Culture

È la storia di Janne Teller: di autori, editori ed etica

Di chi sono le storie? Chi ha il diritto di raccontarle? La questione etica e filosofica della pubblicazione di un’opera letteraria affrontata in un'opera letteraria

La scrittrice danese Janne Teller (Di Rodrigo Fernández - Opera propria, CC BY-SA 4.0)
11 gennaio 2020
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Anche la comunicazione letteraria può essere descritta facendo riferimento al celebre schema del linguista e semiologo Roman Jakobson: un autore-emittente produce un testo-messaggio a beneficio di un lettore-destinatario. Tre, come ha mostrato Romano Luperini in un utile libretto di dieci anni fa, sono quindi i possibili tipi di approccio critico al testo, a seconda dell’importanza accordata a ognuno di questi elementi cruciali. Benché non in modo esclusivo, la critica letteraria e, di riflesso, la didattica della letteratura, ha progressivamente, negli ultimi due secoli, spostato la propria attenzione sui vari poli: una focalizzazione prevalente sull’autore in quanto soggetto storico o lirico o psicologico ha caratterizzato, rispettivamente, la critica di matrice desanctisiana, crociana e freudiana; negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, l’attenzione si è spostata sul testo, dando origine alla stagione dello strutturalismo e della semiotica (dove convivevano sensibilità assai diverse, dal formalismo astorico dei francesi alle posizioni più legate alla tradizione filologica di Cesare Segre); in tempi più recenti, la critica si è non di rado occupata della fruizione e della ricezione del testo letterario (si pensi, in Italia, agli studi di Vittorio Spinazzola).

Il ‘quarto elemento’

Spesso, quando abbiamo un romanzo o un saggio tra le mani, tendiamo tuttavia a sottovalutare l’importanza di una sorta di “quarto elemento”, quello dell’editore, senza il quale i libri non esisterebbero neppure (o non sarebbero così numerosi). Certo, anche i meccanismi del mercato editoriale sono ormai al centro di molti studi specialistici e di molti corsi universitari (penso, tra gli altri ma su tutti, ai lavori di Giovanni Ragone); qualche anno fa, Paolo Di Stefano, con un libro che era un programma sin dal titolo (Potresti anche dirmi grazie. Gli scrittori raccontati dagli editori), aveva raccontato le vicende editoriali degli ultimi quarant’anni in Italia. Ma non sono molto frequenti i casi in cui la questione della pubblicazione di un libro è trattata dal punto di vista filosofico (etico, in particolare) attraverso la forma romanzo. Lo ha fatto nel 2007 (ma la versione italiana è solo da poco disponibile) Janne Teller, la scrittrice danese i cui libri difficilmente sono banali; basti pensare al caso di Niente, tradotto in ventotto lingue e al centro di numerose controversie.

Una sera d’inverno, un celebre editore legge le bozze di un romanzo che sta per mandare in stampa. Si tratta di un libro di sicuro successo, opera di un autore già amatissimo dai lettori. Mentre la neve cade fitta, una donna di nome Petra Vinter, di cui ha già pubblicato le poesie, si presenta nel suo ufficio per dirgli che il testo è basato su un episodio autentico del quale è stata vittima (forse una violenza di gruppo) durante un soggiorno in Africa come delegata Onu. Poi se ne va, lasciando l’editore ad arrovellarsi sull’opportunità della pubblicazione (“Sta a te decidere”, gli dice, non potendo impedirgli nulla).

Di chi sono le storie?

Janne Teller indaga aspetti che si cristallizzano anzitutto attorno alla questione centrale posta dal titolo: di chi sono le storie? Chi ha il diritto di raccontarle? E anche ammettendo che le storie siano solo di chi le vive, è possibile raccontare la propria senza raccontare anche quelle di altre persone? Tutti gli scrittori, anche i più grandi, si sono impossessati delle storie degli altri (“Proust parlava di tutte le persone che conosceva”). Trasformare la realtà in narrativa cambiando semplicemente i nomi dà carta bianca? Per non parlare degli scrittori che, in ogni tempo, “si sono basati su quanto già esisteva, salendo sulle spalle dei loro predecessori”. Ci si può chiedere, allora, quante idee o quante linee narrative debbano coincidere perché si possa parlare di furto o di mancanza di originalità.

Una seconda serie di interrogativi concerne, come suggerisce l’esile ma calibratissima trama, il rapporto tra editore e scrittore, il confine tra le rispettive responsabilità di fronte a un contenuto offensivo o problematico. Se lo scrittore deve dire come siamo e non come dovremmo essere, se deve mostrarci ciò che non vediamo da soli, anche l’editore deve farsene carico? È giusto pubblicare libri scarsi se questo è l’unico modo per finanziare quelli di qualità?Un altro ambito cruciale è quello della linea spesso sottile che separa arte e giornalismo. Se un giornalista deve rispettare la realtà, quali regole valgono per uno scrittore? Ed è, credo, una questione che resta di forte attualità, di fronte a testi ibridi come il reportage narrativo o il vasto fenomeno dell’autofiction.

Arte e regole

Resta, infine, da chiarire se le norme etiche che regolano la nostra convivenza civile valgano anche nell’arte; e come possa l’arte fare del mondo un posto in cui valga un po’ di più la pena di vivere se migliorare il mondo non rientra nei suoi obiettivi. A meno che, come recentemente riaffermato da Franco Marcoaldi sulla scorta di Milan Kundera e di Hermann Broch, e come anch’io credo, gli unici romanzi immorali siano quelli che non scoprono alcuna porzione sino ad allora sconosciuta dell’esistenza.

L’editore protagonista è confrontato con questi interrogativi enormi, che Janne Teller espone in modo incalzante nelle sole 130 pagine di cui si compone il romanzo. Senza dare (molte) risposte, ma rendendo il lettore, qualsiasi lettore, più consapevole della complessità delle implicazioni etiche di cui è anche e soprattutto costituito l’oggetto libro.

Janne Teller, È la mia storia, Feltrinelli 2019, 130 pagine.
Traduzione di Maria Valeria D'Avino

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