Estate giallo-nera

Parole e misteri di ‘Betty’

Georges Simenon e la bella donna che approda in un bar degli Champs-Élysées...

Georges Joseph Christian Simenon
(Keystone)

In che misura è un gioco un giallo? Lo scrittore mediocre gioca con un generico lettore, con una figura annebbiata che crede il Lettore e che non esiste; lo scrittore autentico gioca con la storia e con se stesso, ma soprattutto lascia che la storia giochi con lui. E quanto è capiente, poi, un giallo? Dev'esserci il morto a ogni costo? A che punto della storia è preferibile che compaia? Può chiudersi con una morte invece che cominciare? Qualche tempo dopo le investigazioni geometriche, asettiche, enigmistiche, abilissime a muoversi nel disinfettato labirinto scelto per contesto, ecco nascere storie più somiglianti alla restante narrativa, prive di geometrie e impure, in cui l'enigma è complicato dalla sregolatezza della realtà.

In ‘Betty’ sembra che Simenon porti avanti tutti i giochi accennati, i più difficili e disinteressati e i più correnti, celando e svelando in maniera un poco calcolata. Cova il finale già congegnato e lo va ritardando, sorridendo tra sé. Leggendo ‘Betty’ per la terza volta mi sforzo di seguire la protagonista da vicino, mi concentro su di lei perché l'ambiente ha qualcosa di falso o troppo visto. Il nome di uno dei nostri maggiori critici però, Pier Vincenzo Mengaldo, mi visita ogni poche pagine. Nel solo nome, ho un compagno per proseguire con maggior fiducia. Ricordo che in un suo articolo sull'autore belga nomina Betty. L'articolo è fortemente elogiativo e penso che la storia di Betty rientrerà negli elogi. Mi faccio doppia forza: quella per andare avanti con il consueto abbandono di ogni lettura di Simenon, che rischia di essere compromesso, e l'altra per impedirmi di rileggere subito l'articolo di Mengaldo (in Giudizi di valore).

Continuo la lettura sforzandomi di separare il vero dal falso. Betty è vera quasi al cento per cento. Tutto è incentrato su di lei, sui suoi pensieri e ricordi. Parla lo scrittore ma la voce è la sua. Anche Laure è vera: un'altra Betty che si è addentrata più a fondo nella vita che la sua nuova amica sta per intraprendere, ora, con una risoluzione forse definitiva. Gli uomini non sono altrettanto autentici. E Mario, il proprietario del bar – metà della storia si svolge in un bar, l'altra metà in un hotel –, mezzo avventuriero ora amante di Laure, è un guscio di personaggio. Temi che le cose peggiorino: che il suo ruolo nelle vicende cresca e contamini tutto l'autentico.

Betty diventa sempre più loquace, in parole e in pensieri. Molto del mistero starà in ciò che continuerà a tacere. Tre giorni fa era ancora in casa con il marito e le due figlie. Sorpresa con un amante – azione che getta il sospetto sulla sua vita precedente – è scacciata di casa più dalla sua suocera che dal marito Guy, con tanto di dichiarazione firmata sul rinunciare ai suoi diritti di moglie e madre, in cambio di un assegno che è solo l'anticipo. Il romanzo diventa così la storia di tre giorni di abiezione e ricordi di abiezione, inseriti tra una scena e l'altra. Proseguo pensando a Mengaldo, che non può essersi sbagliato. Avrà fondato il suo cenno alla storia di Betty sull'ambiente, nel ricreare il quale Simenon è un maestro? O sulla ricostruzione psicologica dei personaggi, altro suo grande dono? Cerco altri appigli per non precipitare - come Betty nel suo volontario "sporcarsi", concetto che ripete spesso -, perché voglio convincermi che Simenon sia un grande scrittore sempre. Ma è impossibile, e poi che fa, fallire un romanzo? Ricordo che la storia è uscita nel 1961, lo stesso anno dei due maggiori articoli che Sciascia dedica all'autore e che ho riempito di sottolineature: tutte impressioni, giudizi che non riuscirò a riportare qui. Intanto Betty oscilla tra risalite e nuove cadute. Le scarse forze che riprende nel letto dell'hotel va a consumarle al bar quella sera stessa. Tormentando sé e i lettori con paure, sensi di colpa, viltà. Si interroga sulle vere intenzioni di Laure, che l'ha portata in albergo e si prende cura di lei. Anche tu ti interroghi su questo, ma soprattutto hai paura di Mario. Che esca dal suo bancone, solo posto in cui non sfigura. Nemmeno il nome l'aiuta, veramente, tra i vari Jules, Guy, Thérèse, Charlotte, Bernard.

Secondo Mengaldo, Simenon e Maigret davano il meglio fuori da Parigi. "È sufficiente pensare a uno dei suoi libri più notevoli senza Maigret, e in fondo senza giallo, Betty, ambientato in larga parte a Versailles in toni onirici: ebbene, in questa trattoria credete subito di esserci sempre stati... onirismo e profonda caratterizzazione si invertono reciprocamente".

È vero, ma Mario? Se Mario decidesse di lasciare il suo bancone?

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