Il racconto

Sogni di bellezza

Stamattina, passando di fretta – siamo sempre di fretta – davanti a uno degli ultimi prati di Boffalora, ho visto la cicoria selvatica

Buddleja, o pianta delle farfalle
(Keystone)
8 luglio 2022
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Stamattina, passando di fretta – siamo sempre di fretta – davanti a uno degli ultimi prati di Boffalora, ho visto la cicoria selvatica. Preso da raptus, ne ho strappato malamente uno stelo fiorito, come farebbe un ladro maldestro, con il proposito di classificarlo; ma, una volta a casa, l’esemplare era miseramente deteriorato, perché nel frattempo me ne ero andato a fare un giretto, prima di rientrare: Chiasso è sempre nel mio cuore, ma come un’amante che mi ha tradito.

Quei petali luminosi di cicoria selvatica, così azzurri, mi hanno ricordato l’Ernesto, il fitospedizioniere che avevo conosciuto negli anni Sessanta, quando frequentavo bar e osterie della zona. Di lui possiedo un bellissimo libro, "Flora ferroviaria", in due edizioni diverse, 1980 e 2010, illustrate dall’autore, e il disegno a colori di una Sieversia reptans "colta sul Monte Generoso il 23.7.80", come si legge sul foglio che conservo nel mio studio. Quindi fra poco quel fiore montano dovrebbe ricomparire, a ricordare l’amico scomparso. Quando sfoglio il suo libro, che ha come sottotitolo "Ovvero la rivincita della natura sull’uomo - Osservazioni botaniche sull’area della stazione internazionale di Chiasso 1969-1978", mi prende la nostalgia. In quegli anni avrei voluto essere come Ernesto Schick che conosceva a meraviglia tutte le piante, anche le più umili. Anche i fiori di strada, quelli che crescono sulle scarpate della ferrovia, tra i ruderi o su una discarica, quelli a cui nessuno bada: per lui, disegnatore di erbe, non esisteva la flora banale. Una volta che l’avevo incontrato in treno e accompagnato per un tratto del viaggio verso la Svizzera tedesca, guardando dal finestrino mi aveva manifestato la sua rimostranza verso coloro che non riconoscono le piante nella stagione tardo autunnale, quando hanno perso le foglie e ci appaiono nella loro nuda architettura. Quelli che confondono un melo con un pero: e io un po’ mi ero sentito in colpa.

La cicoria strappata nel prato di Chiasso, che ora ho buttato in un angolo appassita, mi ricorda le estati chiassesi, i sogni di bellezza vegetale e di redenzione operaia: Schick, come me, credeva in un mondo senza ingiustizie. E forse, come Shelley, nella bellezza che libera l’uomo.

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Uno dei miei nipotini, quello riccioluto com’ero io alla sua età, tornato da una passeggiata in campagna con sua nonna, ha aperto lo zaino, estratto con cura e allineato sul bracciolo della poltrona il suo tesoro di giornata: una coda di ghiro, la pelle zigrinata di biscia e il guscio bianco di una chiocciola. Ho pensato ai versi di William Carlos Williams che dicono "la bellezza è una conchiglia / venuta dal mare..." ; in questo caso direi "è un guscio di chiocciola / venuto dal bosco". Perché a guardarlo bene, anche un semplice guscio trovato per caso su un sentiero ha una bellezza naturale che lascia meravigliato chi lo sa guardare. Un bambino di quattro anni, per esempio. Noi adulti abbiamo altro da fare.

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Per me felicità – se ancora si può pronunciare questa parola – vuol dire starmene da solo in silenzio a leggere un libro sotto un albero. E, quando alzo gli occhi, magari divagare, fare un esame di coscienza, pensare al rapporto che ho con ciò che mi circonda da sempre. Quel paese sul versante destro della valle lo conosci? Le donne e gli uomini che lo abitano? Le loro aspirazioni, le loro sofferenze, le loro fantasticherie, le loro parole? Domani scompariranno e tu poeta non le avrai conosciute, nella tua solitudine. Le avrai viste da lontano, come attraverso un vetro.

È specialmente la mattina il momento delle letture, delle riflessioni, del barlume che vacilla, del ghiaccio che s’incrina: ed io cammino su fil di lama. Basta un’ondata di musica urlata dal finestrino di una macchina in corsa nei pressi del luogo dove sono seduto con il libro e il pallone di Montale fugge via tra alberi e case.

È una felice sorpresa anche scoprire, com’è capitato a me in questi giorni guardando dal finestrino dell’autopostale, una straordinaria fioritura di verbaschi verso Sagno. Quell’inaspettata visione mi ha fatto andare con il pensiero, ancora una volta, all’appassionato studioso delle erbe cresciute nell’area della stazione di smistamento di Chiasso. Nel suo libro il verbasco appare come una delle cosiddette "piante pilota", cioè quelle specie vegetali che colonizzano un terreno violentato e saccheggiato dall’uomo e vi fanno ricrescere la vita. Fra queste l’autore mette anche la buddleja, la pianta delle farfalle, da me prediletta perché rallegra l’estate. Dice l’autore: "... dappertutto dove l’uomo ha devastato il regno vegetale è sovente la buddleja a rimediare, con generosità ed efficacia, e a cicatrizzare le ferite inflitte al paesaggio"; potesse cicatrizzare anche le ferite che la vita c’infligge ogni giorno!

La vista di quei verbaschi, dunque, mi ha schiarito l’animo. Ma la sera, tornando dal mio breve viaggio, mi è capitato di guardare bene per accertarmi che quelle presenze vegetali, volte miracolosamente verso il cielo come candelabri, ci fossero ancora: perché le piccole felicità che ci regala la vita sono legate a un fragile filo che qualcosa, o qualcuno, è sempre pronto a recidere.