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Laetitia Casta: 'Il mio cinema passa dal cuore'

L'arte quasi per caso, la ‘sua’ Bardot, il rispetto per il pubblico: 'È dal popolo che arrivo’. In una Locarno che pare Londra, l'attrice francese si racconta

‘Sono particolarmente toccata da questo premio, perché guarda a un'intera carriera’
5 agosto 2021
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Locarno74 ha un direttore artistico che è anche uomo di spettacolo. Conosce la differenza tra tensione e rilascio (saranno i suoi ascolti omnimusicali), quei bastone e carota emotivi che di pomeriggio, con l’Osi già schierata sul palco del Fevi, pronta a sonorizzare gli antichi e geniali capitomboli di Harold Lloyd, così esordisce nel giorno dell’esordio del ‘suo’ Festival: «È una vista magnifica da qui, vedere una sala di nuovo piena dopo questi mesi d’incertezze. Riscalda il cuore». E con «Locarno uno - Pandemia zero», Giona A. Nazzaro, cui dedichiamo la copertina (e non è maschilismo), strappa l’applauso prima degli orchestrali, di Philippe Béran e di Harold Lloyd. È sua la frase del giorno, in quello che è stato il primo bagno di folla di un’edizione, al momento, bagnata. Così bagnata da far spostare la cerimonia d’inaugurazione là dove quelle parole erano state pronunciate.

Scena 2. Mentre conduce i cronisti mascherati al cospetto del primo ospite del Locarno74, la radio nella navetta suona, nella versione dei Bee Gees, ‘Heartbreaker’, ovvero ‘rubacuori’, quel ruolo che il cinema generalmente non disdegna in un’attrice e che Laetitia Casta, col tempo, è riuscita a scrollarsi di dosso. Dalle vette di Orselina (la Svizzera non è l’Italia, il ticinese non affollerà la hall dell’hotel, anche perché quando il giornale sarà stampato ella sarà già lontana), Locarno pare Londra, ma un po' anche Parigi. «È la prima volta per me, ma di questa città ho tanto sentito parlare nel mondo del cinema. Locarno è un Festival rispettato e io sono particolarmente toccata da questo premio, perché guarda a un'intera carriera». Parole di Casta, vincitrice dell’Excellence Award Davide Campari, raccolte poco dopo l’incontro col pubblico in Rotonda e prima di ritirare il premio durante la cerimonia d’apertura.

“Sofisticata e popolare”, “portatrice di un glamour colto, strategico, profondamente europeo”, scriveva di lei in giugno Nazzaro nell’annunciare l’Award. E con lei, a commentare le motivazioni del premio, partiamo dal primo dei due virgolettati: «Il popolo è da dove arrivo», sottolinea l'attrice. «Vengo dalla provincia, da una famiglia semplice che nulla aveva a che fare con il mondo artistico, finito nella mia vita per puro caso quando avevo solo 15 anni, e la campagna non era certo un luogo in cui si parlasse ogni giorno di moda e di modelle». Quanto al popolo, «ho sempre avuto l’impressione che ciò che mi ha spinto a continuare in questo settore siano state le persone incontrate per strada, che mi dicevano di quanto fossi d’incoraggiamento per altre donne, dimostrandomi che l’immagine aveva una sua parola»; quanto al “sofisticata”, «nessun atteggiamento snob, al contrario. Il mio amore per il cinema è passionale e sincero, e non passa per la testa ma per il cuore». C'è il tempo per un rimando ai giorni da modella: «A 15 anni mi guardavo negli scatti e vedevo una donna di 25-30, un abisso tra me e l’immagine. Evidentemente c’erano cose che fuggivano da me e venivano prese dall’obiettivo. Ho avuto l’impressione di recitare dei personaggi, molto, troppo rapidamente. Come in un film muto, che è l’idea che ho della fotografia».

Elogio della timidezza

Due i titoli della sua filmografia, da proiettarsi durante Locarno74 e da lei scelti personalmente: ‘Gainsbourg (Vie héroïque)’, di Joann Sfar, nel quale è Brigitte Bardot, e ‘L’homme fidèle’ di Louis Garrel. Scelte così spiegate: «Sfar è il primo regista che mi ha offerto un personaggio complesso, che ha visto in me qualcosa di più di una modella». Il film di Garrel – regista e marito, ndr – perché «è l’ultimo mio lavoro, testimonianza della mia evoluzione». Tornando per un attimo alla sua Brigitte Bardot: «All'inizio ho rifiutato la parte, un po' per il timore di ritrovarmi nei panni di un’icona col rischio di rimanerne imprigionata per sempre, e un po' perché Brigitte Bardot è vivente e sentivo una grossa pressione. Ma il rifiuto si spiega anche perché quel che veniva mostrato di lei era esattamente quel che sapevamo già. Dissi che se fossero stati capaci di mostrare la timidezza di Brigitte Bardot, l’opposto dell’idea che abbiamo di lei, allora avrei accettato. Volevo essere la Bardot timida che incontra Serge Gainsbourg, quando lui le chiede di cantare e lei risponde che non ne è capace. Alla fine di questo piccolo conflitto con regia e produzione, tutto è stato come avevo chiesto». Ma non chiedetele d’indossare i panni di altre icone: «Ho fatto Arletty, ma per quel rischio d’imprigionamento, e per quello del già conosciuto, sento di non volerne interpretare altre».

Gli incontri più importanti nella carriera di Laetitia Casta sono «tutti coloro che non mi hanno mai voluto incontrare. È ciò che ancor più mi ha spinto a realizzarmi come attrice». Facendo qualche nome: «Agnes Varda, per esempio, che poi è diventata una cara amica. Il suo rifiutarmi mi ferì, ma anni dopo capii il suo appartenere a una generazione di donne che ha dovuto essere molto dura per farsi rispettare. Il suo rifiuto era una difesa, che comprendo». Comprensione che viene da un attrice in prima linea nella difesa della causa femminile e che di sé ha detto: “Non sono una femminista, sono una donna”: «È per dire che essere donna è assai più forte, e che la categoria del femminismo è addirittura limitante». E in un mondo come quello del cinema, abituato a declinare al maschile, Casta cita Julia Docournau e Rebecca Zlotowski, a testimonianza che «naturalmente, il cinema non è cosa per soli uomini».

Con la voglia di teatro, già palesatasi in teatrali ‘Scene da un matrimonio’ di Bergman, l’attrice francese si congeda: «Lo preferisco al cinema. Il teatro concede il tempo della condivisione. Mi attende un ruolo importante, quello di Clara Haskil». E per interpretare la pianista svizzero-rumena, «donna particolare», Casta sarà sola in scena. E, presto, in Svizzera.


A Locarno, col Pardo

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