Culture

Vasilij Kandinskij al Mudec di Milano - Un cavaliere errante verso l'astrazione

Il cavaliere
(Luca)
12 giugno 2017
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Chiunque si sia occupato dell’arte di Vasilij Kandinskij (1866-1944) avrà letto dell’importanza che ha avuto per lui la spedizione etnografica nella Russia settentrionale fatta quando ancora frequentava la facoltà di legge all’Università di Mosca.
In effetti da qualche anno i suoi interessi erano andati ampliandosi, oltre il diritto, in particolare il diritto romano che all’inizio lo aveva fortemente attratto per la sua “struttura elaboratissima”, per la sua coerenza logica e razionalità. Proprio allora, quasi compensatoriamente, la sua sensibilità slava si era fatta sentire ammaliandolo con i richiami per “le regioni dello spirito”: quell’altra parte, misteriosa e profonda, che ripiegava sull’interiorità segreta degli uomini e dei popoli di fronte ai grandi temi della vita. Per questo, nell’estate del 1889, era partito per le lontane regioni del governatorato di Vologda, circa 400 chilometri a nord di Mosca, alla ricerca dell’anima popolare russa, tanto nelle tradizioni e nelle fiabe russe, quanto nel canto e nella religiosità ortodossa.
Quello che vi scopre, là dove la cultura dei popoli si manifesta ai suoi livelli elementari ma anche profondamente vissuti e sentiti, lo segnerà per tutta la vita e diventerà fondamentale per la sua pittura. Nelle grandi isbe, scrive, “il tavolo, le panche, la stufa enorme e imponente, gli armadi e le dispense – tutto era decorato da arabeschi variopinti, tracciati con grande energia e impeto”. Lì la pittura si anima, il colore è vita; così come vita sono le immagini di santi ed eroi popolari appese alle pareti, a creare un angolo dello spirito, “un canto tradotto in colori”. “In queste case meravigliose ho vissuto quel che da allora non ho più provato. Mi hanno insegnato ad entrare nel quadro, a vivere al suo interno con tutto il mio corpo, sentendolo davanti e dietro me”.
È una dichiarazione di poetica di grande rilievo per capire l’arte di Kandinskij e l’origine di quel suo testo più significativo: “Lo spirituale nell’arte” del 1911, vale a dire il bisogno di andare oltre la raffigurazione e di lasciare al suono dei colori la musica della pittura.
Lo dichiarerà a chiare lettere più tardi affermando che le fonti della sua pittura sono da rintracciarsi “nei pittori russi di icone vissuti tra il X e il XIV secolo, e nella pittura popolare, vista per la prima volta durante il viaggio nel nord della Russia.

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