Ticino

Violenza ostetrica: tante le storie, pochi ancora i dati

Lanciato il primo questionario online sul mondo delle nascite in Ticino. Per capire cosa funziona e cosa invece va migliorato

Il progetto punta a trasformare le storie in numeri, per poter capire cosa funziona e cosa no
(T-Press)
11 marzo 2023
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Si chiama ‘Mamma. Nascita. Libertà.’ ed è il primo questionario online (consultabile andando sul sito: www.studiolidea.com/mnl) che si rivolge alle madri per capire come si nasce oggi in Ticino. Lo scopo del progetto è quello offrire alle donne uno spazio libero e protetto per potersi raccontare. Ma non solo. Altro obiettivo infatti è quello di raccogliere dati, restituendo così una diapositiva, il più accurata possibile, della situazione.

Perché a volte capita di essere madri e di sentirsi sole, abbandonate, inadatte, inascoltate. Capita negli attimi che precedono la nascita. Capita in sala parto, fra le doglie e i camici azzurri. Capita nei giorni a seguire quando, in quel groviglio di stati d’animo che spaziano dall’euforia alla stanchezza, fa largo anche un senso di malessere o malinconia. Capita in mezzo alla folla nel momento in cui il neonato piange e, pur di non disturbare la quiete altrui, ci si isola, quasi a volersi nascondere. Capita a molte e con tutti gli attori che ruotano attorno a madre e bambino: sia il proprio partner, la famiglia, l’ostetrica, il personale ospedaliero. Capita, anche se tutte le situazioni sopra citate non dovrebbero mai accadere. Eppure sicuramente molti, leggendo queste poche righe, avranno una parente, amica, collega o conoscente che queste situazioni le ha vissute. E sicuramente, fra le nostre lettrici, c’è chi tali fatti li ha sperimentati sulla propria pelle. Storie di disagio e di dolore che però devono ancora essere tradotte in numeri. A quante donne è successo? E quanto spesso succede nel nostro Cantone? Domande che cadono nel vuoto, ma un progetto si prefigge di cambiare le cose.

Il dettaglio del progetto

Ma c’è un progetto, si diceva. «Negli anni, fra genitori, ci sono stati diversi quanto intensi scambi di esperienze, ed è emersa la volontà di unirci e usare la nostra voce –, racconta Angela Notari, ideatrice dell’iniziativa che, come sottolinea, parte dal basso –. Si tratta di voci, storie, opinioni e vissuti personali che, se racchiuse insieme, possono fornire preziose informazioni generali, e gettare così le basi per contribuire a migliorare il sistema». Un’ottantina circa le domande che toccano a 360 gradi il mondo del parto, cercando di essere il più esaustivi possibile, senza esclusioni e senza ‘conflitti’ fra i vari metodi che vi sono per venire alla luce. «Ci tengo a precisare che l’intento non è quello di puntare il dito contro una specifica struttura o tipologia di parto. Non vogliamo demonizzare, vogliamo capire e avere la possibilità di intervenire qualora ce ne fosse bisogno», afferma Notari.

Il questionario non si appoggia ad alcun attore legato alla nascita o in ambito medico o sanitario e, per una questione legata al campionamento dei dati, si è scelto di limitare le risposte a chi ha partorito in Ticino tra il 2018 e il 2023. Il termine ultimo per rispondere alle domande è fissato a settembre 2023.

Nato da un dramma, battezzato nel nome di un ideale

A spingere il gruppo di mamme e papà a unirsi è stato quanto successo lo scorso gennaio all’Ospedale Petrini di Roma, dove un bimbo è morto soffocato dall’abbraccio della mamma che si era appisolata. La notizia rimbalzò un po’ ovunque, anche in Ticino, e la vicina stampa italiana in un primo momento puntò il dito contro la pratica del rooming, ovvero la possibilità per la neo mamma di avere il bimbo nella propria stanza 24 ore su 24 e occuparsene fin da subito. Qualche giorno più tardi però venne fuori che la donna aveva più volte implorato il personale ospedaliero di aiutarla nella cura del bebè, ma tale richiesta rimase inascoltata.

Il nome del progetto invece è un richiamo al grido "Donna, Vita, Libertà", un tributo alle donne che in questi mesi, in Iran, stanno chiedendo una società migliore.

‘Parliamone apertamente’

Sono duemila circa le nascite in Ticino ogni anno. Di queste, facendo qualche ricerca, si può ricavare il sesso dei nascituri, l’età delle loro mamme, il modo in cui sono venuti al mondo ma non il come. Anche gerghi come violenza ostetrica, bonding (il contatto pelle a pelle tra madre e figlio che avviene nei primissimi istanti di vita), baby blues e depressione post-parto, sono termini ancora poco masticati. E pure parlarne serve. Ne sono un prova Marija Paganini e Christelle Pagnamenta che durante la presentazione del progetto, venerdì alla Casa del Popolo a Bellinzona, hanno parlato delle proprie storie. La prima, ticinese ma residente a Coira che sui social racconta la sua vita ed esperienza da mamma: «Una volta raccontai della violenza ostetrica che subii quando nacque mia figlia da parte del personale ospedaliero. Fu un’esperienza umiliante e dolorosa. Ricevetti in risposta centinaia e centinaia di messaggi da donne che avevano vissuto situazioni simili alla mia. Ne fui molto toccata ed è per questo che mi sono fatta avanti per questa iniziativa. È ora che queste cose siano ben visibili e che non restino chiuse in una chat».

Ma come capita ciò che non va, capita a volte di avere anche dei risvolti positivi, come il caso di Pagnamenta, giornalista e madre di tre figli, tutti avuti con parto cesareo: «La prima esperienza non fu piacevole perché non ho potuto vivere la mia primogenita. Dopo il parto mi è subito stata tolta e riportata due ore dopo lavata e già vestita. Non ho potuto né vederla né toccarla nei suoi primi momenti di vita e questo mi ha creato forte disagio. La seconda volta che sono rimasta incinta ho deciso di parlarne, sia con mio marito che con il personale della struttura, dove ho deciso di ritornare e... hanno accolto la mia richiesta. È stata tutta un’altra cosa». Un lieto fine che si è rivelato ancora più dolce perché dalla confidenza di Pagnamenta la struttura ospedaliera ha adottato il bonding come prassi anche nei casi di cesareo per tutte le partorienti: «Non dobbiamo vergognarci, bisogna parlarne, solo così potrà davvero cambiare qualcosa».

 

 

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