Culture

La giornata della Password

Per essere sicuri
(Gabriele Putzu)
7 maggio 2015
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Oggi è la giornata mondiale della password, un’occasione per ricordare alle persone di non sottovalutare l’importanza di usare codici e parole chiave meno prevedibili di ‘1234’, ‘password’ o del nome del gatto che sì, sono facili da ricordare, ma quanto a sicurezza non sono proprio il massimo. Quindi, inviti a utilizzare password complesse, a cambiarle più volte l’anno, a usarne una diversa per ogni servizio, a non condividerle. Solo che memorizzare una cosa come ‘r*qQUJmj72me2[v’ non è proprio immediato, farlo per 30 o 40 servizi diversi una o più volte l’anno… Non stupisce che molte persone odino le password. Ma la svolta potrebbe essere vicina: la scomparsa della password. In futuro non serviranno più i sistemi di doppia autenticazione – da anni utilizzati dalle banche e sempre di più anche dai servizi online – e nemmeno le applicazioni che memorizzano tutte le password. Ci basterà, forse, il nostro corpo, grazie a sistemi biometrici sempre più avanzati e integrati nei dispositivi di uso comune. Il sensore dell’impronta digitale è già usato per sbloccare gli smartphone di ultima generazione. All’orizzonte si intravedono progetti ancora più ambiziosi. Gli Yahoo! Labs stanno lavorando a Bodyprint, che sfrutterà gli schermi “touch” per riconoscere anche le orecchie e le nocche di una mano. PalmSecure, di Fujitsu, sta invece studiando il riconoscimento biometrico delle vene tramite raggi infrarossi. Intel Security ha realizzato una soluzione che combina diversi elementi biometrici, mentre nei laboratori di Motorola si sta testando un tatuaggio ad hoc e PayPal immagina un futuro in cui la password sarà sostituita da microdispositivi da iniettare, ingerire o incorporare. L’anno scorso Google acquistò la start up israeliana SlickLogin specializzata in password ‘sonore’ con una tecnologia che consente ai siti web di identificare gli utenti da onde sonore generate dagli altoparlanti del proprio computer. Se tutti questi tentativi fallissero non ci resterà che piangere, a ‘buon fine’: l’australiano Stephen Mason ha scoperto che le lacrime di una persona producono un codice biometrico univoco e impenetrabile. Nel frattempo, meglio evitare ‘123456’.