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‘Da Mesoraca al Ticino, contro i pregiudizi mostriamo il bello’

La comunità del comune calabro nel nostro cantone conta migliaia di persone. L'impegno di molti è quello di emanciparsi dagli stereotipi sulla criminalità

Il centro storico di Mesoraca
(Fonte: Puroambiente/Wikimedia Commons)
11 novembre 2023
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L’emigrazione in Svizzera, a partire dagli anni 50 del secolo scorso, ha portato molti italiani a trasferirsi in Ticino, dove oggi costituiscono il gruppo di stranieri più numeroso. Uno dei dati più peculiari, al riguardo, è la presenza di una nutrita comunità di persone originarie di un determinato comune della Calabria, Mesoraca: una popolazione che con il passare delle generazioni, si è fatta sempre più nutrita, insediandosi soprattutto in alcuni comuni come Lamone e Cadempino, nonché Bellinzona.

«L’emigrazione da Mesoraca in Ticino ha circa 80 anni di storia – spiega a laRegione Francesco Lombardo, presidente dell’Associazione Mesorachesi in Ticino (Amit) –, parte dagli anni Cinquanta e non si è mai fermata. Considerando che Mesoraca conta circa 5’800 abitanti e in Ticino siamo quasi 6’000, di fatto è come un secondo paese. Ancora oggi vediamo un’emorragia di giovani per gli ovvi motivi che conosciamo, ovvero una situazione occupazionale drammatica nel Meridione che spinge molti a emigrare verso il Nord Italia o la Svizzera».

Quali sono i vostri legami come comunità?

Oggi sicuramente siamo ancora più collegati con i mezzi informatici. Malgrado l’estensione in termini numerici siamo una comunità ancora viva: ci si trova, ci si aiuta, ci sono tante famiglie, c’è un legame sociale. Con l’associazione cerchiamo di mantenere vivo il contatto con le tradizioni popolari, soprattutto per quella che è adesso ormai la terza o anche la quarta generazione di mesorachesi in Ticino. Gran parte di questi sono perfettamente integrati, gente normale che ha sempre cercato di lavorare bene. Certo, sappiamo benissimo, e non ci nascondiamo dietro un dito, che ci sono anche dei problemi di dinamiche mafiose, che peraltro, è bene dirlo, hanno trovato terreno fertile nel mondo degli affari in Svizzera e in Ticino: ogni volta che i media ne parlano è sempre un dolore, ma, senza andare a cercare le eccellenze che si sono distinte nel tempo, ci sono tantissime persone che hanno contribuito onestamente a lavorare, cercando di integrarsi nel tessuto sociale del territorio. A parte qualche episodio, sono la stragrande maggioranza dei mesorachesi ed è di questi che noi vogliamo parlare.

Quali sono le radici della comunità di Mesoraca in Ticino?

Storicamente nasce tutto da quelli che nel dopoguerra sono dovuti partire per non fare la fame: in Ticino c’erano degli imprenditori che cercavano manovalanza. All’inizio sono emigrati piccoli gruppi, poi le relazioni sono continuate visto che chi tornava giù raccontava di aver trovato un lavoro fisso, magari iniziava a poter costruire la casetta al mare, e man mano sono arrivati altri. Ciò che ha aiutato poi sono state le dinamiche tipiche del Sud, il passaparola, l’amicizia, l’aiuto reciproco: la comunità si è sostanzialmente sviluppata così, grazie alla grande solidarietà tra compaesani, partendo da quelli che sono arrivati qui perché hanno osato lasciare tutto per fare il “viaggio della speranza”: allora c’erano ancora la polizia degli stranieri, lo statuto di stagionale, i bambini nascosti, ciò con cui ha dovuto fare i conti la prima generazione di italiani, come mio padre. Erano tempi piuttosto difficili per l’integrazione, poi sono riusciti a farsi voler bene perché hanno lavorato duro, qualcuno ci ha anche rimesso la vita, tanti altri sono riusciti a portarsi avanti, a fare un mutuo per la casa o a costruirsi la casa di vacanza. E questo a sua volta ha portato benefici anche al paese di Mesoraca, perché chi ha la casa e va giù in estate spende dei soldi in paese, c’è chi ha aiutato delle persone, o paga delle imposte.

Quali erano, e quali sono oggi, i rapporti con la vostra terra di origine?

Un elemento importante che ha tenuto legati la comunità mesorachese in Ticino e il paese di Mesoraca è stata per molto tempo la tradizione alimentare e gastronomica: c’è un camion che fa ancora oggi la spola fra Mesoraca e Ponte Tresa. Una volta portava i prodotti del posto, quindi l’olio, i salumi, le olive e così via: un ponte fra le due comunità. Oggi oltre ai prodotti gastronomici porta anche altri beni.

Com’è organizzata oggi la comunità mesorachese in Ticino?

Nel Sopraceneri siamo localizzati soprattutto nel Bellinzonese dove ha sede la nostra associazione che è un po’, diciamo, l’istituzione. Poi ci sono tante piccole realtà: nel Sottoceneri, a Cadempino, il Gruppo Nuovi Eventi organizza varie feste, come la Via Crucis, o la festa “du mmittu” per San Giuseppe, con i prodotti tipici, eventi che muovono migliaia di persone. C’è da dire che purtroppo il Covid ha un po’ “gambizzato” tutto perché per alcuni anni l’associazione si è fermata. Ora siamo ripartiti, e come nuovo comitato vorremmo che non si facessero soltanto gite o mangiate ma che si mostrasse anche in positivo la nostra cultura: per questo abbiamo creato tre commissioni interne, una sociale, una per le imprese, e una, appunto, culturale. Il 29 novembre ad Arbedo avremo la presentazione del libro “Malinverno” di Domenico Dara, un autore che pubblica per Feltrinelli e che ha ricevuto diversi premi importanti. Poi abbiamo una rassegna cinema, quattro serate con altrettante tematiche sull’emigrazione italiana in Svizzera. Oltre agli eventi culturali, con la sezione sociale diamo aiuto e sostegno, ad esempio, a chi continua a emigrare, che sia una giovane coppia che vuole trasferirsi, o qualcuno che cerca lavoro, magari indirizzandoli tramite le nostre conoscenze. Abbiamo poi momenti aggregativi tradizionali, come la panettonata, la cena di Natale o la gita annuale, eventi a cui fa piacere che partecipino anche tanti giovani e anche svizzeri: diverse persone sono curiose, ci dicono di voler andare a Mesoraca a vedere com’è, sono interessate alla nostra realtà. Quello che oggi ci manca, in effetti, è un luogo fisico di aggregazione, dove magari gli anziani possano trovarsi per un caffè e due chiacchiere: per noi è prioritario e stiamo cercando soluzioni in tal senso.

Dicevamo prima che siamo alla terza o quarta generazione di mesorachesi in Ticino: qual è il futuro della vostra comunità?

Oggi le nuove generazioni sono cittadine del mondo: se noi andavamo, e andiamo in estate nella casa al mare in Calabria, loro magari vanno in Grecia, o a Barcellona. È un po’ questa la nostra paura: in molti ormai non hanno più familiari a Mesoraca, e si pone ad esempio il problema di come gestire le proprietà che possiedono. C’è chi ha, per esempio, terreni coltivati a ulivi: ma chi dovrebbe raccogliere le olive se giù non si ha più nessuno? Per questo con associazioni come la nostra cerchiamo di tenere vivi i legami, soprattutto con i mesorachesi in Ticino anche perché, semplicemente, parliamo la stessa lingua rispetto a chi è emigrato altrove. La sfida è coinvolgere i giovani.

I media riportano diverse vicende che coinvolgono persone originarie di Mesoraca. Come vivete questa situazione? Percepite un etichettamento nei confronti della vostra comunità?

Viviamo malissimo queste notizie. L’etichettamento è spesso velato: dietro una battutina c’è questa ferita che ti porti dietro e che sai benissimo di non aver provocato tu, ma un contesto culturale. Ogni volta che cerchi di costruire qualcosa di bello e di carino qui, con questo impatto mediatico devi ricostruire tutto, e purtroppo più si veicola l’immagine che la ’ndrangheta è presente, più si alimentano dicerie: apri un ristorante o costruisci una casa? La gente si chiede “ma questo dove ha preso i soldi?”. Ci sono tanti pregiudizi, alcuni, non nascondiamoci dietro un dito, fondati: è vero che ci sono dei personaggi dai quali bisogna prendere le distanze. C’è chi si rivolge a loro, magari per chiedere un aiuto, ad esempio un prestito, in un momento di bisogno, ma la maggior parte delle persone qui in Ticino non ci vuole avere a che fare. Ogni volta che si parla di queste cose è una ferita che si riapre, per il danno all’immagine della comunità e perché si getta discredito e sospetto su persone che hanno sempre lavorato onestamente contribuendo al benessere sociale, culturale ed economico del Canton Ticino: non c’è strada, palazzo, ponte o altro che non sia stato costruito dai mesorachesi.

Come agite per contrastare questi pregiudizi?

Noi vogliamo lavorare unicamente in positivo, mostrando quello che di bello abbiamo, e farci conoscere meglio. Auspichiamo che anche il ticinese riconosca certi valori che noi abbiamo portato qui: il valore della famiglia, del rispetto dell’anziano, una dimensione umana che qui a mio modo di vedere si va perdendo. Devo dire che abbiamo trovato in Ticino tante persone generose e accoglienti che comprendono l’importanza dell’emigrazione per l’economia, la socialità, la cultura. Poi c’è da dire che una buona parte di mesorachesi si definisce “ammazza-padrone”, nel senso che il mesorachese è molto imprenditore di sé stesso, quindi sono nate piccole e grandi ditte in vari settori, dalle costruzioni alla ristorazione, che di fatto danno anche “da mangiare” agli autoctoni. È una comunità dinamica e creativa».

La voce da Mesoraca

‘C’è sempre il sogno di tornare, qualcuno lo fa’

«Abbiamo buoni legami con la folta comunità di mesorachesi in Ticino, rapporti sporadici a causa della distanza ma costanti – commenta a laRegione il sindaco di Mesoraca Annibale Parise –; io stesso sono stato in visita istituzionale a marzo incontrando i sindaci di Bellinzona, Lamone e Cadempino, e partecipando agli eventi delle associazioni che cercano di mantenere in vita, anche se a distanza, quei valori e quelle radici che pur da lontano non si staccano mai da Mesoraca. Molti dei nostri compaesani hanno qui case di vacanza e proprietà e tornano regolarmente, soprattutto per le ferie estive».

C’è qualcuno che a un certo punto decide di tornare?

Diciamo che nella maggior parte dei casi, quando si parte per venire in Svizzera, è come se nel cassetto si lasciasse sempre il sogno di tornare un giorno, c’è sempre la sensazione di dover tornare a casa. C’è chi lo fa davvero: certamente molti scelgono di restare in Svizzera anche per legami familiari, perché magari nel frattempo sono arrivati figli e nipoti, ma sempre più frequentemente qualcuno decide di tornare, soprattutto persone giunte all’età della pensione. Non sono tantissimi, ma per fortuna ci sono».

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