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Tutte le ragazze tristi di Sara Marzullo

In ‘Sad Girl-la ragazza come teoria’, l'invito a esaminare la relazione tra tristezza, adolescenza e identità femminile nell'epoca del consumismo emotivo

Edito da 66thand2nd

Laura Palmer, le sorelle Lisbon, Maria Antonietta, hanno una cosa in comune oltre a essere inesorabilmente giovani (e un epilogo piuttosto definitivo): incarnano quell’archetipo hollywoodiano della ragazza triste e inafferrabile, eterne adolescenti sigillate nel tempo con un cd di Cat Power in loop e la loro copia spiegazzata di un romanzo di Virginia Woolf. Cosa sappiamo veramente di loro? Niente, ma più queste ragazze sono abbozzate, più diventano icone rappresentative di un fenomeno più ampio.

In ‘Sad Girl. La ragazza come teoria’ (66thand2nd, 2024), Sara Marzullo, veterana del club delle ragazze tristi, si lancia in una riflessione personale sul significato dell’essere una ragazza e sul ruolo che gli anni dell’adolescenza hanno avuto nel definirla, oscillando tra un prodotto mediatico e l’autentica rivelazione del sé. Dopotutto, quale adolescente non desidererebbe essere Effy Stonem, la ribelle dello show ‘Skins’, piuttosto che una studentessa oberata da interrogazioni in preda a una tempesta ormonale?

Nel tentativo di distinguersi ed emulare le icone nascoste tra le pagine dei libri o nelle serie da bollino rosso, Marzullo spiega come si finisca per affollare lo stesso angolo di tristezza, trasformando le ragazze in un esercito di tristi uniche e irripetibili, ognuna convinta della sua singolare infelicità.

Potrei fare un parallelismo con Sofia Coppola e la sua fissazione per ragazze che sospirano guardando tristemente fuori dalle finestre di case immacolate, ma la scrittrice ci solleva al di sopra di questa immagine da cliché, conducendoci in una peregrinazione antropologica nella cultura della tristezza come fenomeno sociale. Tra citazioni di ‘Prozac Nation’ e riferimenti a Lana Del Rey, che per le “sad girl” è un po’ come la Madonna per i cattolici (non si discute, si venera), Marzullo riesce a costruire un ponte fra la tristezza e la sua estetizzazione. Potrebbe essere percepito come l’ennesimo tentativo di indagare l’adolescenza femminile, invece è un viaggio attraverso la bellezza dolorosa dell’essere giovani in un’epoca in cui la tristezza è diventata un bene di consumo.

La sad girl è un brand, una moda, un hashtag. Ma è anche un sentimento profondo che non può essere semplicemente impacchettato e venduto, nonostante i migliori sforzi del capitalismo. Le pagine del saggio sono un terreno di mezzo tra un’esplorazione filosofica e un messaggio di conforto inviato a quelle anime perse tra i filtri di Instagram alla ricerca di un’estetica che renda la malinconia non solo accettabile, ma desiderabile.

Marzullo ci chiede se ciò che vediamo contribuisca a perpetuare il mito della giovinezza eterna, della ragazza in bilico tra la visibilità e l’invisibilità, tra l’essere desiderata e desiderabile senza mai avere il pieno controllo della propria narrazione. Da “Non è la Rai” a Britney Spears, fa presente il modo in cui la celebrità femminile è “cotta e mangiata”, plasmata, reinventata e messa in scena da uomini ben adulti, appostati dietro le quinte. Diventa chiaro come il confine tra realtà e finzione sia sottile e, nonostante l’autrice scavi a fondo, riemerge all’ultima pagina solo con un nuovo interrogativo tra le mani: dobbiamo gioire per l’attenzione verso il giovane universo femminile o rabbrividire per la morbosa curiosità con cui viene trattato?

Per quanto ne siamo ossessionati, nessuno si curerà di quelle adolescenti appena oseranno crescere un po’, varcando il confine che le trasforma da “signorina” a “donna”, a confermare che il mascara colato è seducente solo quando è ancora vietato servirti da bere ai bar. Quello che avviene dopo quell’adolescenza così vivisezionata è invisibile, fuori dai radar mediatici e dai nostri schermi. E, come falene, si farebbe di tutto pur di tornare sotto la calda luce dei riflettori ed essere vista ancora una volta.

“La maturità si è trasformata in una seconda girlhood: la promessa dell’eterno rinnovamento cela anche una nevrotica impossibilità di definirsi, di agire, di costruirsi un io sufficientemente solido”, conclude Marzullo. “In cambio di questa indeterminatezza, tuttavia, c’è la giovinezza infinita... È una promessa d’amore irta di tranelli, un patto faustiano, affascinante in parte, ma in cui il prezzo da pagare è dover rimanere visibili, restare prigioniere della propria capacità riflettente. Per sempre nella casa degli specchi”.

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