Culture

L’Amazzonia verde d’acqua della poetessa Márcia Theóphilo

Una tessitura, quella dell'autrice brasiliana, che è insieme poetica e antropologica

Amazzonia (Nathalia Segato/Unsplash)
18 luglio 2020
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Ho conosciuto Márcia Theóphilo al bellissimo festival poetico di Rotterdam nell’ormai remoto 1977. E ricordo l’amicizia fatta allora con lei e con un grande della poesia del Novecento: l’americano John Adhbery. Gran bella compagnia, che comprendeva anche la francese Andrée Chedid.

Vecchi ricordi a parte, diciamo che Márcia era una ancora ragazza-poetessa, però già nota in campo internazionale, mentre io ero solo un esordiente e la vitalità di lei e la sua vivacità intellettuale apparivano già di una netta evidenza felice. Una vivacità, tra l’altro, capace di portare anche sulla scena, come è accaduto spesso, i suoi versi, facendoli risorgere secondo nuove e sempre emozionanti modalità. L’Amazzonia di questa poetessa brasiliana, che da tempo vive prevalentemente a Roma, è la terra e il tema classico del suo formidabile canto, che ha il carattere raro e forte di un ampio respiro poematico, in una costante apertura coinvolgente dove la natura domina e dove all’interno della stessa natura si muovono personaggi umani, parte attiva, peraltro, e integrata, di quello straordinario paesaggio.

Da tempo Márcia Theóphilo ci offre saggi notevoli della sua poesia, spesso tradotta nella nostra lingua, ma ora la sua opera trova una sistemazione utilmente riassuntiva in un nuovo, decisivo volume, intitolato Amazzonia verde d’acqua (Mondadori, 330 pagine), in edizione bilingue, con versioni in italiano della stessa autrice. È un libro che si percorre come un vasto e sempre mutante paesaggio, nel quale la poetessa si muove con naturalezza eppure secondo una dimensione epica in cui fa apparire, oltre agli elementi naturali e alle figure che ne sono parte, suggestive presenze mitologiche - come la dea Giaguaro - che ne esprimono l’antica cultura, la fisionomia di un mondo antico e splendido e come sappiamo tristemente minacciato, e oggi, in più, anche a causa del morbo mondiale. Un mondo forestale “di fiori e frutti tropicali / di antichi animali / impregnati di vita”, dove si può ascoltare “la musica del vento sulle acque” dentro una realtà lussureggiante che ci appare come un immenso teatro, dove “flauti e maracas cominciano a suonare / ritmo lento all’inizio, poi frenetico”.

Márcia Theóphilo ha diviso questo suo libro in capitoli che corrispondono agli stessi elementi naturali, i quali costituiscono le ragioni della sua ispirazione, e dunque: Acqua , Aria, Alberi, Eros frutta, ma anche I figli della dea giaguaro, dove troviamo un testo come 'Noi Amerindi', che così inizia: “Noi Amerindi, padri e madri dell’America / siamo piante che quando trapiantate / se sopravvivono, soffrono grandi dolori” e alla fine offre l’elenco delle “tribù assassinate”. Una tessitura, quella di Márcia , che è insieme – come sempre nella sua vicenda personale e culturale – poetica e antropologica. Il valore speciale di questo libro risiede in varie componenti. In primo luogo, s’intende, nella sua sicura virtù poetica, nella inconsueta forza della parola nel verso, sulla pagina. Ma in più è uno dei testimoni più attendibili di un mondo e di cultura, che realizza la sua poesia in un linguaggio e in uno stile fortemente comunicativi, perciò in grado di raggiungere un pubblico di lettori ben più ampio di quello degli stessi cultori di poesia.

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