Ticino

‘Vogliamo salari, pensioni e tempo per vivere bene’

A distanza di 4 anni dallo sciopero nazionale femminista che ha portato in piazza mezzo milione di persone, il 14 giugno le donne tornano a manifestare

(Ti-Press)
8 marzo 2023
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«Quattro anni fa speravamo finalmente di uscire dal solco di questo sistema ingiusto e iniquo, ma non è avvenuto. Le donne continuano a lavorare in settori a basso salario, a essere discriminate e fortemente penalizzate nella vita privata e in quella pubblica, a svolgere gratuitamente un lavoro di riproduzione non remunerato di cui beneficia l’intera società. E anche dopo la pandemia, con una crisi nefasta che ci aveva fatto credere in un cambiamento, sono tornate nell’invisibilità a fare quello che facevano prima». Sono parole di delusione quelle espresse da Chiara Landi, sindacalista Unia, nel valutare le conseguenze del grande sciopero nazionale delle donne del 14 giugno 2019. Ma anche di combattivo rilancio: «La situazione è inaccettabile e proprio per questo il Congresso delle donne dell’Unione sindacale svizzera (Uss) ha deciso che il 2023 sarebbe stato un altro anno di mobilitazione», ha dichiarato Landi nella conferenza stampa indetta simbolicamente l’8 marzo per presentare il nuovo sciopero delle donne in agenda il prossimo 14 giugno.

«Quello del 2019 ha rappresentato il punto di partenza di un grande lavoro che è stato fatto a livello sindacale ma anche e soprattutto a livello del movimento femminista – ha affermato Landi –. Vi avevamo riposto tante aspettative, vista anche la partecipazione di mezzo milione di persone, e credevamo davvero che la pressione delle piazze potesse finalmente portare a una svolta, ma purtroppo ci siamo dovute ricredere. I progressi che chiedevamo non sono arrivati, anzi ci troviamo oggi di fronte anche a dei regressi. Un esempio su tutti è la riforma Avs21 che rappresenta una cocente sconfitta per noi donne e per tutta la società».

Le rivendicazioni sindacali

Come quattro anni fa, il 14 giugno nei vari posti di lavoro saranno portate dalle diverse federazioni sindacali varie rivendicazioni calibrate in base ai settori e alle aziende. «Come Unia – ha spiegato Landi – incentreremo la nostra campagna sotto le parole d’ordine "rispetto, più tempo, più salario"». La lotta sarà dunque per l’aumento dei salari femminili, con «nessuno sotto i 4’500 franchi»; per l’aumento delle pensioni, con l’introduzione della tredicesima mensilità Avs e lotta «anche con lo strumento referendario alla riforma Lpp21 intesa a smantellare il secondo pilastro». Ma pure per la riduzione del tempo di lavoro a parità di salario e la tolleranza zero verso sessismo e molestie sessuali sui luoghi di lavoro.

In rappresentanza del sindacato Vpod – che opera a tutela della sanità, del sociale, dell’istruzione e dell’infanzia: ambiti in cui è preponderante la presenza di lavoratrici – Giulia Petralli ha evidenziato che ad esempio negli asili nido alcuni passi avanti sono stati fatti con l’introduzione del Contratto collettivo di lavoro (Ccl) nel 2022 che ha permesso di aumentare degli stipendi che in certi casi erano indegni. «Ma il decreto Morisoli rischia di bloccare la normale progressione salariale annuale già a partire dall’anno prossimo, un esempio che mostra che a subire la politica dei tagli della destra saranno sempre e soprattutto le donne». Tra le richieste specifiche della Vpod, oltre alla progressione regolare e all’aumento dei salari, il rafforzamento delle misure di conciliazione famiglia-lavoro, con servizi facilmente accessibili anche dal profilo finanziario.

Per il Sindacato svizzero dei media (Ssm) ha preso la parola Renata Barella: «Anche il nostro focus principale è sulla parità salariale che è lungi dall’essere raggiunta, nonostante siano stati introdotti i dialoghi tra partner sociali». Barella ha anche sottolineato come ad esempio «alla Srf le colleghe si trovano confrontate con mobbing, sessismo e abuso di potere. Sono problematiche e non sono casi isolati, e si tratta di un vero e proprio fenomeno strutturale e sistemico nel mondo dei media». La promessa è di battersi «affinché tutte le persone colpite da sessismo e molestie possano farsi giustizia e vivere una vita lavorativa serena».

Adria Croci Maspoli, di Syndicom, ha posto l’accento sul fatto che nel settore delle telecomunicazioni «devono essere fatti maggiori passi in avanti per quanto riguarda i diritti ai congedi o le diminuzioni temporanee della percentuale di impiego dopo il parto». Ma interventi servono anche nel settore dei media «dove manca un Ccl addirittura dal 2004 e le donne giornaliste oltre a essere sottorappresentate nei ruoli dirigenziali e nei quadri intermedi, sono sempre più spesso a centro di discriminazione e campagne di odio online».

Dal canto suo Veronica Galster del Sindacato del personale dei trasporti pubblici (Sev) ha evidenziato che quello dei trasporti è un settore ancora prevalentemente maschile – le donne sono il 10% – ma che «le cose potrebbero cambiare visto che la generazione dei baby boomer andrà presto in pensione e le aziende si ritroveranno di fronte alla sfida di dover rioccupare numerosi posti vacanti». Le rivendicazioni del Sev si inseriscono in questo contesto: «La qualità di vita di chi lavora nei trasporti pubblici dipende moltissimo dalla pianificazione dei turni di lavoro. Negli ultimi anni abbiamo assistito sempre più spesso all’applicazione del minimo indispensabile in termini legali. C’è dunque ancora un buon margine di miglioramento».

Per un femminismo intersezionale, inclusivo e di lotta di classe

La giornata del 14 giugno, oltre che per reclamare a gran voce la parità di diritti nel mondo del lavoro, sarà anche una mobilitazione sociale, come ha evidenziato Lisa Boscolo, membra del neonato collettivo di sciopero ticinese che si occuperà di organizzare la manifestazione di piazza. «Il movimento femminista sorto dallo sciopero storico del 2019 non si è mai veramente fermato e non ha mai smesso di collaborare in rete per arrivare a raggiungere la parità effettiva. Abbiamo vinto diverse battaglie ma abbiamo ancora molto da fare in favore di un femminismo intersezionale, inclusivo e di lotta di classe. Per questo ci siamo riorganizzate e riattivate». Del ricostituito collettivo fanno ora parte: Coordinamento donne della sinistra, Vpod, Unia, Giovani verdi, Ps, Pop, Mps, Faft+, piùdonne, Giso, syndicom, Ssm, Ocst, Sisa, io l’8, Sev, Pc, AvaEva, Gioventù comunista, e tante altre individualità senza etichetta.

In aggiunta alle rivendicazioni elencate, nel manifesto adottato lo scorso 4 marzo dalle assise nazionali dello sciopero femminista a Friborgo ci sono: misure sistemiche per combattere le violenze di genere; congedo parentale di almeno un anno per persona e per bambino; abolizione del sistema di assicurazione sanitaria privata e la presa a carico della salute sessuale e riproduttiva; Piano nazionale di lotta e di risorse contro le discriminazioni razziste, xenofobe, queerfobiche, abiliste e grossofobiche; asilo femminista e permessi di soggiorno; Piano nazionale e misure per il clima; inserimento del femminismo intersezionale nella formazione e nell’educazione; diritto all’aborto libero e gratuito sancito dalla Costituzione.

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