Schermi e pagine

Dalla pagina allo schermo, appunti di un’estate quasi distopica

Sprazzi di cinema e letteratura, fra riscoperte e nuove possibili uscite: una nuova rubrica.

29 agosto 2020
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Un'estate quasi senza cinema

Con le sale cinematografiche ticinesi chiuse, in questi giorni estivi il cinema sembra essere rimasto sospeso, eludendo l’ottimismo prudente della riapertura, e la disinvoltura un po’ ingessata della 'nuova' normalità. Durante un breve soggiorno a Losanna, nelle scorse settimane ho approfittato della riapertura delle sale oltre Gottardo per cogliere qualche possibile indizio della programmazione che ci aspetta alla riapertura, a fine agosto, delle nostre sale. Con molto piacere ho visto 'A Beautiful Day in the Neighborhood' (Un amico straordinario), un film del 2019 diretto da Marielle Heller con Tom Hanks quale protagonista. Uscito nel novembre del 2019 negli Stati Uniti, il film doveva arrivare nelle sale italiane il 5 marzo. Ma a causa del coronavirus, la sua programmazione è stata rinviata.

'Un amico straordinario' esplora con tatto e acutezza il rapporto fra due persone decisamente diverse che si ritrovano coinvolte in un’intervista: un esercizio che, sulla carta, sembrerebbe piuttosto semplice. Da una parte abbiamo un giornalista di Esquire, Lloyd Vogel, noto per la sua verve cinica e corrosiva, e dall’altra Fred Rogers, presentatore televisivo che, sul finire degli anni ’90, divenne celebre quale intrattenitore in un programma televisivo per l’infanzia, nel quale si distinse per la capacità di parlare ai bambini mettendosi al loro livello, comunicando con garbo e semplicità, mostrando altresì una sensibilità e una disponibilità all’ascolto fuori dal comune. Un personaggio decisamente simpatico questo Rogers, integro, e rassicurante, ma anche un facile bersaglio per Vogel che, infastidito dall’aura di moralismo che trasuda da Rogers, intervistandolo fa di tutto per metterne a nudo la falsità e l’ostentazione dei modi. Compito che si rivelerà tutt’altro che semplice. Rogers, infatti, non contento di limitarsi al ruolo di intervistato, decide di rovesciare le parti, cominciando a fare lui le domande e scoperchiando, a poco a poco, un groviglio di conflitti irrisolti dietro la facciata arrogante del giornalista...

Un film da non perdere, insomma. Resta da vedere se le nostre sale decideranno di programmarlo o se – speriamo di no –, il lockdown non abbia scompaginato troppo le priorità del grande cinema. Un film che, oltretutto, è già in odore di Oscar. Chissà che forse, quindi, la programmazione non slitti direttamente sotto Natale.

Never let me go

In questa nostra estate orfana di nuove uscite, e con un festival di Locarno in versione ridimensionata, c’è ampio spazio per un sempre apprezzato recupero del cinema del passato. Anche il Locarno film festival, del resto, predilige questa via. Non potendo allestire il concorso principale, il comitato di selezione ha comunque visionato le opere incompiute e ha chiesto ai registi dei film più meritevoli di proporre, quale programma alternativo, dei film scelti dalla storia del festival. Approfittando di questo trend, inauguriamo una nuova rubrica in cui si parlerà di pagine e di schermi. Molto spesso infatti i film che vediamo al cinema, alla televisione, sul nostro computer o tablet, sono delle trasposizioni di romanzi, senza i quali i film non sarebbero mai giunti sullo schermo. Nel primo contributo di questa nostra rubrica riscopriamo e rivalutiamo 'Never Let Me Go' (Non lasciarmi), affascinante romanzo di Kazuo Ishiguro del 2005 diventato film nel 2010. Al centro della nostra lettura ritroveremo il concetto di malinconia, un’esperienza che risuona in modo molto puntuale con il periodo che stiamo vivendo, e in particolare con il desiderio condiviso di un ritorno alla normalità. Ma la normalità, si sa, nel migliore dei casi è un costrutto sociale e normativo, e se ci guardiamo intorno, la diversità e la molteplicità la fanno da padrone. E se la normalità in un certo senso non esiste, perché continuiamo a provare un sentimento di malinconia volto al suo recupero e alla sua riconquista? Una domanda che, come vedremo, trova un riscontro preciso, e inquietante, anche nel romanzo di Ishiguro.

Un romanzo distopico

A un certo punto della carriera di Kazuo Ishiguro, scrittore di origini nipponiche cresciuto in Gran Bretagna e vincitore del Nobel della letteratura nel 2017, si registra un cambiamento di rotta che incide tanto sull’ambientazione quanto sul piano tematico delle sue opere. Pur mantenendo quella prosa distesa e quell’uso caratteristico di metafore suggestive che da sempre rappresentano la sua cifra stilistica, con il romanzo 'Never Let Me Go' (2005) la narrativa di Ishiguro prende una piega distopica. Per questo, a detta di molti critici, 'Never let me go' si avvicina, in parte, al genere della grande fantascienza distopica a cui appartengono classici come '1984' di George Orwell o 'Brave New World' di Aldous Huxley.

'Never Let Me Go' si svolge in Gran Bretagna in un momento imprecisato sul finire degli anni ‘90, e racconta di Kathy, Ruth e Tommy, tre giovani che frequentano Hailsham, un collegio esclusivo immerso nella campagna inglese. La quotidianità di Hailsham è ritmata da lezioni di arte, letteratura, attività sportive e ricreative. A rompere il regolare svolgersi delle giornate, ogni tanto da fuori arriva una signora distintamente abbigliata chiamata Madame (si dice che abbia origini francesi) che, dopo attento scrutinio, preleva i più meritevoli lavori artistici degli alunni di Hailsham per arricchire la sua collezione personale. La lettura del romanzo di Ishiguro rivela però un doppio filo narrativo. Pagina dopo pagina si palesa la sensazione che, in mezzo a quell’infaticabile dedicarsi allo sviluppo di sensibilità raffinate – compito affidato a un gruppo di tutori esperti e misurati –, incomba l’ombra lunga di un destino programmato e irrevocabile. Dalla trama di superficie progressivamente se ne delinea, infatti, una seconda. I lettori scoprono, sul filo di questa seconda trama, che Kathy, Ruth e Tommy sono in realtà dei cloni umani, creati in laboratorio, e dalla tenera età formati per diventare donatori di organi. Una volta conclusa l’esperienza di Hailsham, continueranno il loro percorso, assistendo prima altri donatori e diventando, poi, a loro volta donatori. Per una, due, tre o forse più volte, doneranno organi, per poi “completare”, termine eufemistico usato nel romanzo per designare la morte. Perché, ci si potrebbe chiedere, incoraggiare le gioie della vita (i talenti e le inclinazioni personali, gli interessi, le passioni, l’amore, la condivisione delle emozioni, la carriera, etc.), quando poi di fatto si stronca sul nascere la progettualità a lungo termine? Il mondo di 'Never Let Me Go' è insieme assurdo e desolato. C’è evidentemente qualcosa di strano, vagamente inquietante, un fascio di contraddizioni strozzate, nel mondo di 'Never Let Me Go'. Qualcosa che l’autore ha fortemente voluto, e che conduce i lettori verso un misto di stupore e disorientamento.

Una paradossale nostalgia

Kaukokaipuu è una parola che, a quanto pare, in lingua finnica descrive il sentimento di nostalgia per un luogo nel quale non si è mai stati. Ma com’è possibile, ci interroghiamo noi, sentire la mancanza di ciò che non si è mai visto né conosciuto? La risposta a questa domanda potrebbe trovarsi nella parola melanconia o, più comunemente, malinconia. Secondo Freud, la melanconia risiede nella sofferenza psichica di chi si dimostra incapace di elaborare il lutto simbolico nei confronti della perdita di un importante oggetto affettivo. Oggetto affettivo, persona, luogo o cosa che però potrebbero non essere mai esistiti. O meglio: esistiti in maniera incompleta, monca, solo attraverso la lente deformante del desiderio. In questo senso Wikipedia – in barba alle critiche, spesso ingiustificate, di cui è vittima – ricorda che la melanconia si “potrebbe definire come il desiderio, in fondo all’anima, di una cosa, di una persona mai conosciuta o di un amore che non si è mai avuto, ma di cui si sente dolorosamente la mancanza”. In fondo, è proprio questa la sensazione più caratteristica del mondo di 'Never Let Me Go': la nostalgia per qualcosa che non c’è mai stato, e il dolore, di per sé assurdo ma non per questo meno reale, che ne consegue. È un po’ come se i personaggi avvertissero, nel profondo dell’anima, lo spazio aperto e indeterminato di un infinito leopardiano, e al tempo stesso vivessero nell’incapacità cronica di potervisi abbandonare completamente, a quell’infinito. Forse però, ci viene da dire, è tutta colpa di chi li ha creati senza ali per volare.

Da libro al film

Dal romanzo di Ishiguro è stato tratto il film omonimo, diretto da Mark Romanek, nel 2010. Se per caso, dopo avere visto il film, voleste raccomandarlo a qualcuno, basterebbe dire che il film si avvale di un cast stellare. L’aggettivo stellare, che rinvia alla presenza di attori al top dell’Olimpo del cinema, star o stelle appunto, calza proprio a pennello parlando di 'Never Let Me Go'. Keira Knightley ('Orgoglio e pregiudizio', 'Espiazione', 'Anna Karenina'), Carey Mulligan ('Orgoglio e pregiudizio', 'An Education', 'Il grande Gatsby') e Andrew Garfield ('The Social Network', 'The Amazing Spider-Man', 'La battaglia di Hacksaw Ridge') sono fra i più noti e brillanti attori delle nuove generazioni, valorizzati anche dalla presenza di un’attrice più matura come Charlotte Rampling ('Il portiere di notte', 'Sotto la sabbia', 'Swimming Pool'). Che il film sia l’adattamento di un romanzo firmato da un autore che, come detto, nel 2017 si è aggiudicato il Nobel, aggiunge poi un’aura supplementare alla raccomandazione, lasciando intendere che in quel Nobel meritatissimo c’entri molto proprio la qualità di quel romanzo. Ad ogni modo, che si inizi dal libro e si passi poi al film, o viceversa, il lettore o spettatore di 'Never Let me Go' risente con la stessa intensità la stretta malinconica per qualcosa che non c’è mai stato, per una vita fugacemente intravista, ma destinata a rimanere triste miraggio.

Dalla pagina allo schermo riemergiamo, lentamente, in superficie, e ci chiediamo: e se anche il tanto desiderato ritorno alla normalità non fosse altro che un inguaribile miraggio?

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