Culture

Paolo Belli: 'la musica, il mio sogno di bambino'

26 giugno 2017
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Erano gli anni di Huey Lewis and The News, gli anni delle blues band con sezione fiati, tutti sul palco, stringendosi un po’. Sono stati anche gli anni dei Ladri di Biciclette, che nel 1989 fecero conoscere all’Italia intera la forza esplosiva e il buonumore contagioso del fondatore e front-man Paolo Belli. Da quella fine di decennio, il musicista-cantante-intrattenitore si è messo in proprio, è cresciuto, sino a diversificare la sua carriera tra palco, teatro e tv. Oggi, anche calcisticamente parlando, è il neo Presidente della Nazionale Italiana Cantanti. Icona dell’intrattenimento misurato, impegnato nel sociale con altrettanta misura, la sua carriera musicale è sempre corsa parallela a tutto il resto. Mercoledì 28 giugno, dalle 22 sul New Orleans stage, va in scena l’atto unico di Paolo Belli a JazzAscona, con band di undici elementi al seguito. Una prima assoluta per Mister Swing, che con la Svizzera ha un ‘conto aperto’, bellissimo da ascoltare…

Sul libro dei sinonimi, alla voce “Paolo Belli”, c’è scritto “buonumore”…

Te lo dico senza giri di parole: io da bambino sognavo di fare questo. Non solo faccio quello che ho sempre sognato, ma vengo anche pagato per farlo. Dimmi perché non dovrei essere felice. Sento che devo restituire questa felicità in tutto e per tutto agli altri, che spesso non hanno avuto una vita felice come la mia, soprattutto di questi tempi.

JazzAscona è un’occasione importante per il pubblico, ma anche per te…

Sì. Nella mia vita artistica ho avuto tanto successo, ma anche un periodo bruttissimo. La Svizzera nel momento brutto ha continuato a trattarmi come se io fossi Bruce Springsteen. Mi hanno sempre chiamato, e ogni volta ero quasi in imbarazzo, perché sapevo di non essere al top in quel momento. Anzi, tutt'altro che al top, ero sotto terra. Questo mi ha fatto capire che da voi c'è un rispetto verso la cultura e verso l'artista che viene gratificato. Una cosa che mi ha insegnato molto. È stato un piacere tutte le volte. Poi è arrivato un momento nel quale la mia carriera è tornata ad essere bella, fulgida, tenendomi impegnatissimo e lontano dalla Svizzera, e infatti sono molto curioso di tornare  per capire se c'è sempre quel rispetto per il jazz, lo swing, per la musica in generale. Sono convinto che sia ancora così. Torno anche per dire grazie, perché se sono ancora qua lo devo anche alla Svizzera.

L’ambiente musicale non è proprio il circolo del bridge. Come si resta in vetta per 30 anni?

La mia esperienza mi porta a dire che ci vuole innanzitutto rispetto del dono che ti hanno dato dall'alto. Hai un dono? Bene, adesso però da lì partiamo. Quindi studiare, mettersi in gioco con umiltà, senza fermarsi mai.

Hai parlato della musica come di un gioco molto serio…

Io ho sempre fatto musica con tanta gente, più che da solista, e la storia insegna che non è facile far sopravvivere le persone con il jazz e con lo swing. Mi spiego. Capita di avere proposte economicamente così allettanti che un furbo suonerebbe in quintetto. Ma io non sono un furbo. Invece di dividere la torta per 5, preferisco dividerla per 25, tra musicisti, tecnici e tutto il resto. Però io so che quando arriverò lì, darò il massimo di me stesso, e non potrò recriminare su niente. Questo è il mio modo di giocare nella maniera più seria possibile. Devi avere rispetto di chi lavora con te, e questo rispetto, a mio parere, paga sempre.

Questa era la parte seria. E il gioco?

Non mi prendo mai sul serio. Quando ho scritto la canzone, ho fatto le prove e sono salito sul palco, da lì in poi deve venir fuori il bambino. Poi, suonando jazz e swing, ogni volta vengono fuori cose che nemmeno te lo aspettavi. Ma la colpa è dei miei maestri, Jannacci, Buscaglione, Carosone, che non si sono mai presi sul serio. Me ne lavo le mani, la responsabilità è tutta loro.

Da Belli a Carosone. Un emiliano e un napoletano. Niente di più simile…

Due terre vicinissime per via del jazz e dello swing, unite dal funk, dal blues, dal sole, dalla voglia di stare in mezzo alla gente.

Diecimila persone a Cosenza, data di apertura del tuo tour. Dunque la gente ha ancora voglia di musica?

Sì, come non mai. Credo sia un segnale che abbiamo fame di serenità. E cos’è la prima cosa che fai quando hai voglia di serenità? Ascolti musica. Quando cinque anni fa ci fu il terremoto nella mia terra, dopo ognuna delle scosse di assestamento che sentivamo, io e mia moglie ascoltavamo musica. C’è tanta voglia di musica, grazie a Dio, mai come in questo momento ce n’è bisogno. La musica è una cosa talmente grande, tanto più in alto di noi…

Non hai mai nascosto di essere juventino, hai pure scritto l’inno della squadra. Hai mai pensato di esserti giocato una parte di pubblico?

Innanzitutto per me è stato un grande orgoglio quando la società ha deciso per questa canzone. Me l'ero fatta la domanda, e invece la cosa meravigliosa è scoprire che la gente ti vuole bene perché quelli che non hanno la mia stessa fede calcistica dicono “oh, sei forte. Hai solo quel piccolo difetto...”. Nessuno mi ha mai tolto dalla lista. Nemmeno quando gli dico che il difetto non è il mio, ma il loro...

Per concludere, da juventino quale sei, sai spiegarti cos’è successo a Cardiff?

Cardiff? Scusami, non so di cosa tu stia parlando...

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