Nel libro edito da Feltrinelli, Daniel Pennac intreccia autobiografia e invenzione letteraria svelando la genesi di alcuni dei suoi soggetti
Quando molti degli amici che ci hanno accompagnato nel corso di una vita ci osservano dalla libreria vuol dire che di tempo ne è passato parecchio dalla nostra nascita. Che, volenti o nolenti, abbiamo dovuto assistere a molte partenze, come passeggeri rimasti a piedi su una banchina sempre più deserta. Nessun uomo è un’isola, direbbe John Donne. Attraversare la vita da soli non è mai una buona idea. Meglio escogitare qualche trucco, tentare di prolungare le amicizie anche quando in questo mondo scompaiono. E Daniel Pennac, durante la sua lunga e prolifica carriera di romanziere e saggista, ha fatto proprio così. Ne ‘Il mio assassino’, edito da Feltrinelli nella traduzione italiana di Yasmina Mélaouah, l’autore intreccia autobiografia e invenzione letteraria svelando la genesi di alcuni dei suoi soggetti, indimenticabili protagonisti della saga Malaussène. In ognuno di essi si nasconde un incontro.
“Qual è la prima molla che trasforma l’amico nel personaggio di un romanzo? – si chiede Pennac – Il desiderio dell’autore di godere ancora della sua compagnia”.
Dietro molte delle creature nate dalla fantasia dello scrittore francese si cela dunque una persona in carne e ossa che continua a vivere tra le pagine.
Sono insetti intrappolati nell’ambra della letteratura, le amicizie di Pennac. Continuano a vivere là dentro, si stratificano in una nuova dimensione, si trasformano restando però intatte nello spirito che le ha generate.
È un oggetto strano, ‘Il mio assassino’: i capitoli brevi, a volte brevissimi, ripercorrono la storia dell’infanzia di Nonnino, il malfattore per eccellenza di Capolinea Malaussène. Ma la narrazione è continuamente interrotta da aneddoti, riflessioni, digressioni che costringono il lettore a spostarsi velocemente da un ambiente all’altro, come fa il viaggiatore alla ricerca del suo posto in un lungo treno. Gli scompartimenti si susseguono, tanto vale dare un’occhiata all’interno per vedere chi c’è. Ma dove sedersi questa volta? La destinazione non è chiara, non c’è una meta ma, piuttosto, la voglia di godersi il tragitto, mostrando intanto in che modo nasce un personaggio, quali sono le suggestioni che lo rendono vitale e, soprattutto, dove sta l’autore durante questo parto:
“L’unica speranza che ho, di fronte al bilancio disastroso che mi suggerisce la mia epoca, è quella di essere diventato un vecchio rincoglionito che fa bilanci disastrosi, uno di quei distillatori del disincanto da cui possono scaturire personaggi nerissimi come Nonnino. Dopo tutto, da qualche parte deve pur saltar fuori, quell’assassino”.