laR+ Ticino

‘Tagli a università e ricerca, per il Ticino un duro colpo’

La proposta del Consiglio federale farebbe mancare nel complesso oltre 14 milioni di franchi a Usi e Supsi. ‘L'offerta formativa potrebbe essere rivista’

In sintesi:
  • Lambertini (Usi): ‘Così ci rimette anche la qualità’
  • Gervasoni (Supsi): ‘Alzare le rette toglie ad alcuni ragazzi la possibilità di studiare’
Le conseguenze sarebbero dal 2027
(Ti-Press)
11 febbraio 2025
|

Un grido d’allarme. Una levata di scudi. Il mondo accademico svizzero fa quadrato contro le misure di risparmio proposte dal Consiglio federale nel settore della formazione e della ricerca. Misure che avrebbero un impatto a livello nazionale di 460 milioni di franchi – 14,5 in Ticino – ogni anno a partire dal 2027. “Le conseguenze sarebbero nefaste” hanno affermato all’unisono Consiglio dei politecnici federali, Swissuniversities, Consiglio di ricerca del Fondo nazionale svizzero (Fns), Innosuisse e Accademie svizzere delle Scienze. Istituti e associazioni – riuniti questa mattina a Berna per lanciare pubblicamente un messaggio alla politica nazionale – non hanno usato giri di parole: “Quella del consiglio federale è una strategia poco lungimirante. I conti magari verranno sistemati, ma la fattura da pagare in futuro sarà salata”.

Gervasoni (Supsi): ‘Penalizzate anche aziende del territorio’

Concetti sottoscritti fino all’ultima virgola anche in Ticino da Supsi e Usi. I due istituti – in totale – vedrebbero i contributi scendere di 14,5 milioni di franchi. «Già negli scorsi mesi abbiamo calcolato quello che potrebbe essere l’impatto di queste misure per il nostro istituto», afferma interpellato da ‘laRegione’ il direttore generale della Supsi Franco Gervasoni. «Siamo intorno agli otto milioni di franchi l’anno». Riduzione dei contributi federali di base ma pure tagli ai fondi destinati ai progetti di ricerca – Innosuisse e Fns in particolare – il cui impatto è più complicato da stimare per ogni singola università. «Ci saranno meno progetti e questo penalizza anche aziende e associazioni del territorio che collaborano con la Supsi». Altro problema: «ridurre i progetti di ricerca vuol dire anche limitare i posti di formazione per i ricercatori, con un impatto diretto per l’economia che invece chiede sempre più personale qualificato». Un concetto sul quale politecnici e università riuniti a Berna hanno voluto insistere: “La diminuzione dei mezzi avrà un impatto negativo sulla qualità dell’insegnamento e sulla formazione del personale qualificato richiesto dall’economia, già scarso, come dimostra la carenza per esempio di ingegneri. Per non parlare dell’attrattiva del nostro Paese quale magnete per imprese internazionali, come dimostrano le decisioni di Microsoft e Google di ampliare la propria presenza in Svizzera per sfruttare le competenze delle nostre università in materia di Intelligenza artificiale”.

Mettere in campo misure di risparmio, nel caso la proposta dell’Esecutivo dovesse essere accettata dalla Camera federale, sarebbe inoltre più complicato di quello che si pensa. «Dovremmo agire su costi e ricavi in maniera trasversale. Il nostro istituto ha dei meccanismi di funzionamento e finanziamento estremamente complessi. Non si deve pensare che ‘spegnendo’ una parte della Supsi si risparmia, perché non funziona così».

Il Consiglio federale propone tagli, ma indica pure una ricetta per compensare le minori entrate: aumentare le rette d’iscrizione richieste agli studenti. «È un’indicazione che ha un senso da un punto di vista contabile, ma complessa se analizzata nel dettaglio», sottolinea Gervasoni. «Aumentare le tasse vuol dire mettere gli studenti in difficoltà e, nel peggiore dei casi, impedire a qualcuno l’accesso alla formazione. I contributi federali – aggiunge il direttore generale della Supsi – hanno poi un ruolo di ‘armonizzatore’. Permettono di ridurre la differenza tra cantoni ricchi, che possono iniettare ingenti risorse nelle università presenti sul proprio territorio, e cantoni con finanze più fragili. Come il Ticino». Il rischio: una formazione a due velocità, con buona pace per la coesione nazionale.

Lambertini (Usi): ‘La formazione è un investimento’

Per l’Università della Svizzera italiana l’impatto sarebbe invece di 6,5 milioni di franchi ogni anno. 5,2 milioni tolti all’Usi, il resto della somma detratto dal sostegno agli istituti affiliati. Ovvero: ricerche biomediche (Irb) e ricerca oncologica (Ior) a Bellinzona, ricerche solari (Irsol) a Locarno. «È un ammanco molto importante», sostiene la rettrice Luisa Lambertini. «Questi tagli potrebbero portare alla riduzione della nostra offerta formativa, ma soprattutto alla riduzione della sua qualità. La formazione – ci tiene a sottolineare Lambertini – deve essere vista come un investimento». A dirlo è anche uno studio citato questa mattina a Berna. «Ogni franco che entra in un istituto universitario si trasforma in cinque franchi di ricaduta economica sul territorio. La strada indicata dal Consiglio federale mi sembra quindi un po’ miope e in controtendenza rispetto a quello che fanno gli altri Paesi, dove si investe nella formazione».

A essere toccati, come detto, sono pure i fondi destinati alla ricerca. «Due numeri per capire concretamente quali sarebbero le conseguenze di questi risparmi: 700 progetti di ricerca e 2mila posti di lavoro per giovani ricercatori a rischio. Verrebbero colpite – aggiunge la rettrice dell’Usi – anche le start up e le aziende che collaborano con gli istituti di ricerca». Muro alzato anche per quanto riguarda l’ipotesi, suggerita dal Consiglio federale, di alzare le tasse d’iscrizione per compensare le minori entrate. «È semplicemente spostare i costi su Cantoni e famiglie. La realtà dell’Usi è poi difficile perché abbiamo già ora delle rette alte. Alzare ulteriormente sarebbe problematico». Anche perché, continua Lambertini, «gli accordi tra Svizzera e Unione Europea ci chiedono dall’altro lato di abbassare le rette degli stranieri europei a quanto pagano gli svizzeri». Insomma, tra tagli e richieste di rette più basse l’ammanco potrebbe arrivare a otto milioni di franchi. «Spero che la politica federale capisca la situazione», conclude Lambertini.