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Per due voti la tassa di collegamento è in divieto di sosta

Il Gran Consiglio aderendo al rapporto che chiedeva di accettare l'iniziativa popolare che ne chiede l'abrogazione pone la fine del balzello sui posteggi

(Ti-Press)
14 ottobre 2024
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44 favorevoli, 42 contrari e 2 astenuti. Sono le 17:34 quando il Gran Consiglio, dopo una discussione tesissima e un testosteronico intervento ad alzo zero del direttore del Dipartimento del territorio Claudio Zali, ha deciso di porre fine alla tassa di collegamento. Il sì risicato al rapporto di maggioranza, stilato dalla democentrista Roberta Soldati, riesce quindi ad avere il sostegno del plenum del Gran Consiglio.

Zali nel suo discorso ha definito la decisione in arrivo e di cui si usmava già il tratteggiarsi come «uno schiaffo alla volontà popolare, un gesto di arroganza dei suoi sedicenti rappresentanti, una vergogna per la democrazia».

Perché il discorso era tutto qui: abrogare per direttissima, come chiesto da maggioranza del Plr, maggioranza del Centro e Udc o far esprimere il popolo essendo una legge votata dal popolo, come rivendicato da Lega, Ps e Verdi? Hanno vinto i primi, col sostegno di HelvEthica, Avanti con Ticino & Lavoro e il leghista Andrea Censi.

Di transenna, il Preventivo del Cantone passa così in pochi istanti da -64 a -80 milioni di franchi. Molti auguri.

Botta e risposta continuo

L'hanno vinta gli iniziativisti, quindi. Che con Cristina Maderni (Plr) danno il La al dibattito: «Abbiamo raccolto 16'045 firme per abolirla e molto in fretta, perché è una tassa che non giova a nessuno, ha fallito nel contenere il traffico, il Consiglio di Stato medesimo ha ammesso nel Preventivo 2025 che la tassa non funziona in quanto prevede per quattro anni consecutivi 15 milioni di entrate: a riprova del fatto che i parcheggi non diminuiranno». Una tassa, riprende Maderni, «dannosa per l'economia, che si basa su un concetto ingiusto e discriminatorio, ancor di più per il controprogetto».

Le va a ruota la relatrice del rapporto di maggioranza Roberta Soldati (Udc): «Riteniamo che sia inefficace, poiché seppur non formalmente ancora entrata in vigore, nel periodo 2016-2020 ‘de facto’ essa ha già trovato applicazione perché ritenuto incerto l'esito della decisione del Tribunale federale e per evitare di dover recuperare l'importo pregresso, le aziende hanno cominciato a fatturare la tassa già dal 2016 al proprio personale».

In più, riprende Soldati, si tratta di «una tassa incostituzionale, perché il Tribunale federale ha precisato che la tassa può essere considerata conforme alla Costituzione unicamente se raggiunge gli obiettivi prefissati: obiettivi mai resi noti dal Consiglio di Stato». E, va da sé, «in questi anni i parcheggi e il traffico non sono affatto diminuiti». Passando alla questione economica, non di poco conto, i 15 milioni di franchi di proventi previsti «significano che nei prossimi anni non è prevista una rilevante diminuzione di parcheggi, e il controprogetto elaborato dal governo senza fornire alcuna motivazione sostanziale propone di esentare i centri commerciali, mentre fino a poche settimane fa essi erano additati come ‘fastidiosi generatori di traffico’». E quindi? «Quindi aboliamola, le abitudini aziendali vanno cambiate senza nuove tasse».

Di tutt'altro avviso la relatrice del rapporto di minoranza Samantha Bourgoin (Verdi), che lancia il secondo leitmotiv di giornata. Da un lato evitare una tassa, dall'altro i contrari a difendere «la democrazia diretta». Già. Perché per Bourgoin «già lascia perplessi la volontà di eliminare una tassa mai entrata in vigore, poi è sconcertante impedire ai cittadini di fare questa scelta personalmente. Ci pare di cattivo gusto che a farsi beffa dei diritti popolari sia quell'Udc che ha lanciato l'iniziativa e si fregia di essere paladina del rispetto dei diritti popolari salvo calpestarli miseramente quando lo ritiene più conveniente». Secondo Bourgoin, «accettando il controprogetto si permetterebbe al popolo di esprimesi su iniziativa, controprogetto e per l'eventuale abolizione. Tocca a lui eliminare, correggere o mantenere quanto deciso nel 2016». La tassa di collegamento «non è mai stata applicata, le strade sono al collasso, bisogna davvero fare qualcosa per l'ambiente». Il Gran Consiglio la penserà, seppur di misura, diversamente.

A partire dal liberale radicale Omar Terraneo, che con un didascalico intervento sceglie di tenere alla fine le vere opinioni della maggioranza del gruppo: «È una misura sbagliata, non raggiunge gli obiettivi, grava sui residenti già confrontati con spese maggiori con un ulteriore peso di 900/1000 franchi per ogni persona che si reca al lavoro con l'auto». Per il Centro, Claudio Isabella è secco: «Dobbiamo rispondere per il motivo per cui siamo stati eletti: decidere. O prelevare 900/1000 franchi dalle tasche dei lavoratori o lasciarglieli, è questa la decisione da prendere e questo ci hanno chiesto di fare oltre 16mila firmatari». A questo punto Isabella affonda: «Troppo facile gridare allo scandalo quando aumentano i premi di cassa malati, non viene concesso il carovita, diminuiscono i beneficiari Ripam quando poi abbiamo un vero potere decisionale nel permettere alle famiglie di lottare contro il già debole potere d'acquisto e non facciamo un passo verso di loro». Anche perché «è una tassa iniqua e costosa: se un cittadino lavora in un'azienda con 51 posteggi di cui utilizzati solo in parte deve pagare comunque, un altro lavoratore che è in un'azienda con 49 posteggi e tutti pieni non la paga».

Lega e Udc sempre più ‘amici’

È in una strenua difesa dei diritti popolari che il leghista Daniele Caverzasio sguaina la spada e ne ha per tutti: «Non c‘è assolutamente nulla di nuovo rispetto a tutte le altre volte che abbiamo votato in questa materia, tranne una cosa, il vero tema di fond odierno: la volontà popolare. Il popolo va ascoltato a geometria variabile?». Un tema che «ci mette tutti di fronte allo specchio della volontà popolare, che per qualcuno sarà un fastidioso concetto ma noi oggi qui, illustri menti sopraffine, non possiamo permetterci di dire che il popolo non va ascoltato. Siamo qui per decidere? Sì, ma rappresentando il popolo: non sostituendolo». Caverzasio petto in fuori si lancia anche contro l'Udc, traino dell'iniziativa popolare per abrogare questa tassa: «In un'intervista del 2019 il presidente Piero Marchesi disse che voleva consolidare il gruppo in parlamento perché troppo spesso non si prende sul serio la volontà popolare. Che dire Piero... bene, ma non benissimo».

«Non me la prendo con gli amici leghisti perché so che nessuno in quei banchi vuole questa tassa», risponde caustico il capogruppo Udc Sergio Morisoli. Che rincara: «La Lega è da sempre contro tutte le tasse salvo quelle di Zali», per poi aggiungere a chi parla di democrazia diretta che «‘Prima i nostri’ è stata votata dal popolo e mai applicata, la sussidiarietà è stata votata dal popolo e mai applicata, il decreto sul pareggio di bilancio ancora in vigore è stato votato e mai applicato... chi parla di democrazia diretta faccia un passettino indietro e guardi come si sta comportando in questo consesso».

Da sinistra il capogruppo del Ps Ivo Durisch ci prova: «È una legge votata dal popolo, mai entrata in vigore e che ha avuto sistematicamente i paletti tra le ruote. Una messa in discussione che fa riflettere sui principi della democrazia diretta perché la indebolisce». Nel merito, «si tratta di misure per diminuire le auto in circolazione perché il modello basato sull'auto privata, specialmente con una persona sola, per recarsi al lavoro non è più sostenibile». Lo spalleggia il capogruppo dei Verdi Matteo Buzzi: «Le infrastrutture sono al limite del collasso, è ora di finirla col fatalismo per avere un approccio sistemico che incentivi il cambiamento di abitudini della mobilità».

Il pirotecnico Zali finisce con un petardo bagnato in mano

Finito col Gran Consiglio, si comincia col cinema. In tutti i sensi, sia per lo show sia per le citazioni iniziali dei due primi film di Guerre stellari: già, perché con un discorso a metà tra l'intervento e il ‘per fatto personale’ più lungo che l'esperienza del cronista ricordi, il direttore del Dt Claudio Zali spara a zero su tutto e tutti. Con toni ai limiti dell'affronto e parole erudite – chi ha mai sentito il termine “apodittico” pronunciato in Gran Consiglio? – Zali non maschera affatto la sua rabbia. «Scorrendo lo stringato rapporto di maggioranza ho censito quattro pseudo argomentazioni», inizia spargendo incenso. Da qui la contestazione all'inefficacia della tassa: «Si resta nel surreale – ribadisce Zali –. Una legge è in vigore oppure no, questa legge non è mai entrata in vigore. Tra i firmatari del rapporto ci sono cinque avvocati cui chiedo di ampliare i miei orizzonti: cosa vuol dire che ‘de facto’ una legge è in vigore? È una distorsione della realtà. Se qualche ignoto datore di lavoro ha fatto pagare la tassa per cautelarsi siamo anni luce dal dire che la legge è entrata in vigore o è stata applicata». E posto che «la coerenza in politica non è una virtù ma solo un fastidioso fardello», Zali alza il cannone: «In questo rapporto c’è un coacervo di falsità imbarazzanti, scritte in malafede, distorcendo il vero per dire il falso solo perché almeno una paginetta andava scritta. Ed evita di misurarsi con l'unica domanda: perché il Gran Consiglio potrebbe o dovrebbe abrogare una legge del popolo prima che entri in vigore? Non c'è una risposta». E poi non si tiene più: «Mi chiedo se voi siate consapevoli che goccia a goccia, frase avventata per frase avventata, sceneggiata per sceneggiata, si arriva alla metamorfosi di una legislatura che porta alla delegittimazione delle istituzioni portando solo alla disaffezione da parte della popolazione». All'inizio Zali ha parlato dei primi due episodi di Guerre stellari, si diceva. Alla fine si scopre perché: «Il terzo episodio lo possiamo chiamare “I soldatini colpiscono ancora”», accusa rievocando i cosiddetti “soldatini della grande distribuzione” che erano contrari già nel 2015 e 2016 a questa tassa.

Terminando con quanto già riferito, cioè definendo chi ha «orchestrato questo colpo di maggioranza» autore di «una vergogna per la democrazia», e dopo un attacco senza fine riversato a molta parte del Gran Consiglio, il presidente del Legislativo chiede se ci sono repliche. Dieci secondi di gelo, silenzio, imbarazzo. Una mano si alza: quella del presidente del Centro Fiorenzo Dadò: «Non ci sto a farmi dare lezioni da lei, che si è fatto eleggere da un partito il cui organo di stampa mette in Prima pagina il presidente del Tribunale penale cantonale che urina sugli altri giudici». «Altre repliche?», chiede Guerra. Silenzio.

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