Ho sempre considerato il Western un genere di letteratura piuttosto "facile"
Ho sempre considerato il Western un genere di letteratura piuttosto "facile". Sia sullo schermo che sulla carta i personaggi mi sembravano sempre troppo piatti, marchiati da un manicheismo esagerato: il buono era sempre insulsamente troppo buono, il cattivo era banalmente, stolidamente, talvolta inutilmente cattivo.
Tra i due, la rivalità, qualche scazzottata, e poi l'inevitabile, risolutiva, tragica sparatoria finale. Se poi il cattivo era un pellerossa gli si sparava direttamente, senza passare dal via.
Che poi, a guardar bene, tanta della fantascienza che apprezzavo da ragazzo seguiva esattamente lo stesso schema, aveva solo rimpiazzato le Colt con dei laser e i cavalli con delle astronavi.
Poi arrivò lui. Cioè, lui in realtà era sempre stato là, quel West lo aveva visto morire e tramutarsi in mito, ma non aveva abboccato alla sua mistificazione da archetipi da quattro soldi, e ne aveva fatto il teatro di vicende umane complesse, piene di ironia e di personaggi appena abbozzati come da un pennello impressionista eppure tridimensionali, autentici. Uno scrittore che scoprii poi essere morto a soli 29 anni: ma come aveva fatto, così giovane, a conoscere così tanto la vita? Stephen Crane, noto soprattutto per il suo capolavoro, Il segno rosso del coraggio, è stato anche autore di racconti western memorabili: potete averne un assaggio con questo piccolo gioiello, L'hotel azzurro. Leggere per credere.
L’hotel azzurro
Di Stephen Crane
Mattioli 1885, 2012
69 pagine