Culture

Darwin e l’anima

Il giovane Charles ritratto da George Richmond.
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10 febbraio 2015
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Intervista al neuroscienziato Giorgio Vallortigara, domani sera a Massagno per il Darwin Day

Niente dualismo nella visione darwiniana: tutta l’attività men­tale è riconducibile al cervello; il che però non significa che tutto ciò che riguarda la mente sia nel cervello

Non è solo un anniversario, il 12 febbraio, giorno della nascita di Charles Darwin; del resto neppure la grande scoperta del naturalista inglese, l’evoluzione per selezione naturale, è solo una teoria scientifica, dal momento che ha cambiato la nostra visione dell’uomo e del mondo, eliminando o comunque riducendo il trascendentale, il divino. In proposito, il neuroscienziato Giorgio Vallortigara, direttore del Centro Mente/Cervello dell’Università di Trento, ricorda una frase di Richard Dawkins che aveva letto da studente: “Tutti i tentativi di rispondere alla domanda ‘Che cos’è l’uomo?’ compiuti prima del 1859 (anno di pubblicazione dell’‘Origine delle specie’) sono totalmente privi di valore e faremmo meglio a ignorarli”. Perché «la risposta adesso ce l’abbiamo, potrà non piacerci, è una risposta un po’ disincantata, ma ce l’abbiamo», spiega Vallortigara, che domani, mercoledì 11 febbraio, alle 20.30 sarà al cinema Lux di Massagno per l’incontro “Dal cervello all’anima”, organizzato dall’Associazione svizzera dei Liberi pensatori per il Darwin Day. Insieme a Vallortigara, il filosofo Franco Zambelloni; modererà l’incontro Giorgio Noseda.

Professor Vallortigara, in questa risposta disincantata, c’è posto per l’anima?
Dal punto di vista scientifico, io direi di no. Noi oggi pensiamo che tutta l’attività mentale, senza esclusione, sia riconducibile all’attività fisico-chimica del cervello. Questo però non significa che tutto quello che riguarda l’attività mentale della specie umana sia dentro il cervello. Questo può sembrare un paradosso, ma dobbiamo ricordarci che un sacco di sapienza, di conoscenza, di intelligenza gli esseri umani l’hanno collocata fuori dalla scatola cranica, nella cultura, nello sviluppo sociale. Una sapienza, un’intelligenza incarnata negli edifici, nelle biblioteche, in tutto quello che abbiamo costruito e che è il frutto, il risultato di processi fisico-chimici che sono avvenuti nel nostro cervello, ma che viene trasferita di generazione in generazione in un modo che non ha probabilmente eguali, almeno dal punto di vista quantitativo, nelle altre specie.

Rimane spazio per il dualismo, per l’idea che ci possa essere altro oltre all’attività del sistema nervoso?
Il mio punto di vista è quello espresso dalla famosa battuta di Guido Cavalcanti: “cercar se trovar si potesse che Dio non fosse”. In altri termini: gli scienziati devono lavorare, cercare di spiegare l’attività mentale nei termini del cervello, perché assumere che ci sia dell’altro equivale ad abdicare alla propria funzione. Fino a prova contraria, cerchiamo di spiegare tutto quello che c’è da spiegare nei termini delle scienze naturali. Fin qui la storia della scienza ci ha dato ragione.

Lei ha detto che la nostra capacità di trasmettere conoscenza “non ha eguali nelle altre specie”. Eppure una delle lezioni di Darwin è che l’uomo è un animale come gli altri… 
Infatti prima avevo aggiunto la postilla “quantitativamente”, e mi riferivo proprio alla famosa affermazione di Darwin secondo cui la differenza nelle capacità mentali tra noi e le altre specie animali è una differenza di grado piuttosto che di qualità. Nel caso specifico, quello che sta emergendo dalla ricerca di tipo comparativo è che i meccanismi di base, quelli fondamentali dei processi di pensiero, sono in larga parte condivisi con una varietà di altre specie, perlomeno tra i vertebrati. Le disparità sembrano riguardare essenzialmente un aspetto quantitativo – che di fatto fa una grande differenza –, soprattutto nella trasmissione della conoscenza che avviene attraverso questo medium straordinario che è il linguaggio. Questo è quello che ha reso possibile disporre di protesi cognitive al di fuori della nostra scatola cranica. La mia idea è che quello che c’è dentro le scatole craniche di uno scimpanzé, di un uomo, di un delfino ma anche di un pollo o di un ratto, non sia fondamentalmente diverso e che quello che ha reso unica la nostra specie sia la possibilità di comunicare da una generazione all’altra in maniera molto rapida i prodotti del nostro pensiero.

MENTE E CERVELLO
Nati per credere (negli agenti)
Vallortigara ha scritto, insieme a Telmo Pievani e Vittorio Girotto, ‘Nati per credere’ (Codice edizioni, 2008), dove il “credere” che figura nel titolo non fa (per forza) riferimento alla fede religiosa. Ma andiamo con ordine. Alla base c’è il modo in cui è costruito il nostro cervello, «un modo funzionale dal punto di vista biologico – spiega Vallortigara –, con una serie di trucchetti interni che ci consentono di guardare agli eventi del mondo nei termini di azione di agenti animati». Una caratteristica che condividiamo con molte altre specie, anche se negli esseri umani è particolarmente importante perché «la nostra vita sociale e di relazione è molto complessa». Che cosa porta questa marcata inclinazione a vedere “tracce di agentività”? «Costituisce molto probabilmente il terreno di coltura per lo sviluppo di una varietà di credenze nel sovrannaturale, credenze che hanno assunto, nelle diverse culture, le forme più variegate, dalle esperienze religioni alle credenze negli Ufo». Tutta questa credulità è un accidente secondario di un adattamento biologico.
Un ultimo punto che Vallortigara ci tiene a spiegare è il fatto che noi siamo dei dualisti intuitivi: «Siamo costruiti biologicamente per dividere spontaneamente il mondo in entità inerti e inanimate, gli oggetti, ed entità animate, le persone o, se si preferisce, gli spiriti». Si tratta di una costruzione biologica che ha, tra le sue conseguenze, il rendere difficile comprendere la teoria dell’evoluzione stessa, perché «per noi è naturale spiegare gli eventi nei termini di funzioni e di esistenza di un creatore». L’idea di un puro meccanismo in grado di spiegare la complessità dei viventi «è difficile da digerire perché in contrasto con il nostro modo naturale di pensare, quello per cui un rumore in una stanza buia è prodotto da qualcuno, non da qualcosa, un criterio che ha avuto il suo senso, anche se ora ci fa guardare ai fatti in un modo un po’ paranoico». La cultura può comunque cambiare questa “modalità naturale del pensiero”, «tanto è vero che ci sono persone che festeggiano il Darwin Day».

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