Ticino

Ex funzionario Dss, in Gran Consiglio la parola fine. Per ora

Il parlamento discute e approva il rapporto commissionale che inoltra al governo le raccomandazioni contenute nell'audit esterno. Tra sei mesi le misure

In sintesi:
  • De Rosa: ‘Qualcosa è già stato fatto, sappiamo di dover fare di più’
  • Le direttive del Consiglio di Stato porteranno a successivi atti parlamentari 
L’ultimo capitolo. Per ora
(Ti-Press)
19 settembre 2023
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La parola fine – per ora – sulla vicenda dell'ex funzionario del Dipartimento sanità e socialità condannato in via definitiva per coazione sessuale e violenza carnale l'ha posta il Gran Consiglio poco dopo le 18 di oggi, al termine di una seduta fiume che dall'analisi e il voto del rapporto della Commissione parlamentare della gestione si è trasformata, in alcuni tratti, in una gazzarra che non ha reso molto onore né all'importanza del tema trattato, né al luogo in cui si era. Tant’è.

Con un solo voto contrario (Tamara Merlo, Più donne) e due astensioni (i deputati dell'Mps), il parlamento ha dato via libera alle raccomandazioni sulla politica del personale e sulla prevenzione delle molestie e degli abusi formulate dall'audit esterno assegnato allo studio legale ginevrino ‘Troillet Meier Raetzo’, e fatte proprie dalla Gestione. Per l'Amministrazione cantonale, quindi, si va da un miglioramento delle direttive al rafforzamento del sistema di segnalazione, dai corsi di formazione per i dirigenti alla conoscenza di cosa sia una molestia, dai briefing coi nuovi capi quando ci sono passaggi di consegne alle valutazioni periodiche che devono essere parte integrante del dossier personale di un dipendente. Il Consiglio di Stato ha sei mesi di tempo per recepire le indicazioni e trasformarle in direttive. Alla Gestione, in seguito, il compito eventuale di preparare gli atti parlamentari necessari. Un voto quasi unanime si diceva, ma dove la tensione è stata palpabile per tutte le quasi quattro ore di dibattito.

Dadò: ‘Una gestione del caso eufemisticamente dilettantesca’

«Noi siamo politici, il mio sarà un intervento politico e solo in minima parte tecnico», è l’esordio del correlatore e deputato del Centro Fiorenzo Dadò, perché «oggi mettiamo la parola fine a questa triste vicenda ed è importante venga detto tutto quanto è giusto dire e ribadire». Dadò comincia col rimarcare che «dopo quanto accertato condanniamo senza remore che questo losco personaggio abbia potuto lavorare e pontificare come un guru indisturbato per anni nell’Amministrazione, a contatto con i nostri giovani, senza bloccarlo». E a risultare «del tutto incomprensibile» è che «dopo i segnali di allarme, nonostante i ripetuti scompensi caratteriali e le evidenti molestie denunciate da minorenni, gli sia stata affidata una stagiaire senza poter accertare chi vada ringraziato per questo».

Insomma, per Dadò «la gestione eufemisticamente dilettantesca di questo caso, con dossier incompleti, rapporti mancanti, segnalazioni cadute nel vuoto, è un capitolo nebuloso della storia recente di questo cantone, ed è dovere di questo parlamento porgere scuse ufficiali a nome delle istituzioni a coloro che hanno subito un torto. Cerchiamo di supplire a questa vergogna istituzionale, e le scuse sono solo un primo atto concreto contro l’omertà che ha caratterizzato e caratterizza la nostra società: pensiamo a questo caso, alla Chiesa, alla Rsi, Unitas, istituti, scuole…».

Il presidente del Centro critica anche il Consiglio di Stato, reo di «non aver ordinato in maniera responsabile e da subito un’inchiesta, affidandola a un organo indipendente evitando anni di insistenze e polemiche». E adesso? Adesso «occorre una riforma degna di questo nome, con la Sezione delle risorse umane che diventi un organo indipendente alla pari del Consiglio di Stato. Permetterebbe una maggiore imparzialità gestionale e l’obbligo di assumersi le responsabilità: si renderebbe possibile un’azione immediata e autonoma laddove necessario».

Guerra: ‘Troppe differenze tra il rapporto governativo e l'audit esterno’

Non ha invece avuto «nulla di politico» l'intervento del presidente della Commissione della gestione e correlatore del rapporto Michele Guerra (Lega). «In tutta questa storia, a ogni momento rilevante o punto di svolta, le cose sono andate in modo strano. Molto strano». Quello che non ha funzionato «è qualcosa di profondamente centrale all'interno dell'amministrazione, ovvero l'individuazione dei problemi e la loro risoluzione». Guerra ha poi ricordato le differenze tra l'audit esterno e il rapporto (precedente) del Consiglio di Stato. «Chiedo oggi, qui, al governo, come mai alcune cose non si siano sapute in modo chiaro e inequivocabile prima». Una domanda ripresa anche dal correlatore Paolo Pamini (Udc): «Rimango ancora allibito dal fatto che addirittura il governo non sia stato in grado, solo due anni fa, di scoprire quello che l'audit ha poi portato alla luce». Pamini ha poi spiegato: «Nel 2004 l'allora capoufficio responsabile dell'ex funzionario aveva fatto le segnalazioni fino alla direttrice del Dss Patrizia Pesenti. Le persone della linea di comando hanno quindi avuto tra le mani un rapporto, che oggi tra l'altro non esiste più. Questo è strano. Ci sono le tracce che venne modificato, ma non c’è più il documento. E le responsabilità politiche sono chiaramente delineabili all'interno di un'area politica ben precisa».

Sirica: ‘Bisogna cambiare, serve costruire un futuro migliore’

A intervenire non come tecnico, né come (solo) politico ma «come uomo» è Fabrizio Sirica, correlatore e deputato del Ps. Che comincia da una lunga serie di dovute domande: «Come è stato possibile che un funzionario condannato per coazione sessuale abbia concluso la sua carriera nello Stato senza neanche una sanzione? Che abbia continuato a lavorare nel Cantone nonostante una valutazione che ha concluso mancasse il rapporto di fiducia, che dopo l’ascolto di due ragazze che dicevano che ci provava con tutte non sia stata aperta nessuna inchiesta, che gli sia stata assegnata una stagiaire, che la reazione al palpeggiamento della stagiaire sia stato allontanare lei…». Domande che portano a risposte amare, «col pesante, pesantissimo dubbio dell’omertà e che ci fosse una copertura di queste nefandezze. Tutto ciò è stato possibile perché si sono susseguiti errori, gravi, e impreparazione della struttura statale».

Oggi, riprende Sirica, «possiamo dire che è stato un errore non prevedere alcuna formazione specifica dei funzionari dirigenti, una pesantissima sottovalutazione nel non percepire come grido d’allarme due ragazze che dicono che un funzionario “ci prova con tutte”». Rilevati gli errori però, per Sirica, «colpevolizzare chi li ha commessi serve solo se questo si inserisce in un contesto costruttivo, creando un ambiente senza giudizio o pregiudizio, migliorando per andare verso un futuro che riconosce gli errori del passato e implementare un miglioramento». Come? «Lottando contro l’omertà, dotandoci di una prassi per la gestione sistematica e strutturale delle segnalazioni».

Ferrara: ‘Giusto preferire un audit esterno’

«Eravamo preoccupati di sapere se qualcuno voleva coprire uno stupratore. L'audit ci dice che questo non è successo. Il compito di questo lavoro non era quello di rifare il processo, ma stabilire se e cosa non ha funzionato all'interno dell'Amministrazione cantonale». Per Natalia Ferrara (Plr), correlatrice del rapporto, «è stata una scelta azzeccata mettere al lavoro i professionisti invece dei politici, preferendo un audit esterno alla commissione parlamentare d'inchiesta. Il documento – prosegue – ci ricorda la differenza tra reati penali ed errori. Ovvero, tra sapere che succede qualcosa e metterci un coperchio oppure non aprire il vaso di Pandora e scoprire che l'ex funzionario aveva atteggiamenti che non avrebbe dovuto tenere».

Secondo la correlatrice dei Verdi Samantha Bourgoin «il primo passo per scongiurare gli abusi è parlarne. Senza, però, cadere nella spettacolarizzazione. Ricordiamoci che l'eco mediatica e politica avuta da questa vicenda non ha favorito le vittime, sono state infatti delle attenuanti in sede di processo». Per Bourgoin «non dobbiamo illuderci di poter impedire che certi fatti avvengano, ma mettere in campo tutti gli strumenti per scoraggiarli e individuarli».

Il dibattito

Nel dibattito che segue, gli interventi dei gruppi, è la socialista Mattea David ad allargare il compasso e affermare che «il problema non è solo qui dentro, ma è importante che il sistema cambi: c’è un modus operandi radicato nella società che permette a un individuo di molestare e abusare una persona, comportamenti figli della società che abbiamo costruito con stereotipi di genere, superiorità di un sesso sull’altro e con battute che normalizzano le violenze. Derubricare e banalizzando si colpevolizza una vittima, isolandola».

Dopo un attacco frontale al Ps di Tuto Rossi (Udc), poiché l’ex funzionario era socialista (come lo stesso Rossi, ricorda a tutti in seguito il deputato Mps Giuseppe Sergi), il dibattito torna su toni più civili e consoni all'aula in cui ci si trova con Amalia Mirante (Avanti con Ticino&Lavoro), che ritiene «fondamentale che il governo agisca subito, perché l’Amministrazione abbia una gestione del personale all’avanguardia e funga da esempio per il territorio». A ruota, Roberto Ostinelli (HelvEthica) chiede che si istituisca «un ufficio competente indipendente che permetta la collezione delle segnalazioni anonime di abusi e per supportare e prevenire la degenerazione del mobbing e delle molestie».

Tamara Merlo (Più donne) cita le recenti vicende che hanno colpito la Curia per dire che «c’è ancora tempo per tirare fuori le carte, dell’inchiesta amministrativa e dell’audit, salvaguardando le vittime. Ma solo le vittime, altrimenti è il solito sepolcro imbiancato e il silenzio fa il gioco di chi abusa».

Per Giuseppe Sergi (Mps), «si sottovalutano ancora i fenomeni alla base dei fatti, cioè la predominanza di una cultura sessista e di un clima di lavoro che non riconosce i comportamenti inadeguati e li banalizza». Massimo Mobiglia (Pvl) concorda con la socialista David e ribadisce che «questo è solo il primo millimetro di un chilometro che deve essere percorso, finché non ci sarà un vero cambio culturale non ci sarà un cambio concreto».

De Rosa: ‘Qualcosa è già stato fatto, sappiamo che bisogna fare di più’

Il presidente del Consiglio di Stato Raffaele De Rosa rammenta che «all'interno dell'audit vengono ricordate le disfunzioni dell'Amministrazione cantonale, ma anche i miglioramenti messi in campo negli anni. Sono state introdotte direttive, è stato sviluppato un codice di comportamento e rafforzato il gruppo ‘Stop molestie’. Sappiamo però che va fatto ancora di più». Per quanto riguarda le raccomandazioni contenute all'interno dell'audit, «verranno sviluppate in maniera approfondita e tra cinque o sei mesi saremo in grado di dare indicazioni più dettagliate e precise». Sui dubbi sollevati da Guerra e Pamini, De Rosa risponde: «Quanto messo in atto dal parlamento (l'audit, ndr) è stato uno strumento estremamente potente. Ci si è affidati a uno studio competente in materia, con possibilità e mezzi maggiori rispetto a quelli nelle mani del cancelliere dello Stato. Anche per noi ci sono stati quindi elementi emersi solo in un secondo momento».

LE TAPPE DELLA VICENDA

Era il tardo pomeriggio di mercoledì 29 gennaio 2019 quando, con la condanna in primo grado dell'ex funzionario del Dss per coazione sessuale, il giudice Marco Villa accese la miccia che ha fatto detonare il dibattito pubblico e politico su questa incresciosa vicenda che ha visto delle giovani ragazze subire molestie sessuali. Leggendo il dispositivo e commentandolo oralmente, Villa porse alle vittime «le scuse a nome dello Stato. Queste giovani donne non sono state accompagnate nel loro percorso di rivelazione, e non è stato chiesto consiglio a chi avrebbe potuto fornirlo». Il riferimento è a quando una delle vittime, ai tempi stagista, denunciò i comportamenti dell'ex funzionario senza che i suoi superiori prendessero provvedimenti.

Passano quasi due anni di climax continuo e si arriva al calor bianco. Sempre a Lugano, dove causa Covid si riuniva il Gran Consiglio, sempre di tardo pomeriggio. Dopo un dibattito ad altissima tensione, alle 16.49 i pallini colorati del tabellone vedono ribaltato quanto tutti si aspettavano: l'istituzione della Commissione parlamentare d'inchiesta su quanto avvenuto nell'Amministrazione cantonale in merito a questo a caso. 37 sì, 38 no, 8 astenuti. Arrivò il video dell'esultanza di alcuni rappresentanti del Plr che non ritenevano la Cpi lo strumento giusto per fare chiarezza, con la conseguente reazione veemente del Centro (allora Ppd) e del suo presidente Fiorenzo Dadò.

Il quale, però, il giorno dopo era già pronto al rilancio. Con una mozione e un'intervista a ‘laRegione’, Dadò chiedeva – per meglio capire come nell'Amministrazione cantonale, nella scuola e nelle aziende pubbliche si agisce in caso di abusi e molestie – "l'istituzione di un audit esterno indipendente che operi una valutazione generale delle direttive e prassi attualmente in vigore, e offra eventuali proposte di adeguamento per rafforzare la tutela delle persone da abusi e molestie".

La mozione di Dadò comincia il suo iter parlamentare, ma pochi mesi dopo viene posta una pietra angolare sullo sviluppo della storia. La fissa la Corte di appello e di revisione penale, che in secondo grado porta la condanna all'ex funzionario del Dss a 18 mesi (in primo grado la pena è stata di 120 aliquote giornaliere di 60 franchi sospese). E, soprattutto, oltre alla coazione sessuale, la Corte ritenne l'ex funzionario colpevole anche di violenza carnale.

L'audit esterno, infine, diventa un audit dai poteri accresciuti assegnato dal Gran Consiglio, approvando la richiesta della Commissione della gestione, allo studio legale ginevrino ‘Troillet Meier Raetzo’ che ha portato al rapporto impietoso presentato alla stampa il 21 marzo e discusso oggi dal parlamento.

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