arte

Renzo Zendralli, frammenti d’arte

All’Istituto Von Mentlen di Bellinzona una mostra che unisce una selezione di lavori realizzati dall’ingegnere dopo l’ictus e opere della sua Collezione

La pittura come testimonianza dell’esistenza
(© Gabriele Aloisio)
16 giugno 2023
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Lasciare un segno è espressione d’esistenza. L’atto stesso, nel momento in cui è compiuto, dice ‘sei vivo’. Superflua è la partecipazione altrui, perché il segno è una testimonianza che basta a se stessa e a chi lo ha tracciato. Non ha bisogno di spettatori, tanto meno di giudizio o compiacimento. Queste righe sono state scritte telegraficamente su un fogliaccio dopo la visita a una mostra. Sono ragionamenti provvisori che, forse e senza pretese, abbozzano una lettura dell’esperienza di “uno” che ama il colore e dipinge per sé.

Mettiamo le carte in tavola. Alcune sale e alcuni corridoi al pianterreno dell’Istituto Von Mentlen di Bellinzona, da diverse settimane, ospitano un allestimento – «non è una mostra nel senso stretto del termine» – con una selezione di opere di vari artisti della Collezione d’arte dell’ingegnere Renzo Zendralli, nonché alcuni suoi lavori realizzati soprattutto dopo essere stato colpito da un ictus, una decina di anni fa. L’esposizione, la cui curatela è appannaggio dell’operatore nel settore dell’arte Vito Calabretta, ha trovato in Vito Lo Russo, direttore del centro educativo per minorenni, un ospite entusiasta. I due Vito, incontrati in un caldo pomeriggio primaverile, hanno raccontato come una mostra d’arte sia finita in un istituto che si occupa di bambini, ragazzi e adolescenti. Ecco sbrigata l’occasione.


© Gabriele Aloisio
Vito Lo Russo, Renzo e Nadia Zendralli

Politica del soggetto

L’esposizione è uno degli esiti del progetto di ricerca ‘Geografie dell’espressione - Politica del soggetto, forma e corpo’ che prende spunto dall’esperienza di Renzo Zendralli e che, da una manciata di anni, impegna Calabretta, grazie alla collaborazione e alla mediazione di Nadia, moglie dell’ingegnere. L’operatore sta portando avanti l’indagine su vari fronti, da quello artistico (ricostruendo e inventariando fra l’altro la collezione) a quello medico-scientifico, per capire e descrivere «il ruolo che l’arte svolge nella vita di Renzo», che si divide in un prima e un dopo l’ictus, che determina il punto di cesura – «e un estremo disagio» – e l’arte che, invece, è il filo rosso che tiene insieme un’esistenza.

A questo punto, non è possibile andare oltre senza dare due cenni biografici che riguardano il protagonista del progetto, la cui storia è «ordinaria, agiata e molto attiva socialmente». L’ultrasettantenne Renzo Zendralli è un ingegnere grigionese che per molti anni è stato responsabile di una grande impresa di costruzioni ticinese, ricorda Calabretta. «Soprattutto, è un appassionato d’arte che fin da giovane – era un ragazzino – si è cimentato con l’acquarello e il disegno». Cresciuto diventa ingegnere, ma la passione per l’arte non viene accantonata e si traduce nella raccolta molto sfaccettata «di una piccola collezione che vede esponenti del Nouveau Réalisme (César, Arman, Spoerri), delle postavanguardie italiane (Isgrò, Rotella, Vaccari), artisti svizzeri emergenti (Beretta, Amstutz, Fiorini) e opere di altri nomi dell’arte (Paolucci, Morlotti, Dobrzanski). Inoltre, ha operato a livello cantonale come organizzatore, promotore e filantropo». Fra le iniziative dedicate a giovani artisti, Calabretta ricorda «lo spazio a Bellinzona gestito in collaborazione con Luigi Cavadini dedicato alla selezione di giovani artisti cui veniva data la possibilità di esporre».

Affermarsi attraverso l’arte

Dopo l’ischemia e le sue conseguenze, durante la riabilitazione logopedica a causa della grave difficoltà di linguaggio insorta (afasia) e quella per recuperare le capacità motorie, Renzo Zendralli inizia a «stendere superfici di colore su piccoli quadri di tela e a realizzare pantofole e scarpette di terracotta», sulla falsariga delle opere di Daniel Spoerri, presenti nella sua collezione. L’indagine intrapresa da Calabretta parte da qui, ovvero «dall’attività spontanea di espressione artistica come una sorta di autoterapia», frequentando giocoforza «le questioni inerenti alle esigenze che muovono l’azione intorno all’arte», illustra ancora, prendendo in considerazione le varie fasi della biografia di Zendralli, descritte ciascuna da un approccio diverso all’arte: adolescenza, età adulta (come soggetto sociale e collezionista), dopo l’ictus, quando «l’esigenza che muove l’attività di Renzo sembra essere meramente assertiva, di presentazione di se stesso», sintetizza Calabretta. Il progetto, continua, è svolto su vari fronti e prevede diverse propaggini, come un’ulteriore mostra e una monografia con il resoconto dell’indagine svolta, coinvolgendo anche specialisti che si occupano di neurologia e dello studio della psiche.


© Gabriele Aloisio
La centralità del colore

Un sabato, al mercato

Rieccoci al Von Mentlen, dove la mostra ci è arrivata grazie all’incontro, un sabato mattina di mercato bellinzonese, fra Lo Russo e Zendralli; fra il desiderio di condividere parte della propria collezione di uno, e l’entusiasmo curioso dell’altro, sensibile alla vicenda personale che «ci impone una riflessione sull’essere vittima di disabilità». Le opere esposte sono all’incirca una trentina – quindici provengono dalla Collezione di Zendralli e il restante sono sue produzioni –, selezionata anche grazie al piglio di Renzo Zendralli. Per l’allestimento, racconta il direttore del centro, «sono stati coinvolti alcuni apprendisti del Von Mentlen che hanno lavorato al progetto con curiosità e rispetto», sottolineando come la mostra sia stata anche un’attività profilata dal punto di vista educativo. In conclusione, ribadisce Lo Russo, il coinvolgimento del gruppo di lavoro era uno degli obiettivi della mostra, insieme a quello di «aprire la struttura al pubblico per farla conoscere».


© Gabriele Aloisio

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