Culture

'Sconfinando' in Giorgio Conte

Giorgio Conte a Lugano lo scorso luglio
20 ottobre 2017
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Giorgio Conte possiede quella rara leggerezza che ci permette di fruire dell’intimità del cantautore senza subire la pesantezza di chi, il vissuto, sembra avercelo soltanto lui. Il cantastorie astigiano porta domani sera al Teatro di Locarno (ore 20.30) il suo ‘Sconfinando’, cd e doppio vinile con editi e inediti affidati ad Alessandro Nidi, che ha curato gli arrangiamenti e diretto l’Orchestra Sinfonica Duchessa di Parma. «Ho provato a vestire le canzoni in un modo diverso», dice Giorgio. «Le cover, poi, bisogna stravolgerle, altrimenti tanto vale ascoltare l’originale». E dunque «‘Deborah’, da rhythm & blues, è diventata milonga, ‘Una giornata al mare’ (del fratello Paolo, ndr.), da beguine è diventata bolero, ’Gne gne’ adesso è un can-can», ci dice lui. Sulla sua ‘Com’è bella la luna’, gli diciamo noi, c’è un violoncello superbo: «Sì, messo lì in apertura ha qualcosa di Bach, rende bene lo stupore di due amanti che sembrano i primi della terra, oppure gli ultimi». 

Conte racconta che ’Sconfinando’ è un titolo ‘rubato’ al giornalista Vincenzo Mollica: «Io ero al valico di Brogeda, lui al telefono mi dice: “Dove sei?”. E io: “Sto sconfinando”. E lui: “Bel titolo per un disco”». Lo definisce «un gerundio triste, in questo periodo di gente che cerca la felicità lontano dal proprio paese». Il suo, di gerundio, è però di carattere artistico: «Ho voluto uscire dai confini delle mie registrazioni con piccoli gruppi, per darmi alle cure di un direttore d’orchestra, con relativa compagine sinfonica». Quanto alle proprie creature affidate ad altri, «già è difficile essere convinti delle proprie idee, poi se c’è qualcun altro che parla un’altra lingua le cose si complicano. E invece Alessandro Nedi è stato un complice perfetto, è uscita una cosa univoca». In copertina, un’opera di Ugo Nespolo: «Di fama internazionale, riconoscibile, personale. Con il ritorno al vinile, ora c’è tutto lo spazio per far risaltare la sua arte pittorica, rispetto al piccolo cd. Fa la sua figura...». Giorgio sarà a Locarno con «due violini, una viola, un violoncello, un pianista, un polistrumentista che suona tutti i clarinetti del mondo e i miei fidi scudieri». Che sono Bati Bertolio (fisarmonica e vibrandoneon) e Alberto Parone, che suona la batteria e riproduce il contrabbasso con la voce: «La gente guarda in giro e cerca il contrabbasso. Alberto ha trovato il modo per risolvere il problema dell’intesa tra musicisti...», sentenzia divertito.

La radio, 'falsa allegria'

Nel giorno dello scioglimento di Elio e le Storie Tese («Ma han fatto come i Beatles? Ma d’amore e d’accordo?», Giorgio ancora non sa), gli chiediamo di ‘Modulazione di frequenza’, duetto con Elio datato 1993, e se pensa ancora che le radio siano “Spazzatura colorata”. Così il Nostro: «In quei giorni ero a letto per il distaccamento della retina. L’unico conforto era la radiolina, che non riuscivo a fissare su nessuna stazione. In quella canzone ho parlato di “idiota felicità”, di “falsa allegria”. Lo penso ancora». Il duetto con Elio si deve al bassista degli Elii Faso e al musicista Lucio Fabbri: «Che mi dice “Qui ci vorrebbe un interlocutore”». Elio arriva il giorno dopo in motocicletta: «Entra con il casco sotto il braccio al Metropolis (storico studio milanese, ndr.) e fa subito un paio di telefonate. Lo sento che dice “Senti, devo fare un disco, devo dire tutto il peggio possibile delle radio...”.

‘In ‘Sconfinando’, tra i brividi dati dagli archi in ‘Stringimi forte’ (da ‘Cascina Piovanotto’, 2014) e poco più avanti in ‘Arte’ («Io e mio fratello l’avevamo pensata per Aznavour, ma ci bastò l’averla pensata, non glie la proponemmo mai»), l’ironia trionfa in ‘Antoine’, dove l’Antoine è quello di ‘La tramontana’: «È una questione privata tra me e lui. A Sanremo nel ‘68 scrissi ‘Deborah’ per Fausto Leali e Wilson Pickett. Antoine arrivò terzo, io quarto, e ho sempre rosicato. Ora Antoine fa il documentarista in Polinesia. Volevo proporgli di partecipare a questo pezzo, dove alla fine facciamo pace bevendo un bicchiere di rum. Gli ho lasciato un messaggio in segreteria, gli ho inviato un mp3. Dopo un’eternità ha risposto “Ok, va bene tutto”. Poi è sparito. Allora ho fatto da solo. Ho riprodotto la sua segreteria telefonica con la mia voce. E alla fine del pezzo faccio anche la sua parte».

Quella notte a Thun con 'l'elettricista' Dimitri

“Noi balliamo con le luci blu, noi ci baciamo con le luci blu. Ma è venuto anche a ballare l'elettricista. Tutti in pista, tutti in pista”. Sono i versi iniziali di una delle canzoni più divertenti di Giorgio Conte, intitolata “L’elettricista”, storia di «uno che faceva le luci nelle sale da ballo, le luci blu, che erano un segnale a prendere coraggio e approfondire certe situazioni...», così riassume il suo autore. La canzone – nella quale spiccano i fiati di Claudio Pascoli, Amedeo Bianchi e Demo Morselli – è tratta da “Giorgio Conte”, album del 1993 registrato con il gotha degli strumentisti italiani (tra i molti, Elio Rivagli, Lucio Fabbri, Paolo Costa, Lele Melotti).

Proprio all’elettricista in questione sono legati i ricordi incrociati di Giorgio e dell’amico Roberto Maggini, che nel Conte che ha sconfinato in Svizzera, e da lì altrove, ha qualche piacevole responsabilità. «Nei primi anni 90 organizzavo concerti in Piazza Grande con Andrea Netzer», ci racconta Maggini. «Erano i tempi in cui non c’era ancora Moon and Stars. Abbiamo portato Polo Hofer, Fiorella Mannoia, Fleetwood Mac, e anche il fratello di Giorgio, Paolo». Fu Netzer a portare Giorgio a Breganzona; poi Roberto lo portò in Città Vecchia, a Locarno. «Venne con Gianni Coscia e Luca Ghielmetti. Fu una serata bellissima, nessuno conosceva ancora il potenziale di questo artista». Fu lo stesso Maggini – per 22 anni vicepresidente – a suggerirgli di presentarsi alla Borsa dei Teatri. Il grande successo in Belgio, Canada, Francia partì proprio da lì.

«Più tardi, nel 2005 – aggiunge Roberto – Giorgio fu chiamato alla serata per il Premio svizzero della scena di Thun. In quell'occasione c'eravamo anche io e Dimitri. Giorgio mi disse “Ma perché non facciamo una cosa assieme?”. Io risposi “Ma Giorgio, Dimitri non conosce le tue canzoni”. Il clown si fece dare una lampada, un faro, un cavo e quanto accadde sul palco sembrò frutto di almeno una prova. «Fu fantastico, avevamo davanti un clown, pur senza il trucco». Il resto del racconto nelle parole di Conte: «Dimitri si calò nei panni di un vero elettricista. Piombò sul palco facendo un capitombolo da grande clown quale era. Era un campione della fantasia e dell’invenzione. Quel suo bellissimo teatro, e la scuola di circense, lo rappresentano».