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Zurigo spazzata dall’onda coreana

‘Hallyu! The Korean Wave’, arte e cultura pop da ‘Gangnam Style’ agli hanbok, dai vasi di sapone a ‘Squid Game’, al Museo Rietberg fino al 17 agosto

In collaborazione con il Victoria and Albert Museum di Londra. Nella foto: Samsung Electronics TV, linea di produzione, anni Settanta
(Samsung Innovation Museum)
22 aprile 2025
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Interessantissima, densa, divertente, interattiva: questi alcuni degli aggettivi che è d’obbligo usare per descrivere l’esposizione da poco sbarcata al Museo Rietberg di Zurigo e dedicata all’hallyu, cioè all’arte e alla cultura pop coreana. Aperta fino al 17 agosto, la mostra è stata allestita in collaborazione con il Victoria and Albert Museum di Londra e comprende un programma d’intrattenimento ricco e fantasioso, che spazia dai workshop per i bambini e le scuole, agli atelier di cosmesi, fino ad arrivare alla serie di concerti denominata Hallyu Goes Classic o alla conferenza imperniata sugli itinerari globali dell’arte e della cultura coreana che si terrà il 16 maggio.

Dalla sua comparsa alla fine degli anni Novanta, il fenomeno dell’hallyu si è diffuso in ogni angolo del pianeta. Con oltre 200 oggetti, la mostra fa luce sulla storia della cultura pop coreana e sui suoi legami con l’arte tradizionale, nonché sulla sua influenza globale a livello di musica pop, cinema, moda e videoarte.

La visita inizia al piano superiore dove, appena si varca la soglia, si fa fatica a non ballare al contagioso ritmo del video di ‘Gangnam Style’ proiettato su un’enorme parete. La canzone, che ha avuto un successo stratosferico, nel 2012 è stata la prima a superare il miliardo di visualizzazioni su YouTube, mentre nella classifica assoluta si trova al decimo posto. Tutti la conoscono, ma pochi sanno che il testo è una satira su coloro che, per darsi un tono, fingono di vivere nel quartiere di Gangnam a Seoul, noto per la sua enorme ricchezza e l’alta concentrazione di società finanziarie. A fare da contrasto alla cultura popolare, sullo stesso piano si trovano alcune opere d’arte contemporanea basate sulla tradizione, come i “fiori di prugno reincarnati” di Kim Changdeok. Ispiratosi allo studioso e artista del 18esimo secolo Lee Deok-mu, che usava la cera d’api per creare fiori di prugno eterni da gustare tutto l’anno bevendo il tè, Kim ha sviluppato i propri fiori di prugno attraverso un processo di rinascita in cui la cera prodotta dalle api passa attraverso la mano dell’artista ritrasformandosi in fiori. Accanto a quest’opera poetica è possibile ammirare anche un vaso realizzato da Shin Meekyoung con il sapone, un materiale che si consuma e scompare col tempo, ideale per ricreare reperti culturali.


Chunho An
‘What you see is the unseen’ di Kyungah Ham

Un passo indietro

Quando si passa al piano inferiore ci si immerge in un caleidoscopio di impressioni così sfaccettato e abbagliante che è facile perdere la cognizione del tempo camminando fra poster di film, prodotti commerciali e artistici, foto d’epoca, costumi, video. Per capire un po’ meglio l’origine di tanto successo è però necessario fare un passo indietro e andare a frugare nella storia. Nel corso di due generazioni la Corea ha subito una rapida trasformazione passando da un’economia agricola a una digitale basata sui servizi. Nonostante la forte spinta in avanti e l’influenza del modello statunitense, ancora oggi nella società coreana dominano i valori socioculturali tradizionali, come l’ideologia neoconfuciana della dinastia Joseon, che ha guidato il paese per un lunghissimo lasso di tempo, e più precisamente dal 1392 al 1910, anno in cui l’allora protettorato giapponese venne trasformato in una feroce dominazione coloniale. Con la fine della Seconda guerra mondiale e la sconfitta del Giappone nel 1945, il giogo giapponese cadde e il Paese venne diviso dagli alleati lungo il 38° parallelo, con la metà a nord sotto l’influenza dell’Unione Sovietica e la metà a sud sotto l’influenza degli Stati Uniti. La tensione creatasi causò la Guerra di Corea (1950 – 1953) e in seguito, nel 1961, un colpo di stato trasformò la Corea del Sud in una dittatura. Il regime militare promosse una rapida modernizzazione e industrializzazione, sostenendo la crescita di grandi conglomerati come Samsung, LG e Hyundai.

Dopo il grande boom del cinema avvenuto negli anni Cinquanta, nei due decenni seguenti vi fu una diffusione di massa della radio e della televisione. Nel 1988, in seguito a pacifiche dimostrazioni di piazza scaturite da un forte bisogno di libertà a lungo represso nella popolazione, il regime dittatoriale cadde. Negli anni Novanta il governo riconobbe il potenziale economico dell’industria della cultura e investì nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. È da questo contesto, e dalla convergenza tra politiche culturali, industrie creative e tecnologie digitali, che è nata l’hallyu, la Korean Wave o onda coreana, che negli ultimi decenni ha lanciato industrie dell’intrattenimento di successo globale – come il K-drama, e il K-pop – trasformando l’immagine della Corea all’estero.

Chi partecipa alla visita guidata di un’ora – compresa nel biglietto il mercoledì alle 18.30 (in inglese il primo mercoledì di ogni mese), il giovedì alle 12.15 e la domenica alle 11 – scopre tantissime curiosità. Innanzitutto che questa è una mostra molto frequentata dai giovani, che vengono per approfondire tematiche che già conoscono oppure per provare il divertente angolo interattivo, dov’è possibile imparare le mosse di danza delle star del K-pop e ricevere una valutazione immediata della propria performance. In effetti, guardandosi in giro si nota che la maggior parte dei visitatori ha meno di trent’anni: un’ulteriore conferma della forte influenza esercitata sui giovani dalla cultura coreana, che ha saputo e sa lanciare trend a livello mondiale. È in Corea che negli anni Sessanta è per esempio nata la videoarte, grazie all’artista Nam June Paik, che per primo ne ha esplorato le potenzialità attraverso installazioni, performance e manipolazioni dell’immagine.


Jihoon Jung
Saekdong by Darcygom

In principio fu la K-beauty

Durante il tour viene tematizzata anche la passione, o forse ossessione, per l’estetica che caratterizza la cultura coreana: non a caso la LG, famosissima industria dell’elettronica, ha iniziato proprio con una crema per il viso, uno degli innumerevoli prodotti sfornati dalla K-beauty, l’industria cosmetica coreana, conosciuta per l’approccio olistico e multilivello alla cura della pelle con un forte focus sulla ricerca e sviluppo. A essa è dedicata un’intera sala, dove si apprende che i coreani sono stati i primi a usare gli estratti di tè verde nei loro prodotti o che gli imballaggi vengono studiati con cura e rivestono quasi la stessa importanza dei principi attivi contenuti. E se la cosmesi coreana è all’avanguardia, lo è anche la chirurgia plastica, una pratica molto comune e indispensabile per avere i corpi perfetti che la società richiede. Si tratta di un “obbligo” che riguarda non solo le donne, ma anche gli uomini, che in generale si truccano e fanno il possibile per migliorare il proprio aspetto e apparire più “convincenti” e “vincenti”.

Non bisogna dimenticare che il K-pop – amato per le melodie orecchiabili, i testi confortanti e le potenti coreografie – è iniziato con le boy band e che i gruppi femminili sono arrivati solo dopo. Per preparare gli aspiranti “idoli” della musica sono state fondate accademie apposite che sottopongono ragazzi e ragazze a programmi rigorosi e stressanti. È una società basata sulla performance, quella coreana, e non solo in ambito artistico: chi non riesce nella vita, rischia di restare indietro e perdersi. È la faccia oscura del successo, che crea grandi frustrazioni e, nei casi più estremi, suicidi.


Netflix
‘Squid Game’, la serie

Televisione

Come si accennava prima, accanto alla pressione del mondo moderno convivono però anche i valori tradizionali del buddismo, del confucianesimo e dell’animismo; se il buddismo insegna che non esiste un sé permanente o immutabile e che tutto è in costante cambiamento e interconnessione, il confucianesimo attribuisce grande importanza alla benevolenza, alla giustizia, alla conoscenza e al rispetto verso genitori e antenati, mentre l’animismo è intimamente legato alle forze della natura. Tutta la complessità di queste filosofie la si ritrova nei film, nelle serie TV e nei webtoon made in Korea. I webtoon in particolare – un’innovazione coreana che consiste in un cartone animato digitale letto verticalmente scorrendo verso il basso – sono nati per caso come diari online e si sono poi evoluti in narrazioni più complesse diventando una fonte d’ispirazione per il K-drama e i giochi per computer. Come sottolinea la guida, in Corea non si raccontano storie hollywoodiane costruite sul semplice contrasto tra buoni e cattivi, ma si esplorano in profondità i sentimenti umani, come nella famosissima serie ‘Squid Game’ – la cui prima stagione è stata vista più di 162 milioni di volte in soli 11 giorni e la seconda 68 milioni di volte in soli 3 giorni – o ‘Parasite’, film vincitore di quattro Oscar nel 2020 che esamina temi importanti come la disuguaglianza di classe, l’ambizione e la disperazione, la fragilità dei rapporti umani. A esso i curatori dell’esposizione hanno dedicato ampio spazio ricostruendo addirittura il famoso bagno sporco e angusto simbolo della vulnerabilità della famiglia Kim.

Ciò che infine vale per il cinema vale anche per la moda, che occupa una vasta area alla fine della mostra, nella quale accanto a capi tradizionali come gli hanbok (i costumi femminili) si trovano originali rivisitazioni in chiave moderna.

Due ore di visita sembrano tante, ma passano in un soffio e quasi si vorrebbe restare altre due ore ancora, ma l’aria primaverile chiama e fuori il parco del Museo Rietberg, con le sue panchine, invita i visitatori a sedersi sotto un albero e ammirare lo spettacolo della natura seguendo la dottrina buddhista, che vede nella natura un’insegnante silenziosa capace di mostrare la saggezza intrinseca di tutte le cose.


‘Parasite’, il bagno della famiglia Kim (ricostruzione)