Culture

Il rito alimentare della memoria nell'opera di Spoerri - di Vito Calabretta

'La médecine opératoire dessinée d'après nature par N. H. Jacob'
(Daniel Spoerri)
30 aprile 2015
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Cosa è l’archeopoietica? Esiste? Boh, forse il fatto che esista o no non ha molta importanza, se stiamo pensando all’opera di Daniel Spoerri il cui lavoro rivolta la relazione tra ciò che plausibile e ciò che non lo è. Faccio riferimento alla dichiarazione di Man Ray citata in catalogo: la pittura «si sta per rivoltare contro se stessa non solamente diventando “astratta” ma violando tutte le considerazioni estetiche suscitate dai suoi mezzi d’espressione». Come per la pittura, così succede con il procedimento artistico e Spoerri è proprio uno di quegli autori che rinnega i canoni consolidati dell’estetica. Anche sulla base del bel racconto nel quale Arturo Schwarz evoca il suo primo incontro con Daniel Spoerri, mi viene in mente il concetto di Archeopoietica. Schwarz ricorda, quando si trovò davanti a tutti quegli assemblaggi disposti in verticale che erano i “quadri trappola”, di averli visti come segni di tempo, come evoluzione del concetto di ready-made: «Cattura il caso», egli riferisce. Con il termine ‘archeopoietica’ intendo il gesto di produrre qui e ora ciò che altrove consideriamo un’eredità della storia, una volta che abbiamo peraltro attribuito alla storia il potere di selezionare il meglio di ciò che è stato. Producendo tracce di vita vissuta, l’artista si arroga, velleitariamente, il potere che altrove è attribuito alla storia. Con un gesto surrealista, Spoerri ricompone per noi, o meglio ci rinfaccia, una mappa di tracce, di reperti della nostra vita e della realtà. Per delineare gli elementi che strutturano il lavoro di Spoerri è utile innanzi tutto relativizzare il ruolo del cibo e del rito alimentare. La mostra di Chiasso è intitolata “Eat art in transformation” ma l’area dell’alimentazione sembra essere, più che il soggetto del suo lavoro, soprattutto il luogo semantico all’interno del quale Daniel Spoerri muove la propria azione. Siamo e siamo stati ossessionati, nella modernità, dalla possibilità, necessità, angoscia di poter ricostruire la memoria o meglio una memoria accettabile. A tale ossessione è collegata l’apoteosi dell’archivio. Nel caso di Spoerri l’ossessione si muove in un territorio alimentare e in particolare in quello del rito alimentare: il mangiare e lo stare a tavola; egli definisce un’area di azione circoscritta che consente di accentuare alcuni elementi. Spesso, così come succede in alcune delle opere del filone del Nouveau Réalisme, un lavoro di Spoerri è un assemblaggio. A Chiasso abbiamo coltelli, posate, denti, in ogni opera, disposti in un modo non particolarmente ordinato ma comunque riconducibile al concetto di inventario. Ci sono poi i “quadri trappola”, dove i resti che vediamo sono ciò che rimane di un desco. La rappresentazione non è gradevole e i valori estetici più evidenti sono la sporcizia, il disordine, il residuo-rifiuto, la spazzatura. Se pensiamo a un desco imbandito, abbiamo con l’opera di Spoerri la rappresentazione della sua negazione. È la rappresentazione dell’entropia del mondo attraverso l’immagine di ciò che resta quando si è compiuto un rito che noi viviamo come naturale: stare a tavola.