Il Gran Consiglio respinge iniziativa e mozione contro la pubblicità sessista. Filippini: ‘Criteri soggettivi che limiterebbero la libertà d'espressione’
Dalla fotografia di una ragazza ferita nei vestiti di Philippe Plein al sedere della compagna di Oliviero Toscani con la scritta “chi mi ama mi segua”, passando per un’autoprodotta immagine che ritrae la deputata Udc Lara Filippini intenta a pubblicizzare un trattore ticinese. È con una carrellata di esempi, a tratti anche surreali, che il Gran Consiglio ha dibattuto in serata dell’iniziativa parlamentare dei Verdi per vietare la pubblicità sessista e dell’analoga mozione Mps per vietare pubblicità sessista, razzista e omofoba. Iniziativa – che chiedeva una modifica della Legge cantonale sugli impianti pubblicitari – e mozione respinte dalla maggioranza del parlamento.
«La pubblicità è protetta dalla libertà di espressione e dalla libertà economica», premette Giulia Petralli (Verdi) presentando l’iniziativa. «Tuttavia queste libertà non sono assolute. È lecito chiedersi se determinate immagini siano violente e dannose. Spesso queste campagne propongono stereotipi di genere che hanno il rischio nascosto di proporre e propagandare una determinata visione della nostra società. Una visone patriarcale. Il sessismo affonda le sue radici nello stereotipo che le immagini pubblicitarie possono rafforzare. Ciò nonostante la legge non prevede nessuna tutela in questo ambito». Sulla stessa lunghezza d’onda Matteo Pronzini (Mps). «Quante volte nelle immagini di prodotti di pulizia viene rappresentata solo la donna, a testimoniare che il compito sia suo? Spesso le campagne pubblicitarie veicolano la famiglia tradizione e l’amore eterosessuale come unica opzione accettabile. Sappiamo bene quanto la pubblicità sia potente nel rappresentare la cultura della società».
Risponde senza mezze misure Lara Filippini, relatrice insieme al leghista Andrea Censi del rapporto di maggioranza contrario alle due proposte. «Anche secondo il Consiglio federale quanto viene proposta è difficilmente applicabile, perché subentra un forte criterio di soggettività. La modifica della legge – aggiunge Filippini – non arriverebbe inoltre a bloccare la circolazione attraverso i social, che è ormai diventato il principale canale di diffusione pubblicitaria». Inoltre, «si creerebbe un impianto censorio preventivo, attraverso una commissione che ragiona su basi soggettive e costa centinaia di migliaia di franchi ogni anno».
Di tutt’altro avviso la socialista Lisa Boscolo, relatrice del rapporto di minoranza a favore di iniziativa e mozione: «Che nessuno può essere discriminato lo dice la Costituzione svizzera, non un manifesto femminista. Ho sentito parlare di libertà di espressione. È un valore fondamentale – puntualizza Boscolo – ma non può essere un pretesto per tollerare certi messaggi che degradano e discriminano. Non possiamo accettare immagini tossiche che banalizzano scene di violenze. Non rappresentano libertà di espressione, ma di odio».