A Zurigo, nelle stanze della Srf tra cuoricini rossocrociati, la giovane cantautrice e la canzone in gara, un floreale invito all’umana compassione
Ben prima dell’avvento dei Coma_Cose, i cuoricini già erano elemento integrante del logo dell’Eurovision Song Contest (Esc) di Basilea. Anche le stanze della Srf a Zurigo sono un tripudio di cuoricini, nel lungo corridoio con la ricavata sala stampa dove il maxischermo proietta un pattern di cuori pulsanti e alle pareti campeggia – finestra sì, finestra no – il motto “Die Schweiz im Herzen”, che viene addirittura da una campagna del 2016, altro che Sanremo. È il 10 marzo, giorno zero di ‘Voyage’, la canzone che rappresenterà la Svizzera al 69esimo Esc, organizzato da noi perché Nemo lo scorso anno non lo ha vinto, ma stravinto. È soprattutto il giorno zero di Zoë Më, che ‘Voyage’ l’ha scritta insieme a Emily Middlemas e Tom Oehler e, non di meno, a Basilea la canterà. Sono le dieci di mattina e il buongiorno a tutti i germanofoni (il grosso), ai francofoni (numerosi) e agli italofoni (uno) accorsi nella città sulla Limmat lo dà Sven Epiney, dal 2008 uomo Esc per la Srf in veste di commentatore; davanti a lui, un parterre di giovani e giovanissimi comunicatori con più smartphone che laptop, tante telecamere e tanta curiosità. Chi non è qui, dove di norma si svolgono le selezioni nazionali dell’Esc, è su YouTube dove un countdown di cinque minuti porta alla sigla dell’Eurovisione prima e a ‘Voyage’ poi.
Sulla pagina del Montreux Jazz Festival, che la ospitò lo scorso anno, scrivono che Zoë Më (“vita” in greco e “occhio” in giapponese, ma senza le umlaut) ama la musica, le armonie vocali, i “rousing strings” ovvero gli archi imponenti (violini, violoncelli, viole e altro di sinfonico con corda e archetto), la magia del pianoforte (con il quale si accompagna), i beat moderni ma anche “le liriche oneste e la sensazione della luce che squarcia il buio”. Gente precisa quella di Montreux, perché quanto sopra, scritto in tempi non sospetti, sta tutto dentro ‘Voyage’, canzone piccola nella sua forma fisica ma gigantesca nel significato, minima per ingredienti e mastodontica per potenziale emotivo. Un po’ come la sua interprete, graziosa e imponente al tempo stesso, ma solo per il suo metro e ottanta centimetri, perché i lineamenti sono quelli di una 24enne. La sola cosa che non le rende giustizia è la foto ufficiale (che vi risparmiamo), dentro la quale pare una signorotta di nobile casta all’entrata di un museo di arte moderna, di nero vestita e il viso oscurato da ombre di rami.
Zoë è meglio di persona, col suo sorriso e i suoi anfibi. La comunicazione ufficiale la chiama “piccola fata con due cuori nel petto” per dire del suo unire francese e tedesco nello stesso canto. L’abbiamo ascoltata nel viaggio di andata, per non fare quelli che non mettono il naso fuori da Airolo e si perdono il buono che c’è oltreconfine, vincendo una lingua – quella germanica – che col pop a volte fa a cazzotti. Quello di Zoë Anina Kressler in arte Më non è il pop germanico di Moon and Stars, bensì un songwriting misurato; anche quando, nel 2024, si concede un abbozzo di reggaeton nel singolo ‘Le Loup’ e slanci soul in ‘Liste des interdites’ e in ‘Ok’, dove la fusione tra lingue è così armonica che se ne perdono i relativi confini. Il nostro telefono ce la fa ascoltare a partire da ‘Momoko’, album del 2020 con il bel singolo ‘Kartenhaus’, ma ci fermiamo sulla decadente ‘Dorienne Gris’, dove stanno i “rousing strings” che lei tanto ama.
Zoë è nata a Basilea, ha vissuto in Germania e poi si è trasferita a Friburgo con la famiglia. Ha iniziato a scrivere canzoni che aveva dieci anni e il valore della sua scrittura, una volta grandicella, le è stato riconosciuto più volte: Srf 3 Best Talent e RTS Artiste Radar nel 2024; ‘Dorienne Gris’, l’Ep, le è valso la partecipazione al Montreux di cui a fianco e al Luzern Live (tanto dovevamo all’anagrafe e ad iTunes).
“Lascia che io ti ami anche se tu non mi ami”, canta Zoë in ‘Voyage’, che se la si vuol mettere sul sentimentalismo da concorso canoro è una canzone d’amore come un’altra e se invece la si vuol guardare dal lato umano è compassione, azione disinteressata in via di estinzione come la tigre della Tasmania (che peraltro si è già estinta). A dirci che potrebbe non essere puro sentimentalismo è una bella frase sui fiori, con Zoë che nel video tiene in mano una patriottica stella alpina: “Un giorno capirai che i fiori sono più belli quando li annaffi”, con riferimento a quelli recisi. Insomma, i fiori sono più belli se gli dai l’acqua, e vale anche per le persone. Questo a noi è parso il senso di ‘Voyage’, nella cui strofa qualcuno troverà le armonie di ‘Fix You’ dei Coldplay, che è già di suo un canto consolatorio.
Dalla seconda strofa in avanti, ecco il crescendo di archi che tanto piace a Zoë, che non sposta di un centimetro il centro del suo balance interpretativo lasciando che a muoversi sia tutto quel che le sta intorno. Solo verso la fine si lascia trascinare da un tempo accelerato lungo il quale le luci si abbassano e la scena che parte in strada, con lei ferma a un semaforo, si svuota di ogni particolare; poi di nuovo la luce. Il tutto, portato sul palco della St. Jakobshalle il 17 maggio (siamo in finale di diritto, sempre grazie a Nemo), dovrebbe farci fare una gran bella figura, che è quella che la Svizzera fa almeno da Luca Hänni in poi, cinque artisti consecutivamente in finale.
A margine della presentazione, due parole prima con Sven Epiney, che il 17 maggio condurrà dal St. Jakob-Park di Basilea ‘Arena Plus’, la finale per i senzabiglietto. Sven non ha fatto parte della giuria che ha scelto Zoë ma è presente da sempre nel momento di selezione dei candidati. È il media-coach per gli artisti ed è entusiasta del lavoro della giuria: «È una slow song, e a volte non serve accendere tutte le luci di un palco. Non conosco ancora la coreografia di ‘Voyage’, ma è possibile che si tratterà di una dimensione intima». La giuria è arrivata a Zoë dopo avere ascoltato oltre quattrocento proposte musicali: «Si è adottato un sistema di voto simile a quello dell’Esc, per cui se Zoë non avesse preso il meglio dei punteggi, a maggio non sarebbe a Basilea».
“Non sono perfettamente bilingue, ho imparato il francese a Friburgo e il francese è la lingua più bella che esista. Farò del mio meglio”. Così era cominciata la giornata di Zoë Më. Cento o duecento interviste più tardi, siamo gli ultimi della fila e lei se la ride all’ennesimo microfono che le viene messo davanti al viso. La ritroveremo presto alla Rsi, il 7 aprile per il tradizionale showcase di presentazione di chi va all’Esc. Le chiediamo com’è stato il suo primo giorno di Eurovision: «Sto bene grazie, non si preoccupi, non sono stanca. È stata una bella occasione per incontrare tutti, ho avuto la possibilità di guardare le persone in faccia e parlare a tutte le altre attraverso di loro». Il fatto che la dolcezza di ‘Voyage’ occuperà un palco abituato a scosciamenti, ultrabassi, intermittenze da crisi epilettica, fumére, razzi, razzetti e piogge di fuoco non la preoccupa minimamente: «Trovo che sia una bella dimensione, sarò me stessa comunque. Il mio intento è quello di portare una canzone durante la quale la gente possa prendersi una specie di pausa. Vorrei fermare il mondo per tre minuti e portare tutti dentro il mio, di mondo». Alla parola “responsabilità” le si accende un altro sorriso, convinto e sonoro: «Sì, non c’è responsabilità più grande che rappresentare la Svizzera in Svizzera».
Era il giorno zero di ‘Voyage’ e di Zoë Më, con tutte le sue umlaut. Era il giorno del suo nuovo sito web, nella cui homepage una bella animazione muove i petali di un fiore e dove si legge che la giovane cantautrice ha scoperto l’amore per la lingua francese leggendo Molière. Basilea non è lontana e nessuno chiederà a Zoë di vincere, perché poi ci si farebbe l’abitudine, ma di regalarci qualche brivido in più di quelli che ‘Voyage’ regala già. Non le diciamo “buon viaggio” perché sembrerebbe una battuta, ma il senso quello è.