Figli delle stelle

Fornelli a parte, il country ritrova Trisha Yearwood

Trisha Yearwood, 'Every girl' - ★★★★✩ - L'interprete tre volte Grammy torna dodici anni dopo l'ultimo album d'inediti. Nel disco, un nuovo duetto con Don Henley

Trisha Yearwood (Keystone)
8 ottobre 2019
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L’aneddoto è più o meno questo. Trisha Yearwood, stella nascente del country originaria della Georgia, va al concerto di Linda Ronstadt, forse la più bella voce femminile che il pop-rock abbia mai avuto, oggi minata da un Parkinson che non le permette più di emettere una sola nota; Trisha entra nel camerino di Linda e le dice quanto sia stato bello ascoltarla; Linda dice “Ma io ti conosco, mi piace un sacco il modo in cui usi la voce”; e Trisha risponde “È ovvio, ti ho rubato tutto quello che potevo” (fine dell’aneddoto). Trisha Yearwood è oggi stella affermata del country o country-pop, un tempo ‘new american music’ (anche ‘new country’), come si tentò di sdoganare in Europa un genere che inseriva soluzioni europee in una tradizione secolare e apparentemente immutabile (Yearwood, Emmylou Harris e Marty Stuart suonarono proprio in nome di tutto questo il 24 aprile del 1995 al Teatro Smeraldo di Milano).

Pochi cappelli, pochi speroni e il meglio di Nashville e dintorni, la bionda cantante dà alla luce un nuovo disco d’inediti, un anno dopo ‘Let’s be Frank’, tributo a The Voice un tantino ingessato, e ben dodici dall’ultimo ‘Heaven, Heartache and the Power of Love’. Per anni nella musica a tutto tondo, con rassicuranti e altrettanto tutte tonde forme, la Yearwood prese la via della tv nel 1997 divenendo volto noto di ‘Jag’ (Avvocati in divisa)’; in ambito culinario, il bestseller ‘Cooking in an Oklahoma Kitchen’, scritto con mamma e sorella, portò nel 2008 a ‘Trisha’s Southern Kitchen’ (Emmy award per il miglior programma culinario), in cui la cantante è un’Antonella Clerici dei fornelli a stelle e strisce.

La tre volte Grammy (con un’impressionante lista di riconoscimenti della Country Music Association) torna ora nel suo ambiente primario con ‘Every girl’, album prodotto da Garth Fundis (dietro a tutto l’essenziale della cantante) aperto lo scorso giugno dal singolo 'Every girl in this town' e, in ordine di tracce, da ‘Workin’ on whiskey’, con le armonie di Kelly Clarkson (quella di ‘Because of you’, qui anche duettante in ‘Tell me something I don’t know’). Con il consueto buon gusto nello scegliersi le canzoni, Trisha recupera ‘Home’ di Karla Bonoff (già per Bonnie Raitt in ‘Sweet forgiveness’, 1977) e ‘The Matador’ di Gretchen Peters; duetta in ‘What gave me away’ col marito Garth Brooks (uno che in patria ha venduto più dischi di Elvis), con la collega Patty Loveless in ‘Bible and a .44’ e, sul finale, torna a condividere una ballad con Don Henley degli Eagles, come in ‘Walkaway Joe’ del 1992 (col giovane Premio Oscar Matthew McConaughey nel videoclip): ‘Love you anyway’ forse non è bella come la precedente, ma tutto, nuovamente, quadra.

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