laR+ L'intervista

Barbara Baraldi e i Dylaniati dalla paura

Incontriamo la maestra del thriller e curatrice della serie Dylan Dog di Sergio Bonelli, ospite il 16 maggio di ‘Tutti i colori del giallo’

Alle 18 nell’incontro ‘Immaginare la Paura’, intervistata da Teo Lorini
13 maggio 2025
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Stephen King, tanto per citarne uno a caso, afferma che allenarsi alla paura è l’unico modo per affrontarla nella vita di tutti i giorni. A piccole dosi, giusto per assaggiare i propri incubi, capire di che pasta sono fatti e farsi un po’ di anticorpi per le insidie della realtà. Come accade con i vaccini, insomma.

Pluripremiata maestra del thriller, sceneggiatrice di fumetti e dal 2023 curatrice della serie cult ‘Dylan Dog’, Barbara Baraldi è cresciuta a pane e paura sulle orme dei grandi scrittori del terrore, dal Perrault dell’infanzia per poi passare al Poe dell’adolescenza e proseguire sulla strada – tortuosa e sinistra – di Stephen King. Alcuni suoi romanzi della serie dedicata ad Aurora Scalviati profiler del buio, edita da Giunti, sono diventati veri e propri best seller. Il 16 maggio sarà a ‘Tutti i colori del giallo’ per immaginare la paura insieme a Teo Lorini e a Claudio Simonetti.

Perché proprio il thriller?

Il thriller con sfumature horror mi ha sempre affascinata. Fin da piccola. Le mie due nonne amavano raccontarmi storie del terrore. Una adorava Barbablù, l’altra preferiva i ricordi della Seconda Guerra Mondiale, l’orrore della vita vera. Ne uscivo ogni volta piuttosto scossa, mi mancava il respiro. Poi però arrivava la Liberazione. Guardavo la paura, ma da un luogo sicuro. Imparavo a conoscerla sapendo che non poteva farmi del male.

Come ha costruito il personaggio della profiler Aurora Scalviati?

Aurora nasce in uno dei periodi più cupi della mia vita, durante il terremoto in Emilia. Vivevo sull’epicentro. Una notte sono dovuta scappare abbandonando tutto. La mansarda si è salvata, ma dentro era tutto distrutto: tazze, piatti, lavatrice. Ho dormito in auto per un po’, ed è stato allora che mi è apparsa Aurora. Una profiler dalla mente geniale, colpita alla testa durante un conflitto a fuoco da una scheggia impossibile da operare. Poco dopo le viene diagnosticato un disturbo bipolare. Anche lei si ritrova a dover ricominciare da zero. Mentre la portavo fuori dal buio, lei portava fuori me. Ci siamo salvate a vicenda. E all’improvviso non ero più in Emilia, ma a Sparvara, un luogo realmente esistito ma cancellato da una piena del Po. Il posto perfetto in cui far vivere la mia nuova creatura.

Oltre che romanziera è anche autrice di graphic novel. Come cambia la scrittura?

Io preferisco sempre chiamarli fumetti. Graphic novel è un termine sofisticato mentre fumetto è popolare. Ho iniziato a scrivere con Dylan Dog, il personaggio nato dalla penna geniale di Tiziano Sclavi, che ormai ha quasi quarant’anni ma resta in testa alle classifiche. Sono cresciuta con lui, da adolescente me ne sono innamorata. Ogni mese entravo nell’incubo attraverso la lente della psicanalisi, della filosofia, dell’orrore puro, ma anche della più comica ironia. Perché Dylan Dog ha mille sfaccettature. Non a caso Umberto Eco diceva: “Posso leggere la Bibbia, Omero e Dylan Dog per giorni e giorni senza annoiarmi”.

Com’è stato il primo incontro con il suo mito?

La mia prima storia è stata pubblicata nel 2012, poi mi sono fatta le ossa e sono diventata una delle sceneggiatrici di punta. Quest’anno uno dei miei fumetti ha vinto il Premio Elsa Morante: un volume speciale, con copertina cartonata, ispirato a ‘Jenny è pazza’ di Vasco Rossi. È un omaggio dell’Indagatore dell’Incubo al rocker emiliano. La canzone parla di depressione, esce nel ’77 quando nessuno ne parlava.

Dal 2023 è stata nominata curatrice della serie di Dylan Dog. Un incarico da far tremare i polsi, come lei stessa ha dichiarato.

Mi piace molto la parola cura. Perché è proprio di questo che mi occupo: seguo tutte le fasi della creazione, dalla scelta della storia alla copertina, fino alla vendita in edicola. La cosa più stimolante è capire il potenziale di una storia a partire dallo script della sintesi che i collaboratori mi sottopongono. Quando l’idea è brutta o bella è facile. Diventa invece più complesso quando qualcosa di potente è schiacciato da personaggi troppo deboli o da un finale dimenticabile. Quello che dico sempre ai miei sceneggiatori è che vorrei che scrivessero ogni storia come se fosse l’ultima, quella per cui vorrebbero essere ricordati.

Come si fa a indagare l’incubo?

L’orrore ha molte sfumature e Dylan Dog si muove in diversi campi. A volte sa essere un buon classico della paura, altre un ibrido con punte comiche o profondamente psicanalitiche. L’obiettivo è portare in edicola l’inaspettato. Quando promuovo il soggetto penso al disegnatore più giusto per valorizzare la storia. Se, ad esempio, ho davanti una fiaba nera la do senz’altro a Corrado Roi, maestro delle ombre.

Come si è evoluto e si evolverà questo personaggio?

Dylan riflette da sempre sulla contemporaneità. È un fumetto senza tempo, ma ha i piedi ben piantati nel presente. Quando si va a scavare, come fa lui, nell’essere umano si scopre che le paure sono sempre le stesse. Vivono dentro di noi. Generano incubi. I nostri finali raramente consolano. Perché non c’è un’unica soluzione. È bene pensarci un po’ su. Anche per giorni. È allora che l’episodio funziona.

Chi sono i lettori di Dylan Dog? Come sono cambiati rispetto al passato?

Di solito sono persone di età compresa tra i 35 e i 55 anni, letteralmente cresciuti con il fumetto. Alcuni mi raccontano che Dylan Dog è l’unica costante della loro vita: sopravvissuto a fidanzate, lavori vari, traslochi, lutti. Ci sono anche lettori giovani che si avvicinano al fumetto, quando ne scoprono l’esistenza. Ma le edicole stanno via via diminuendo, sono luoghi che i ragazzi non frequentano abitualmente. L’incontro è più difficile per loro. Per questo lavoriamo molto su copertine che attirano l’attenzione.

Qual è la ricetta vincente per la vendita?

Sicuramente funziona molto il passaparola. Con i miei primi romanzi sono partita da piccoli editori, per poi arrivare a Einaudi, Giunti, Castelvecchi. Ma ci deve essere anche la voglia di proporre la storia migliore che tu possa scrivere e avere il coraggio di fermarsi quando un tema si è esaurito. Con Aurora è andata così. Almeno per ora. Con ‘La bambola dagli occhi di cristallo’ invece sono tornata a un romanzo nato dalla rabbia: nel 2008 fu un esordio fortissimo con Mondadori, ispirato a un caso di cronaca realmente accaduto. L’anno scorso è uscito in una nuova edizione. Dopo diciotto anni, l’urgenza e la voglia di lavorare su quella storia sono rimaste intatte. È un nuovo romanzo dal cuore antico, con un’estetica che richiama il Dario Argento delle origini.

Tutti i colori del giallo 2025 omaggia Dario Argento: di cosa ci parlerà a Massagno?

Parleremo senz’altro di paura, di come raccontarla attraverso il romanzo e il fumetto. E il file rouge sarà proprio ‘Profondo rosso’, il mio film preferito. L’ho omaggiato in tanti libri e sceneggiature, seminando qua e là citazioni e riferimenti. Nel mio primo Dylan la scena finale con l’ascensore si riferisce proprio a lui. Sono molto felice di incontrare Claudio Simonetti che, peraltro, è un grande fan di Dylan, come io lo sono dei Goblin. Siamo dylaniati, per così dire.