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Bellinzona, il Cantone, lo storico

Il quaderno delle ‘Nuove lezioni bellinzonesi’, la ricerca di Jessica Beffa e un ricordo dello storico scomparso nel dicembre scorso

Pubblichiamo contenuti da ‘Otium’, pagina culturale a scadenza mensile

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Invito a Bellinzona

di Massimo Danzi, storico della letteratura

Escono le ‘Nuove lezioni bellinzonesi’, un quaderno curato da Lucia Orelli-Facchini e Simone Bionda, che raccoglie una serie di conferenze tenute al liceo di Bellinzona da studiosi di discipline diverse sul tema del "limite" (Casagrande 2022). "Nuove" perché rinnovano una tradizione nata all’inizio degli anni 80, quando il Liceo seppe aprirsi a un pubblico cittadino. Vennero, e ritornarono poi anche più volte a Bellinzona studiosi come Jacque le Goff , Mario Vegetti, Marino Berengo, Carlo Dionisotti o Cesare Segre e via dicendo e ne uscirono, elegantemente pubblicati da Casagrande tra 2007 e 2018, dieci volumi che raccoglievano una novantina di conferenze. Ricordo il particolare clima che gli invitati avevano instaurato con i docenti e come il pubblico avesse premiato quell’iniziativa con una costante partecipazione. Ma ciò che rese unica quell’esperienza, sottolineandone la qualità, fu la stampa, poi divenuta regolare, di quelle "lezioni": un fatto unico, nella sua lunga durata, nel Ticino come altrove. Queste "nuove lezioni" continuano ora la tradizione ma la allargano a discipline restate allora un po’ a margine come la matematica, la storia della medicina, l’economia, la geografia. In questa cercata interdisciplinarità sta la sfida dei nuovi editori, attivi e apprezzati insegnanti dell’istituto. I nuovi quaderni conteranno, accanto all’impianto monografico, su altre sezioni pronte a ospitare interventi d’interesse culturale, come da subito si vede con l’intervista di Romano Broggini al poeta Eugenio Montale del 1971, qui riprodotta. L’esempio è utile a capire l’importanza delle mediazioni anche personali in queste iniziative, perché Broggini, amico di Montale, fu poi a lungo direttore del liceo di Bellinzona. Ma su queste "Nuove lezioni", che sono un caso unico nella geografia dei licei ticinesi, come sul rifiuto che esprimono di una politica culturale a chilometro zero, oggi ahimè tornata di moda anche in importanti istituzioni pubbliche, ritornerò in altra sede con più attenzione.

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Come nasce il Canton Ticino

di Carlo Agliati, storico

La ricerca di Jessica Beffa* si presenta come opera particolarmente preziosa per l’originalità con cui si inserisce in un territorio storiografico piuttosto affollato, quello delle origini della "nazione ticinese". In effetti, il soggetto in cui l’autrice affonda il suo bisturi per sezionare il primo mezzo secolo di vita del Cantone – nato tardivamente con l’Atto di Mediazione napoleonico del 1803, dopo la breve esperienza post-rivoluzionaria della Repubblica Elvetica una e indivisibile – è stato frequentato dagli storici da tempo immemorabile, a cominciare dai testimoni diretti di quegli eventi, come il pubblicista prussiano-argoviese Heinrich Zschokke (1771-1848), che, incaricato di una missione pacificatrice nei territori sudalpini, ha prodotto vivide memorie sugli anni dell’emancipazione e della transizione del Ticino al nuovo regime di Cantone sovrano e indipendente nel seno della Confederazione. E a queste prime opere storiografiche avrebbe poi guardato il nostro Franscini, che negli ultimi anni della sua vita, consigliere federale in carica a Berna, si è applicato con maggior passione rispetto alla politica, alle ricerche storiche e archivistiche lasciandoci manoscritti incompiuti dedicati al tramonto del regime balivale su fino al compimento del cosiddetto decennio della Mediazione. Divulgati dapprima da sodali come l’avvocato luganese Pietro Peri e lo storiografo mendrisiense Antonio Baroffio, gli scritti fransciniani della Storia della Svizzera italiana (1797-1802) e degli Annali del Cantone Ticino (1803-13) avrebbero poi trovato nella seconda parte del Novecento editori di vaglia come Raffaello Ceschi e Giuseppe Martinola, maestri riconosciuti della nostra storiografia consacrata alla nascita del Cantone, dopo i lavori pionieristici del grande Emilio Motta, di Antonio Galli, Rinaldo Caddeo e numerosi altri.

Jessica Beffa affianca con esiti apprezzabili non solo il filone tradizionale della storia politica, ma pure quello della storia economica e sociale, offrendo spunti di approfondimento per la comprensione sia del passaggio dalla sudditanza all’indipendenza, sia del processo di edificazione dello Stato cantonale, ampliando così il panorama degli studi più aggiornati che in questi ultimi anni hanno saputo innestarsi con una pluralità di approcci sui primi risultati conseguiti dalla "nuova" Storia del Cantone Ticino e della Svizzera italiana (1998 e 2000) coordinata da Ceschi.

Il nuovo libro si propone di descrivere i meccanismi del complesso apparato istituzionale, inizialmente avviato da un manipolo di funzionari chiamati a organizzare una macchina burocratica che rendesse praticabile l’azione delle Autorità, costrette ad arrabattarsi come meglio si poteva, sloggiando frati e monache dai loro conventi per insediare uffici e reperire gli spazi necessari al disbrigo delle attività di Governo e Parlamento. Ne è scaturita una minuziosa storia dello sviluppo delle strutture amministrative dei poteri dello Stato, a partire dalla fondazione fino alle nuove disposizioni legislative del 1855 in materia di organizzazione dell’Esecutivo cantonale, quando viene superato l’originario sistema del governo collegiale introducendo la suddivisione in dipartimenti così come li conosciamo oggi. In un’epoca d’incertezza dominata da cambi di regime e nuove costituzioni, in contesti in cui non si disdegnava di praticare la politica a fucilate per mezzo di pronunciamenti armati, l’autrice segue il filo della costruzione di uno Stato centralizzato faticosamente instradato sulle vie della modernità, con l’aggregazione d’incombenze e nuovi servizi che gonfiano gli apparati burocratici dislocati sul territorio.

Nasce e si rafforza il nuovo ceto impiegatizio formato da segretari-redattori, archivisti, stenografi, protocollisti, traduttori, copisti, speditori, messaggeri, magazzinieri, contabili, commissari di governo, giudici di pace. Tutto un popolo di funzionari statali chiamati a operare nel contesto di un Paese che dopo il passaggio all’unità politica continuava a faticare nel riconoscersi come "nazione": la questione della capitale del Cantone itinerante ogni sei anni fra i tre maggiori centri di Bellinzona, Lugano e Locarno – affrontata in un apposito capitolo del libro di Jessica Beffa – sta lì a dimostrare come le antiche resistenze localistiche alla sottrazione di prerogative politiche da parte di uno Stato centralizzato, considerato come un intruso, fossero dure a morire e destinate a persistere ancora per lungo tempo.

*Jessica Beffa, Come nasce un Cantone. Storia dell’amministrazione cantonale 1803 – 1855, Bellinzona, Edizioni dello Stato, 2022, 329 pp., CHF 36.00.

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Gian Carlo Ferretti tra storia ed editoria

di Roberto Cicala, editore e critico letterario

"La storia di una vocazione, passata dal giornalismo alla critica letteraria e alla storia dell’editoria, sempre con le stesse motivazioni di fondo": con queste parole, alla soglia dei novant’anni, Gian Carlo Ferretti aveva scelto di illuminare le scelte di una vita consegnando alle stampe le sue pagine su Il marchio dell’editore, quasi un testamento, con un sottotitolo emblematico: "libri e carte, incontri e casi letterari". È proprio questo il terreno coltivato con passione da un cronista, poi critico, quindi docente universitario e infine storico, il massimo, dell’editoria italiana contemporanea, scomparso lo scorso 8 dicembre nella Milano che nel dopoguerra aveva accolto questo giovane toscano nato nel 1930 a Pisa, dove si era laureato alla scuola di Luigi Russo.

Una delle peculiarità dell’approccio di Ferretti alla letteratura deriva proprio da questo magistero: l’attenzione a storicizzare sempre, anche i casi più attuali, insieme con la considerazione di quegli elementi biografici, civili e strutturali imprescindibili per comprendere un testo. L’approdo finale al mondo della produzione dei libri curiosamente ha dopotutto il suo primo spunto nell’articolo d’esordio, a soli ventidue anni, in una pagina locale del ‘Tirreno’ di Livorno, sulla Settimana del libro a Pontedera e sul relativo problema della lettura in Italia. In quegli anni nasce, come ricorda, "una forte simpatia verso gli operai", influenzata anche dai grandi scioperi del 1950-1952 alla vicina Piaggio, che sarebbe diventata adesione ideale e politica, trovando un’esperienza pratica nel giornalismo, soprattutto sull’‘Unità’, quando Marcello Venturi è responsabile della terza pagina. Ferretti assume lo stesso ruolo nel 1958, lanciando spesso quelle inchieste sull’editoria che fanno maturare una nuova vocazione, all’interno della filiera del libro, tradottasi nella direzione editoriale di Editori Riuniti nel 1982. Intanto a cavallo degli anni 60 l’impegno critica cresce, con contributi su riviste come ‘Belfagor’, ‘Società’ e ‘Il Contemporaneo’. In particolare elabora tre studi su Bassani, Cassola e Pasolini che vanno a comporre il suo esordio saggistico nel 1964 sotto il titolo significativo Letteratura e ideologia. Da subito lo sguardo è nuovo e complementare sugli autori trattati, perché se di Pasolini analizza non soltanto il poeta e narratore, bensì anche l’uomo e soprattutto il personaggio (Pasolini personaggio sarà anche la sua ultima fatica, uscita quest’anno con Interlinea, l’editrice scelta per le ultime opere), di Vittorini svela i tratti dello scrittore, del traduttore, ma anche dell’ideologo, politico ed editore (Vittorini editore è un saggio basilare pubblicato da Einaudi), oppure di Calvino, Sereni e Pavese intreccia vicende e valori di scrittura con quelli di direzione editoriale e quindi di educazione culturale. Arriva così ad approfondire il rapporto tra scrittore e società, tra letteratura e mercato.

Libro fondativo è Il mercato delle lettere nel 1979, seguito da Best seller all’italiana nel 1983: la cultura italiana non è abituata a un tale punto di vista e non mancano polemiche. Poi ricostruisce (ma non è facile selezionare i suoi testi in una vastissima bibliografia) la vicenda del rifiuto del Gattopardo e non manca di dedicare attenzione all’editore di "libri farfalla" Vanni Scheiwiller oltre alle maggiori collane. Resta senz’altro come magistrale la sua sintesi della Storia dell’editoria letteraria in Italia, pubblicata mentre tiene ancora corsi in università, gli ultimi al master in editoria dell’Università di Pavia al Collegio S. Caterina da Siena, collaborando anche al Laboratorio di editoria dell’Università Cattolica. Ma l’eredità dei suoi studi non resterà viva soltanto nei libri perché le sue carte, donate alla Fondazione Mondadori, contengono molte schede e spunti per ricerche future di nuove generazioni di studiosi.

Il lascito di Ferretti sta anche nella sua testimonianza del valore delle carte d’archivio con "gusto e piacere della priorità, anticipazione, scoperta" perché, sono sempre sue parole in Il marchio dell’editore, "l’editoria è un bosco dove si possono sempre fare scoperte appassionanti".

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