì, perché è soprattutto una questione di sentirsi a casa, di chiederci a quale luogo vogliamo appartenere. Iniziando questo lavoro entro a far parte della comunità locale, insieme ovviamente a una comunità online: sono se vogliamo due case, una fisica e l’altra virtuale e viviamo in entrambe».

L’idea delle due case, di due spazi separati e che vanno invece connessi è del resto stata al centro dell’incontro: risposte definitive ovviamente non ce ne sono state ma – riprendiamo qui il commento del direttore artistico del festival Giona A. Nazzaro a conclusione della presentazione di Lee – è importante partire dalle domande: «Far domande vuol dire guardare avanti, guardare oltre le cose che tutti noi crediamo di sapere». Per questo «sono entusiasta all’idea di poter lavorare con Lee». Questa cattedra, infatti, collaborerà strettamente con il Locarno film festival coerentemente, ha ricordato il rettore dell’Usi Boas Erez, con l’attenzione che l’università ha verso il territorio e le sue istanze. Collaborazione in qualità di consulente, nessun ruolo decisionale ha precisato Solari e si è visto Lee tirare un sospiro di sollievo. «Sono lieto di non avere un ruolo decisionale, perché pensare al futuro al cinema non può essere un compito per una persona sola, non è film di supereroi ma un lavoro collettivo».

Lavoro che deve partire dal passato, dalla storia del cinema, proseguire con una dettagliata analisi della situazione attuale: solo così si potrà provare a immaginare un possibile futuro. Questo l’approccio generale, ma Lee ha anche presentato i suoi desideri, le ambiziose idee che lo guideranno, tra cui realizzare un istituto universitario con corsi di bachelor, master e dottorali, dare il via a una rete di collaborazioni con istituzioni accademiche e aziende, avere un fondo nazionale di ricerca che pubblichi i propri risultati non solo con articoli accademici, ma anche con prodotti crossmediali. 

L’idea di fondo rimane quella di unire i due mondi, di portare il cinema a tutti, anche alle nuove generazioni abituate ad altri schermi e altri media. «Lo dico da persona con una grande passione per il cinema, ma soprattutto da persona convinta che il cinema sia uno dei migliori impieghi della nostra attenzione, una delle esperienze più piene e significative per l’attenzione umana. Tempo e spazio si uniscono per creare storie profonde, emozioni profonde, tracce profonde nella nostra vita. Voglio che questo rimanga essenziale».

Il cinema, lo ha detto, richiede concentrazione: non rischia di essere un problema per chi è abituato a una fruizione più distratta e rapsodica?

È certamente una difficoltà quando il cinema si mescola e viene fruito con altri media: perde la propria peculiarità. Per questo un festival come Locarno è importante: perché crea le condizioni per una visione significativa e di qualità del cinema. Dobbiamo partire da questo: non dobbiamo lasciarci consumare dalla quantità di immagini ma tenere presente che c’è un’esperienza speciale, un’esperienza memorabile delle immagini e questa esperienza è il cinema. A Locarno questo è possibile e la domanda è come fare a proporre questa esperienza oltre gli undici giorni di agosto.

Ma è possibile portare online questa modalità di fruizione?

Il problema non è cosa è possibile, ma cosa è necessario fare. Sicuramente è necessario preservare l’esperienza “off line” e le sue caratteristiche speciali. Ma soprattutto le nuove generazioni trascorrono sempre più tempo online e bisogna affrontare questo spazio, dobbiamo impegnarci e far capire che questo tipo di esperienza può essere significativa. Bisogna capire come tradurre, come portare questa esperienza: è questa la domanda che ci dobbiamo porre, e per trovare una risposta bisognerà costruire un dialogo.

Come si inseriscono in questo ragionamento i video saggi e i desktop documentary di cui lei è pioniere? 

I desktop documentary sono una possibile risposta alla domanda su come possiamo unire i due schermi, quello del cinema e quello di un computer o di uno smartphone. Molte persone, soprattutto i più giovani, guardano i film sullo schermo di un computer, per loro è quella l’esperienza e quindi la domanda è come prendiamo questo spazio per svilupparne il potenziale cinematografico. Per me l’importante è trovare una connessione, vedere cosa succede mettendo insieme queste cose.

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