Culture

Sguardi sul mondo

D. Padilla, ‘The Julie Project
3 giugno 2015
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Da stasera a Monte Carasso il meglio del fotogiornalismo nella mostra World Press Photo 2015

Dall’Ucraina a Gaza, dall’Australia alla Mongolia, dalla Nigeria all’Alaska, fino a Lionel Messi senza Coppa. Un giro del mondo significativo.

Se una tendenza cultural-politica dominante nel nostro tempo, vittimistica ed egocentrica, vorrebbe indurci a restringere il nostro sguardo al perimetro della nostra quotidianità, ad occuparci sempre più del nostro ombelico, a rimirare senza posa la nostra immagine riflessa o ad alzare muri, reali e mentali, fra noi e l’altro; allora, quando una finestra d’improvviso si spalanca sul mondo, una folata d’aria ci investe, violenta e benefica, e forse ossigena la nostra curiosità verso le molteplici realtà che ci circondano, verso ciò che è lontano o diverso, ma sempre umano. Anche in questo consiste il lavoro del miglior fotogiornalismo, offrire occasioni privilegiate per scoprire il mondo di cui siamo testimoni, interrogarci, rinsaldare quel filo che ci lega al prossimo, chiunque esso sia. Regala un’esperienza simile World Press Photo 2015, la mostra che apre oggi alle 18.30 a SpazioReale. Nelle sale sotterranee dell’ex Convento di Monte Carasso sono esposti quelli che la giuria del concorso, giunto alla 60ª edizione, ha selezionato come i migliori scatti dello scorso anno (un centinaio sui 97’912 inviati da tutto il mondo). Le sezioni sono otto: Attualità, Notizie generali, Spot News, Vita quotidiana, Sport, Natura, Ritratti e Progetti a lungo termine. Oggi all’inaugurazione ci saranno Gianluca Grossi, curatore di SpazioReale, e Femke van der Valk, responsabile delle esposizioni internazionali di World Press Photo. Quando, fra il grano dorato della sterminata campagna ucraina, trovi un uomo ancora legato al suo sedile dopo un inquietante disastro aereo; quando su una spiaggia di Gaza vedi il corpicino straziato di un bambino che stava solo giocando nella sabbia; quando vedi gli occhi di un uomo in preda alle convulsioni terminali date dal virus dell’Ebola, o quando scorgi sotto un’auto il volto di un migrante che si nasconde a due agenti della Guardia Civil spagnola, oppure resti solo davanti ai grembiuli e ai quaderni abbandonati dalle ragazze rapite dai guerriglieri di Boko Haram, beh, hai la percezione lucida e dolorosa che questa non è una mostra come un’altra. La bellezza, se c’è, non può che emergere o traspirare, come a un secondo grado di percezione sensibile, dal cuore della realtà, anche la più oscena, dove nessuna forma di bellezza appare contemplabile. In questa mostra, però, come peraltro sottolineato ieri da Grossi durante la presentazione alla stampa, il reale viene esplorato in modo trasversale, non solo nei suoi aspetti più tragici. Si possono trovare, ad esempio, Lionel Messi che osserva la Coppa del mondo dopo la finale persa contro la Germania, le ragazze russe in interno raccontate da Andy Rocchelli (morto lo scorso anno in Ucraina), la vita quotidiana nella Mongolia travolta dalla modernità o la natura mostrata in modo spettacolare fin nei suoi esseri più minimi, come i parassiti. Davvero suggestiva l’ultima sezione, i Progetti di lunga durata, dove si impongono gli scatti in bianco e nero di Darcy Padilla, che ha seguito la vita di una ragazza statunitense, tossicodipendente e sieropositiva, e della sua famiglia sull’arco di vent’anni, da un primo incontro casuale nel 1993 fino agli anni dopo la sua morte. In una mostra di questo tipo, che nei suoi vertici più dolorosi getta come uno schiaffo il reale in faccia al visitatore, è forse inevitabile chiedersi se sia giusto, se anche di fronte alla morte ingiusta di un bambino sia ammissibile prendere in mano la macchina fotografica. Femke van der Valk: «Noi crediamo nella forza dirompente delle immagini, in un contatto emotivo con ciò che si vede e in un’educazione alla fruizione dell’immagine». Come recita l’introduzione, si tratta di “inserire le immagini in un contesto significativo” e di attribuire “alle storie una prospettiva comprensibile”. In un’epoca in cui siamo ad ogni minuto subissati di immagini, volgari o insignificanti, è forse un esercizio importante tornare a dare valore a quegli scatti che davvero sanno raccontare il mondo in cui viviamo, portandolo agli occhi di chi ancora vuole evadere dai propri confini, vuole sapere, vuole vedere con i propri occhi cosa c’è oltre a se stessi. In questo senso SpazioReale si presenta come un unicum in Ticino. Grossi: «È tanto più importante in un tempo in cui il giornalismo serio, che spende tempo su una notizia, che va al fronte, è sempre più minacciato da logiche di risparmio che mettono in crisi la stessa libertà di stampa e finiscono col censurare uno sguardo sul mondo».

 

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