‘L'Iva di Dio - Messa per uno scalo merci’, snodata tra i magazzini di diverse società chiassesi, momento da ricordare dell'ultimo ChiassoLetteraria
Esiste un muro invisibile allo scalo merci, che ci mette di fronte alla domanda: e tu da che parte stai? Assistere al rito collettivo della compagnia la Syndrome – del resto questo dovrebbe essere il teatro, rito collettivo, esperienza condivisa, viaggio catartico negli inferi – ‘L’Iva di Dio. Messa per uno scalo merci’, è stata occasione di una concreta riflessione su colpa e innocenza, un’espiazione a tutto tondo più che dai propri peccati da quelli di una civiltà. Una messa tra sacro e profano – meno profana di tanta presunta sacralità qui intorno – delirante e trasbordante, folle e barocca, un incontro con una coscienza collettiva, una rara testimonianza di impegno civile. Processioni felliniane, la satira dell’opera buffa, polifonie e canti da far vibrare il cuore (Neda Cainero, Francesco Quartuccio), e poi la musica (del Mendrisiotto) che eleva. Difficile spiegare a parole cosa abbiamo visto, in questo happening site specific (due rappresentazioni soltanto!) nel quale la figura cardinalizia di Manuel Maria Perrone, poeta sgangherato, buffone illuminato, autore e regista insieme a Juri Cainero del visionario rito, ci ha accompagnato attraverso una liturgia conosciuta in territori sconosciuti.
L’ungarettiano girovagare alla ricerca di un Paese innocente, tema portante di ChiassoLetteraria quest’anno, è stato qui declinato in: “Cercavo un Paese innocente ma non mi hanno rinnovato il permesso”. Da un hangar industriale della stazione di Chiasso ai binari e alle piattaforme dello scalo merci, veniamo messi nella condizione di sentirci noi i profughi, i migranti, quella merce scomoda perché si muove, sporca e pensa, che deve seguire un percorso di orrori tra macerie e morte, nomi di un elenco, spogliati e gettati via. Indimenticabile il Cristo in croce sopra le macerie (Piera Gianotti) che elenca le colpe: di chi, per cosa, son tutti conti che dovremo farci noi con la nostra coscienza, e non basterà un lumino. Siamo su quei binari in cui tanti hanno trovato la morte – lo testimoniano le tante croci grigie, non serve andare molto lontano per parlare di fallimento umano di frontiera. E poi infine la grandeur, la torre del Punto Franco dove compare proiettato in questa notte dalla splendida luna un Dio in tutto il suo Spleen, sigaretta tra le labbra che si spegne insieme a lui, di fronte alla desolazione di una civiltà perduta. Deus ex machina piombato in una lotta all’ultimo volt tra bene e male, che non risolve un bel niente qui, ma che dà il via a un delirante finale catartico e baccanale proprio quando credevamo che tutto fosse perduto.