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‘Nelle carceri la prevenzione del suicidio è un punto critico’

Lo segnalano gli operatori alla commissione parlamentare che sorveglia le condizioni di detenzione. ‘C’è un problema di comunicazione’.

La media giornaliera dei detenuti è di 213 unità
(Ti-Press)
10 marzo 2023
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La prevenzione del suicidio all’interno delle strutture carcerarie cantonali (Ssc) presenta delle criticità. È quanto hanno segnalato gli operatori alla commissione del Gran Consiglio che vigila sulle condizioni di detenzione. La preoccupazione emerge dal rapporto dell’attività della commissione presieduta da Lara Filippini (Udc) nel periodo compreso tra il giugno 2022 e il marzo 2023, che verrà discusso la settimana prossima dal parlamento. "Seppur siano stati messi in atto molti accorgimenti – si legge nel documento redatto dalla deputata democentrista –, si ritiene che la prevenzione del suicidio non debba essere soltanto di competenza delle Ssc e del servizio medico, ma di tutte le istanze coinvolte".

Tra queste vengono citati giudici e tribunali, il ministero pubblico e i procuratori pubblici. "Si reputa infatti che vi sia un problema nel dare determinate comunicazioni, ad esempio sulla carcerazione preventiva".

Un rischio di suicidio, si legge nel rapporto, che va a toccare soprattutto le persone maggiormente fragili, "le quali potrebbero essere indotte ad avere uno scompenso psichico tale da portarle a compiere il gesto estremo".

‘La società carceraria è sempre più complessa’

Un tema che ha tenuto impegnata la commissione ‘carceri’ è anche quello della presa a carico e della gestione di detenuti che necessitano di misure terapeutiche. "Il servizio medico – afferma il rapporto – non si riduce a trattare problemi fisici, ma tratta anche l’ambito psicologico e psichiatrico". Inoltre: "È innegabile che la società, anche carceraria, diventa sempre più complicata. Ciò rende difficile gestire i casi psicologici e psichiatrici. Il problema è la mancanza e l’inadeguatezza delle strutture ticinesi". E la situazione attuale è ritenuta "insoddisfacente, malgrado gli sforzi profusi. Un colloquio settimanale (se va bene) non è sufficiente". Viene inoltre segnalato che "il programma delle persone in esecuzione di misure terapeutiche non può essere il medesimo di chi sta scontando la pena in carcere". I deputati ricordano che alcune misure sono infatti state revocate dal giudice dei provvedimenti coercitivi per assenza di un’istituzione adeguata. "Un campanello d’allarme che, auspichiamo, venga colto e che possa trovare una soluzione in tempi brevi". La commissione che vigila sulle condizioni di detenzione ha infatti sottoscritto – insieme ai colleghi della ‘giustizia e diritti’ – la mozione ‘Per un’adeguata presa in carico delle persone sottoposte a misure terapeutiche stazionarie’.

‘Serve una terza cella securizzata all’Ospedale sociopsichiatrico’

Gli addetti ai lavori hanno inoltre segnalato alla commissione la necessità di una terza camera securizzata all’Ospedale sociopsichiatrico cantonale (Osc) di Mendrisio. "Per rispondere alla necessità è attualmente in corso un intenso dialogo tra Polizia cantonale, direttore dell’Osc e servizio medico delle strutture carcerarie. Si vuole trovare una soluzione sia dal punto di vista logistico che gestionale, che preveda anche un adeguato spazio per fruire dell’ora d’aria". Sempre per quanto riguarda la sfera intima dei detenuti, un altro punto arrivato all’attenzione della commissione è quello relativo alla fede religiosa e alla possibilità di avere contatti con un confessore. Una lettera di un detenuto ha infatti segnalato che la presenza del pastore evangelico fosse molto inferiore rispetto alla figura di altre confessioni. "Appurato che la scarsa presenza fosse da ricondurre a problemi personali e di salute del Pastore" affermano Filippini e cofirmatari del rapporto, "abbiamo scritto al Dipartimento delle istituzioni affinché si possa instaurare un dialogo con i referenti delle differenti religioni e che, in caso di assenza, possano essere sostituiti da qualcuno. Auspichiamo quindi che vi sia un cambiamento in tal senso".

Il parto in cella e l’urgenza di una sezione femminile

La commissione ricorda anche che, durante l’ultimo periodo di attività, una detenuta ha partorito. Un caso che ha avuto risonanza a livello nazionale. "Che nascano bambini da carcerate non è una novità, ma che partoriscano in cella, come in questo caso, ha suscitato diversi interrogativi". In ogni caso, si legge nel rapporto, "è stato appurato che tutto è andato per il verso giusto". La commissione si è però chinata nuovamente sul tema, visto che il servizio infermieristico (attivo in quel momento) non è disponibile 24 ore su 24. L’episodio ha fatto tornare d’attualità l’urgenza di portare a termine il progetto per una sezione femminile del carcere, che si basa sulle "regole di Bangkok, le quali pongono l’accento proprio sulla problematica delle detenute in gravidanza, e quindi della loro gestione in maniera ottimale presso le strutture carcerarie".

Un progetto che, annota il documento redatto da Filippini, "seppure sia previsto, ancora non ha dato i suoi frutti. Il messaggio governativo per il credito di 800-900mila franchi (i quali sarebbero assorbiti in gran parte dal fatto che non bisognerebbe più pagare celle oltre Gottardo) non è ancora stato presentato".

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