Arte

Covid-19, come i musei si preparano alla riapertura

Tobia Bezzola, direttore del Masi e di Icom Svizzera, sulle misure da adottare e le mostre da ripensare con meno turisti

Il direttore del Masi Tobia Bezzola alla riapertura di Palazzo Reali (Archivio Ti-Press)
28 aprile 2020
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L’8 giugno i musei potrebbero riaprire: il condizionale è d’obbligo, perché il Consiglio federale prenderà una decisione definitiva solo a fine maggio, ma intanto i musei svizzeri iniziano a interrogarsi sul loro futuro, di fronte a un presente di mostre rinviate e annullate. Abbiamo sentito Tobia Bezzola, direttore del Museo d’arte della Svizzera italiana nonché presidente del comitato svizzero del Consiglio internazionale dei musei (Icom). «Sono in contatto con Isabelle Raboud, presidente dell’Associazione dei musei svizzeri, e come Icom seguo il gruppo di lavoro che si è costituito all’Ufficio federale della cultura e che sta elaborando, insieme all’Ufficio federale della sanità pubblica, le direttive per i musei. Un vademecum su come procedere nei vari aspetti per garantire la sicurezza».

A quali misure si sta pensando?
Numeri ridotti, magari degli ‘slot’ orari per i visitatori, poi tutti gli aspetti legati a disinfettanti, mascherine, protezioni in plexiglas per la biglietteria, biglietti che possano essere controllati tramite scanner, senza bisogno di prenderli in mano eccetera eccetera.
Poi ci sono le eventuali indicazioni delle autorità cantonali e comunali. E tutto andrà applicato in base alle possibilità architettoniche e strutturali delle varie istituzioni, perché parliamo di centinaia di musei svizzeri, ognuno con le sue caratteristiche.

Queste misure potrebbero incidere sui contenuti delle mostre?
È una domanda interessante: potrebbe esserci un impatto, favorendo esposizioni che lasciano più spazio ai visitatori ed evitando esposizioni che costringono il pubblico a stare vicino. Opere più grandi, allestimenti più spaziosi.
Un grosso problema saranno poi i gruppi: molti nostri visitatori vengono in gruppo e bisognerà vedere se sarà permesso, con quali limiti. E le scuole, con i laboratori. Non sarà semplice come riaprire un rubinetto dopo averlo chiuso: dovremo implementare un nuovo regime di gestione.

Del calendario espositivo del Masi, cosa resta? La mostra ‘Monet, Cézanne, Van Gogh…’ con opere della collezione Bührle è annullata. Il resto?
Avevamo una programmazione fino al 2022 e adesso, come dopo un terremoto, vediamo cosa resta, cosa accadrà con tutti questi progetti. Abbiamo numerose collaborazioni, alcuni partner sono oltre Atlantico, la logistica internazionale è al momento ferma per cui non possiamo organizzare trasporti per i prossimi mesi.
In autunno avevamo una mostra di fotografia in collaborazione con il MoMA di New York, con tutti i problemi che possiamo immaginare, un’altra mostra di Nicolas Party che è un giovane artista svizzero ma vive a New York, per cui anche questa probabilmente non si riuscirà a fare come l’avevamo pensata. Più semplice la mostra di Pam Mazzuchelli: l’abbiamo spostata ma essendo un artista ticinese siamo ottimisti, perché le opere sono qui e la logistica è più gestibile; lo stesso per la mostra sul fotografo Vincenzo Vicari, prevista a Palazzo Reali ad agosto. E gli effetti si vedranno anche nei prossimi anni.

A proposito di prossimi anni: ci sarà da temere un cambiamento delle abitudini dei visitatori? Istituzioni come il Museo del Prado si interrogano sul proprio futuro, con il calo del turismo internazionale al quale si deve buona parte dei biglietti.
È vero. Anche il Masi ha basato il proprio ‘business plan’ sul turismo ed evidentemente adesso dovremo ragionare su tutto questo.
È una situazione completamente diversa, con prospettive anche drammatiche ma speriamo non sia così. Un motivo di ottimismo è il fatto che è il nostro pubblico non arriva da molto lontano: il nostro bacino è la Svizzera interna, il sud della Germania e il Nord Italia – e speriamo che presto si ritorni a viaggiare, da queste regioni verso il Ticino. Non siamo come il Prado o i musei di Vienna e New York, da noi il turismo è soprattutto regionale ed europeo, non globale.

Quanto è il pubblico non della Svizzera italiana? E sarebbe pensabile andare avanti solo contando sul pubblico di casa?
Negli ultimi anni i visitatori della regione sono stati circa il 30 per cento. Il 70 per cento quindi deve arrivare da fuori ma, come detto, dal momento che non deve arrivare da molto lontano – in molti casi si tratta di turismo di giornata – siamo fiduciosi di tornare alla normalità, anche se magari non già questo autunno.

Anche come numero di visitatori?
Sì, siamo ottimisti di riuscire a tornare ai livelli di prima. Magari ci vorrà un po’ – e la cosa dipende da molti fattori che sono fuori dal nostro controllo – per cui ripeto, forse non questo autunno ma penso che l’anno prossimo la situazione sarà normalizzata.

Molto dipenderà dalle norme: in caso di numero massimo di accessi, sarebbe pensabile arrivare agli stessi numeri distribuendo i visitatori durante la giornata?
È difficile prevederlo: non sappiamo quale sarà l’interesse del pubblico al momento della riapertura, se ci sarà una “fame” di arte dopo questo periodo di chiusura. Ma se guardiamo alla situazione “normale”, quella degli scorsi mesi, i problemi sarebbero limitati alle grandi mostre come Picasso o come sarebbe stata la collezione Bührle. Per il resto dell’attività espositiva non penso saranno necessari particolari accorgimenti ma chissà: magari ci sarà un grande interesse per i musei, dopo questi tempi difficili.

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