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La materia morta dell’arte. Shahryar Nashat al Masi

Al livello -2 del Lac il progetto 'Streams o Spleen’ dell'artista svizzero: un'esplorazione della corporeità reale e immaginaria

15 marzo 2024
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Se Shahryar Nashat fosse uno scrittore, sarebbe un poeta, non un autore di prosa. Così Francesca Benini ha presentato l’opera dell’artista svizzero, in mostra al Museo d’arte della Svizzera italiana (Masi) fino al 18 agosto (inaugurazione sabato 16 marzo alle 18). Poesie, e non romanzi o racconti, perché ogni elemento del lavoro di Nashat ha più livelli di significato, aprendo un vasto spazio di interpretazioni che il pubblico è invitato a esplorare, lasciandosi guidare dall’estetica raffinata dell’installazione multimediale che Nashat ha creato al livello -2 del Lac.

Iniziamo dal titolo: “Streams of Spleen”, con il flusso (‘stream’) che può indicare lo scorrere di fluidi corporei come qualcosa di più astratto, il flusso di coscienza o lo streaming di un video; e lo ‘spleen’ che è la milza ma anche, in un relitto dell’antica teoria medica degli umori, lo stato malinconico dovuto a un eccesso di bile nera prodotta, si pensava, da quest’organo. Il corpo, umano e animale, il suo funzionamento, le sue tracce e i suoi resti sono il punto di partenza di questa installazione; e se le didascalie di alcune opere potrebbe innescare una reazione di disgusto – “contenuto in polietilene, urina” o ancora “silicone, polvere, capelli, unghie” –, l’effetto di fronte alla mostra è in realtà di straniamento, di disorientamento di fronte a una sospensione di norme estetiche e artistiche stabilite.

Una sensazione di ambiguità che, una volta superata la scossa iniziale, dovrebbe spingere a interrogarsi su cosa è un oggetto d’arte e cosa no, su quale sia il confine tra corpo vivente e corpo non vivente, tra reale e digitale. È questa varietà a giustificare la varietà di materiali impiegati nelle opere di Nashat, che oltre a materia organica e prodotti industriali come le resine comprendono anche marmo e pittura a olio. «L’arte ha a che fare con la morte, non con la vita. E lo stesso vale per i musei che conservano, espongono» ci ha spiegato Nashat al termine della presentazione ed è forse una delle tracce più interessanti per leggere “Streams of Spleen” e soprattutto il video finale, “Warnings”, che chiude il percorso espositivo.

Pavimenti, luci, suoni

Nel suo intervento iniziale, il direttore del Masi Tobia Bezzola ha parlato di “opera totale”: riferimento non fuori luogo, visto che “Streams of Spleen” ha completamente stravolto il «difficile da gestire» (sempre parole di Bezzola) spazio al livello -2, la grande sala che si trova sotto la Hall del Lac vincolata dai suoi 8 pilastri. Dei vari progetti che il museo ha ospitato al livello -2 – molti opera di giovani artisti e artiste, in quello che è una specie di filone espositivo del Masi – “Streams of Spleen” è uno dei più interessanti per come ha sfruttato lo spazio. O meglio per come lo ha trasformato, iniziando dal pavimento ricoperto da piastrelle viniliche, sia nella sala principale sia nell’ingresso. «La prima cosa che Nashat ha chiesto appena ha visto lo spazio è stata “vorrei coprire il pavimento”» ha ricordato Francesca Benini. La seconda richiesta di Nashat ha riguardato le luci, alterandone il colore e usando tonalità diverse per l’ingresso, la sala e la struttura realizzata al centro.

Questa struttura dal soffitto basso e dalla forma squadrata che ricorda un po’ un hangar, ospita le prima opere che il visitatore incontra. Le sculture ‘Bone Out’, in resina sintetica dipinta a olio, hanno le sembianze di veri pezzi di carne richiamando i processi dell’industria alimentare; meno diretto, ma comunque presente, il richiamo alla carnalità nelle opere in fibra di vetro della serie ‘Boyfriend’ mentre sul soffitto troviamo alcuni “Senza titolo” realizzati partendo dal materiale recuperato dagli aspirapolvere di un albergo parigino (sono le opere realizzate in “silicone, polvere, capelli, unghie” citata all’inizio).

A dominare lo spazio interno della struttura sono tuttavia due altri elementi: la parete frontale con il retro degli schermi che, all’esterno, mostrano il video di “Warnings” e un paesaggio sonoro suggestivo e inquietante. Il percorso prosegue all’esterno della struttura dove si possono scoprire due gruppi di opere nelle quali la dimensione della carnalità è ora sublimata (le sculture in marmo “Hustler_23.JPEG” e “Hustler_24.JPEG”) ora esplicitata (le stampe ‘Brother’ che troviamo su delle specie di escrescenze delle pareti esterne).

Lupo ululà

E infine si arriva a “Warnings”, il video appositamente realizzato per l’installazione. Qui i corpi decostruiti nella prima parte dell’installazione prendono vita nel lupo. Questo animale ha affascinato Nashat per il suo essere al contempo solitario e gregario, una sorta di socialità spinta dalla necessità e dal bisogno più che da un desiderio di condivisione.

Il filmato utilizza alcune sequenze di veri lupi – riprese, con alcune fototrappole, nei Grigioni – seguite da degli animali ricreati digitalmente prima in un ambiente naturale e poi in uno spazio artificiale; infine il video ha alcune immagini generate da un intelligenza artificiale, capovolgendo l’aspettativa dello spettatore su quello che è vivo e che è morto, su quello che è reale e virtuale.

Il progetto “Streams of Spleen”, prodotto dal Masi in collaborazione con l’Istituto Svizzero, include anche un catalogo che forse sarebbe meglio definire “libro d’artista”. Concepito da Nashat insieme al graphic designer Sabo Day e allo scrittore Kristian Vistrup Madsen, si presenta a prima vista come un manuale d’istruzioni, rivelandosi un percorso che riflette sull’esistenza umana e su ciò che significa essere un artista. Il libro si chiude con un testo critico di Francesca Benini e Gioia Dal Molin.

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