Arte

La creatività della tradizione, dall’antichità al design

Il m.a.x. museo di Chiasso ospita Fabio Novembre, autore delle poltrone Nemo che completano la mostra ‘La reinterpretazione del classico’

Le poltrone 'Nemo' di Fabio Novembre davanti al m.a.x. museo (foto Carlo Pedroli)
13 giugno 2021
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Dentro al m.a.x. museo, la mostra ‘La reinterpretazione del classico’, con incisioni realizzate tra Sette e Ottocento di antichità greche e romane. Fuori, sulla terrazza, alcune poltrone Nemo firmate dall’architetto e designer italiano Fabio Novembre per Driade: un’altra reinterpretazione del classico, come spiegherà lo stesso Novembre domani, lunedì 14 giugno alle 20.30, in una conferenza pubblica al Cinema Teatro (info: www.centroculturalechiasso.ch).

Fabio Novembre, ‘L’origine delle cose’ è un titolo che richiama più la filosofia che il design.

Parto da un testo del 1983, firmato Eric Hobsbawm e Terence Ranger e intitolato ‘L’invenzione della tradizione’. Prendiamo un esempio semplice: il limoncello. Si pensa subito a una delle grandi tradizioni italiane; in realtà è una roba inventata nel 1988! Tante volte quelle che crediamo essere delle tradizioni o sono molto più recenti di quello che immaginiamo, oppure sono legate al presente. Un altro esempio: il kilt scozzese. Fa ridere dirlo, perché non solo è stato inventato da un inglese, ma addirittura nell’Ottocento! Nel film ‘Braveheart’, quello di Mel GIbson, li vediamo tutti con il kilt, ma in realtà portavano una tunica gialla tinta con l’urina di cavallo.

L’origine non è quella che ci si aspetta.

C’è un’opera di Maurizio Nannucci, un artista contemporaneo italiano che lavora con il neon, che è meravigliosa e recita “Tutta l’arte è stata contemporanea”. Quindi per cominciare cerchiamo di contestualizzare il periodo in cui nasce un’opera e poi vediamo che legame ha con il presente. È da una quindicina d’anni che tengo un blog che si intitola ‘Io noi’ in cui cerco di riannodare i fili, cerco di trovare elementi considerati assolutamente classici e di vedere come hanno generato figli, nipoti, pronipoti… La mia conferenza sarà tutta impostata in questa maniera, anche perché i miei pezzi pescano tantissima tradizione. Tra la mia ‘Nemo’, con questo volto classico, e una scultura di Canova che differenza c’è? La versione in marmo della mia sedia Him & Her, che ho qui in studio, se la portiamo alla Galleria Borghese cosa la distingue da un pezzo del Bernini? Praticamente niente, anche perché con la tecnologia che abbiamo oggi è possibile scolpire il marmo con una macchina a 5 assi, mentre ai tempi del Bernini era difficilissimo. Che cosa si intende quindi con classicità? È un’idea da riassestare. Tra cinquant’anni probabilmente ci racconteranno che i Sex Pistols della Swinging London saranno la classicità: “Ti ricordi, Johnny Rotten era una specie di nobile inglese che cantava canzoni colorate”.

Tra presente e passato c’è come un corto circuito: torniamo a Nannucci, “tutta l'arte è stata contemporanea” e tutte le azioni nel momento in cui avvengono sono contemporanee e vengono storicizzate, e classicizzate, dall'interpretazione di altri. È la nostra narrazione che storicizza e definisce l’epoca di appartenenza.

Si pensa al passato nei termini di continuità e rottura, ma in realtà abbiamo una rilettura.

È sempre una rilettura. La nostra vita durata media di diciamo 80 anni e vediamo tutto dalla nostra prospettiva. Ma se proviamo ad astrarre un attimo, ci rendiamo conto che Homo sapiens è recentissimo, nella storia di questo pianeta. Due secoli, un millennio sono niente. Io cerco sempre di rimettere tutto nella giusta prospettiva e noi siamo solo un’allegra casualità: quando si prende coscienza di questo diventa tutto più leggero.

Come di traduce questo nel design? Magari partendo da ‘Nemo’ che vediamo davanti al m.a.x.museo.

In ‘Io noi’ confesso sempre da cosa nascono i miei oggetti, quali sono i riferimenti. Nemo? Uno potrebbe dire le sculture greco-romane, potrebbe dire Igor MItoraj, invece risale a uno schizzo 1950 di Giò Ponti. Uno schizzo minuscolo, trovato in un libro introvabile e quando l’ho visto ho pensato “caspita, ma questo questo oggetto qui in una scala diversa diventa una maschera meravigliosa, in cui nascondersi”. In quel periodo ero fissato con Oscar Wilde e il suo famoso aforisma “ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero”.

Uno schizzo di Giò Ponti, un aforisma di Oscar Wilde e viene fuori Nemo: è la natura dell'uomo, mettere insieme tutto sempre, unire i puntini.

Il nome Nemo quali puntini unisce?

È un’altra cosa interessante. A che cosa fa pensare il nome Nemo?

Al capitano del Nautilus di ‘Ventimila leghe sotto i mari’ di Verne?

Bravissimo. E poi?

Il protagonista del film d’animazione della Disney.

Ne ha già citati due importantissimi, ma andando ancora un po’ più indietro?

Nemo è Ulisse, nessuno.

Ottimo: Odisseo sull’isola dei ciclopi che inganna Polifemo dicendo di essere “nessuno”. Questo è un test interessantissimo. Quando uno sente il nome Nemo a cosa pensa? Se ha una cultura classica, Odisseo è ovvio; se ha cultura di fantascienza vecchia maniera Jules Verne; se lo chiedo alle mie figlie mi rispondono “ma papà è il pesciolino”. Ma andando alla radice, Nemo è nessuno e questo ci porta a Pirandello, a ‘Uno, nessuno e centomila’. Tutti possono essere nessuno, quindi tutti possono essere Nemo.

Nessuno significa tutte le persone, ma si può dar forma a tutte le persone, includere tutti in un volto?

Questo è un punto importantissimo. Quando ho progettato Nemo ho cercato di dribblare qualsiasi conflitto etnico, sessuale. Nemo si può leggere come una figura maschile o femminile, occidentale o asiatica, perché non ha alcun tipo di connotazione. Ho voluto astrarla completamente.

Pensa che un giorno qualcuno rileggerà la classicità di Nemo, o di altre sue creazioni?

Spero sarà così. Se lei ha figli di una certa età e chiede qual è la loro musica preferita, su cinque nomi due saranno di dj, quindi non necessariamente di compositori. Che cosa fa un dj? Prende dei sample musicali e li riassembla e ne fa una creazione nuova: l’approccio odierno alla creatività è sempre più simile a quello del dj, non esiste un processo creativo puro, ma sempre un processo di spezzettamento e riassemblamento. Il processo creativo che prima era nutrito da libri, enciclopedie eccetera eccetera, oggi lo è attraverso una commistione di ricerche su Google e social network e diventa un riassemblaggio significativo.

Rispetto al passato c’è più o meno consapevolezza di questo legame con il passato?

Meno. Perché siamo meno votati alla ricerca. Se prendiamo Pinterest, una piattaforma che funziona per similitudini tra immagini, vediamo che l’autore del lavoro è quasi ininfluente: si va per immagini simili senza un processo di esplorazione storica che invece per la mia generazione era naturale. Io ho trascorso la mia adolescenza nelle biblioteche andando a cercare chi, come, perché, quando. Oggi il flusso di informazioni è talmente liquido e talmente destrutturato che un ragazzo non si chiede chi ha fatto una cosa.

Ma la possiamo vedere da un altro punto di vista, per non dire sempre che oggi si sta peggio di ieri: è come se stessimo driblando l’io. Non ci interessa chi ha fatto quella roba lì perché dopo un po’ è patrimonio dell’umanità. Come con i brevetti, che dopo alcuni anni scadono: tutto appartiene a tutti e questo è molto più fresco. Nemo non è di Fabio Novembre, è di tutti. È come se si andasse oltre l’io, è come se tutto fosse di tutti. Ho già citato il mio blog: ‘Io noi’ è esattamente questo, l’io è contenuto nel noi e quindi si va oltre.

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