LA RECENSIONE

Alfonsina Storni in un mondo di uomini

Casagrande pubblica ‘Poemas de amor’, in cui la grande poetessa argentina nata in Ticino rivendica la libertà delle proprie scelte

A Mar del Plata nel 1936
29 ottobre 2023
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"Queste poesie sono semplici espressioni di momenti d'amore" e il libro che le raccoglie "appena osa essere una delle tante lacrime cadute da occhi umani": Alfonsina Storni sembra schermirsi, introducendo ‘Poemas de amor’ (ed. Casagrande, trad. di Augusta López-Bernasocchi), un'incursione nella prosa poetica dopo aver percorso misure più tradizionali. È il 1926, tre anni prima che Virginia Woolf reclami una stanza tutta per sé, e già da tempo Alfonsina, nata a Sala Capriasca nel 1892 e trasferitasi con la famiglia in Argentina nel 1896, vanta una propria zona di autonomia personale, uno spazio fuori posto, lontano dal centro, adatto a lei che non si sente a proprio agio in nessun ambiente: alcuni le stanno stretti e altri larghi, nella letteratura e nella vita. Lo spazio bianco che avvolge le sue parole è carico di desiderio erotico, passione e abbandono. Un desiderio scandalosamente declinato al femminile, in un'epoca che riserva agli uomini la consapevolezza del piacere e la sua espressione poetica. "Stai circolando nelle mie vene. Ti sento scorrere lentamente. Appoggio le dita sulle arterie delle tempie, del collo, dei polsi per toccarti", ma non scopriremo mai l'oggetto del suo desiderio, che lei custodisce per proteggerlo dalla curiosità, dall'indifferenza e dalla malvagità ("Scruterete i miei occhi per scoprirlo e altro non vi vedrete che il fulgore dell’estasi"), lei che lotta per affermarsi nel mondo delle lettere da madre single, difendendo l'indipendenza economica e affettiva, la libertà di scegliere, di decidere, assumendosene la responsabilità e pagando, se necessario, in prima persona. "Ti amo perché non somigli a nessuno. Perché sei, come me, orgoglioso": con altrettanto orgoglio Alfonsina volta le spalle ai limiti imposti dalle convenzioni sociali: le spernacchia e le indebolisce, senza lasciarsene incastrare né limitare.

Vivere e morire in linea retta

Merita una visita, a tale proposito, il cimitero della Chacarita, a Buenos Aires, in cui riposano Evaristo Carriego, Carlos Gardel, Osvaldo Soriano (insieme a eroi popolari come i calciatori Yazalde, Houseman, Pedernera e Labruna); c’è anche la tomba di Alfonsina, finanziata vendendo il pianoforte Stenway del Café Tortoni, a cui si appoggiava per recitare i suoi versi: una figura femminile che sta per spiccare il volo da un blocco di granito, metafora di un'ostinata emancipazione dall'ottusità dei pregiudizi e dal maschilismo della morale corrente. Una morale che non solo regola soltanto i rituali amorosi e limita l'accesso alla società letteraria e alle opportunità lavorative, ma che per di più orienta i consumi, rendendo la gente prigioniera dei suoi acquisti, anzi identificandola con la propria capacità di spesa: come Alfonsina nota in corrosivi bozzetti (anch'essi pubblicati da Casagrande, col titolo ‘Cronache da Buenos Aires’), “nella terra d’origine, l’emigrata aveva una personalità: si chiamava María, Juana o Rosa, ed era uno dei sei o sette membri della sua famiglia. Risultava il fiore di un piccolo giardino, una possibilità e una promessa (…). Gli alberi dei viali parevano dire: quella che sta passando si chiama María, o Juana, o Rosa… Gli alberi di Buenos Aires, invece, dicono che colei che passa è un libretto di risparmio”. E anche la sua morte è un atto di ribellione: così come ha vissuto, infrangendo le regole con un atto di libertà, nel 1938 Alfonsina si congeda, con coraggio, togliendosi la vita prima che un tumore al seno gliela renda impossibile. Ma, prima, a segnare l'uscita di scena, un'ultima beffa, un'ultima dichiarazione di indipendenza, un ultimo schiaffo allo stereotipo della donna disponibile e subalterna, i versi finali dell'ultima poesia, ironicamente intitolata ‘Vado a dormire’: "Ah, un incarico / se lui chiama di nuovo per telefono / digli che non insista, che sono uscita...".

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