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Di mutande, radar e toghe

Elezioni cantonali, secondo dibattito in vista del 2 aprile. Gobbi (Lega), Bourgoin (Verdi) e Rigamonti (Plr) su riforme, permessi, sicurezza...

(Ti-Press)

Direttore Gobbi, come mai tanta fretta nel portare a casa la revisione totale della legge su alberghi e ristoranti, la Lear? Una mossa elettorale, per concludere entro la fine di questa legislatura e sfruttare il risultato?

Norman Gobbi: Alla prima domanda rispondo che occorreva e occorre migliorare e liberalizzare la legge. Alla seconda che non ho mai visto nessuno vincere le elezioni con la Lear. Peraltro sono oggi pochi i gerenti, essendo la maggior parte cittadini di nazionalità straniera, che votano, e pochi hanno preso parte attiva alla consultazione. Come Dipartimento istituzioni abbiamo lavorato in particolare con i partner istituzionali. Già quattro anni fa avevamo proposto dei correttivi puntuali alla Lear, poi arenatisi davanti alla proposta commissionale di abolire addirittura la legge e i suoi obblighi per i gerenti. Ora il nostro lavoro come Consiglio di Stato è stato fatto. Il messaggio definitivo, frutto anche della consultazione, è stato licenziato e qualche giorno fa la commissione parlamentare Costituzione e leggi ha dato il suo ok a questa riforma. Confido nell’approvazione pure del plenum del Gran Consiglio, nella sessione che si aprirà il 13 marzo. Ne beneficerà il nostro turismo già quest’anno.

Samantha Bourgoin: Se una consultazione limitata a due settimane in piena campagna non è una mossa elettorale, allora quantomeno bisogna dire che non si tratta di un gesto molto gentile verso gli addetti ai lavori…

Andrea Rigamonti: Si tratta in effetti di scadenze piuttosto inusuali, anche se per una volta una tempistica veloce e una politica decisionista non sono di per sé un male.

Gobbi: Purtroppo siamo arrivati un po’ lunghi pur di svolgere un lavoro ampio di concertazione a monte. Gli ultimi dati sui pernottamenti e le molte segnalazioni dall’economia e dai Comuni – si pensi alla questione dei tavoli all’aperto emersa durante la pandemia – segnalavano la necessità di fornire soluzioni adeguate e flessibili.

Ha fatto discutere l’abbassamento da 18 a 16 anni dell’età minima per l’ingresso in discoteca, poi stralciato.

Bourgoin: Ritengo che l’abbassamento rifletta una concezione dei sedicenni solo come clientela aggiuntiva, senza considerarne le esigenze di socializzazione, che non possono essere subordinate a logiche puramente commerciali.

Gobbi: Abbiamo volutamente posto la misura in consultazione pur avendo già preavvisi negativi – ad esempio quello del medico cantonale circa la protezione della salute – per capire come muoverci, visto che da una parte si chiede di dare il diritto di voto ai sedicenni, ma poi si applicano certi divieti. In ogni caso, dai report che ci arrivano dai vari carnevali a preoccuparci sono semmai i dodici-tredicenni in giro soli di notte, cosa che desta forti preoccupazioni circa la loro rete famigliare.

Siete favorevoli alla realizzazione in Ticino di un corpo di polizia unico?

Rigamonti: Difficile rispondere ‘sì’ o ‘no’. La questione dell’efficienza è molto importante ed evidentemente ci sono margini di miglioramento. La politica deve dunque dare risposte tramite modifiche al sistema attuale, ma senza perdere di vista l’importanza della prossimità segnalatami anche da molti agenti.

Gobbi: Dal punto di vista del processo politico, l’unificazione della polizia richiederebbe un lavoro immenso. Come Dipartimento abbiamo dunque privilegiato un miglior coordinamento soprattutto delle risorse, perché oggi la soddisfazione circa la sicurezza pubblica è elevata – superiore a una dozzina d’anni fa – ma dobbiamo tenere d’occhio le risorse finanziarie utilizzate da Cantone e Comuni, ottimizzando anche la riorganizzazione delle strutture e la valorizzazione delle singole competenze. È poi importante che proprio le polizie comunali diano seguito al principio della prossimità, perché troppo spesso le vediamo impegnate più sull’interventistica che sulla cura del territorio, mentre la prevenzione inizia proprio da lì.

Bourgoin: Partendo proprio dalla prossimità occorre chiedersi se il modello di polizia unica possa essere adeguato. La popolazione può sentirsi protetta o avvertire un senso di insicurezza a seconda di come ci si pone, secondo percezioni anche soggettive, ma che dipendono molto dal fatto di conoscere l’agente locale. Quanto alla vicinanza, se mi si concede una battuta, è bello sentire che la polizia ha a cuore gli aspetti preventivi, invece dell’accanimento come quello che vediamo quando si parla di permessi di soggiorno.

A questo proposito, Gobbi, la Sezione della popolazione è stata più volte bacchettata – in primis dai tribunali – per la politica restrittiva sui permessi, da lei già descritta come "chiara scelta politica". La valutazione del ‘centro d’interessi’ è dovuta cambiare, eppure si direbbe che la polizia continui a controllare le mutande nei cassetti, come abbiamo riportato di recente. Si punta all’integrazione e alla sicurezza o si gioca al gatto col topo?

Gobbi: I controlli non avvengono sistematicamente, ma solo quando ci sono elementi che ci fanno seriamente dubitare che l’interessato non soggiorni regolarmente sul nostro territorio. Poi è vero che il mondo del lavoro è cambiato fortemente, quindi anche il concetto di centro d’interessi va adeguato. La giurisprudenza però ha dato segnali contrastanti, sollecitando sì questo adeguamento, ma confermando la necessità delle verifiche. L’obiettivo è comunque quello di garantire la legalità, dato che un permesso ‘accende’ anche una serie di diritti che poi diventa più difficile rimettere in discussione. Su questo è stato lo stesso legislativo a chiederci attenzione.

Bourgoin: Ma per il permesso B il centro d’interesse non è più richiesto, e i datori di lavoro hanno detto apertamente che scoraggiano la richiesta di permessi di residenza per non incappare in procedure proibitive…

Gobbi: Non mi pare che sia così.

Rigamonti: Non perdiamo di vista il fatto che abbiamo bisogno di un aumento demografico, non possiamo permetterci un calo come quello che sta vivendo per esempio il Mendrisiotto, con conseguenze negative sulla locazione delle abitazioni, il gettito fiscale e così via. Non dobbiamo dunque vedere l’ottenimento di un permesso B come fumo negli occhi: ben venga se le persone trovano qui le condizioni quadro adeguate per lavorare, fare impresa, portare la famiglia. A noi il compito-chiave di creare tali condizioni, anche per contrastare il progressivo invecchiamento della popolazione.

Gobbi: Negli ultimi due anni abbiamo comunque visto una risalita degli indicatori demografici. Solo di ucraini ne sono arrivati tremila, l’1% della popolazione, e secondo me – faccio una considerazione politica – sono arrivati per non andarsene più. D’altra parte, per la prima volta questo Paese vive tre tipi di immigrazione: quella ‘normale’ agevolata dall’accordo di libera circolazione, con permessi B in aumento; i flussi migratori dall’Africa e dall’Asia, con una politica d’accoglienza non sempre facile; gli ucraini e le persone provenienti da altri territori in difficoltà come i Balcani e la zona terremotata tra Turchia e Siria. La gestione di tutti questi flussi non è scontata, personalmente cerco un equilibrio tra la sostenibilità – anche a livello abitativo ed ecologico – cara ai Verdi e l’interesse economico enfatizzato dai Liberali.

Bourgoin: Però non si può avere sostenibilità ambientale senza quella sociale ed economica, occorre sempre ponderare questi fattori.

Passalia e Dadò (Centro) chiedono al governo se non si stia esagerando coi controlli di velocità per ‘far cassetta’, con buona pace di Giuliano Bignasca che sui radar metteva la taglia. C’è un effettivo accanimento?

Rigamonti: Le leggi ci sono e vanno rispettate, ma in Ticino è in atto un controllo eccessivo. È capitato anche a me d’imbattermi in controlli senza senso, evidentemente privi di utilità preventiva e concepiti per far cassetta. Secondo me, una volta messi a bilancio i venti milioni di franchi attesi da questo tipo di sanzioni, in un modo o nell’altro il Cantone punta a raggiungere l’obiettivo economico con scarse considerazioni di sicurezza. Sarebbe meglio svolgere un’attività di sensibilizzazione e prevenzione diversa, concentrata in luoghi sensibili e ben demarcata. Nel comune di cui sono vicesindaco (Vacallo, ndr) noi mettiamo zero franchi a preventivo per questi controlli, dando un chiaro messaggio politico.

Bourgoin: Concordo sull’importanza di puntare su misure di aiuto al cittadino nell’adozione di comportamenti responsabili. Da questo punto di vista potremmo mettere zero franchi a preventivo e puntare su cartelli informativi e radar amici. Se l’obiettivo fosse veramente quello di sensibilizzare, è chiaro che non si punterebbe su altri tipi di misure.

Gobbi: Comunque 4/5 dei controlli radar sono fatti in autonomia dalle polizie comunali. Abbiamo chiesto loro un maggior coordinamento per evitare la percezione di eccessivo controllo.

Le norme federali di Via Sicura sarebbero da modificare?

Bourgoin: La legge ha aspetti positivi, ma in certi casi è eccessivamente poliziesca.

Rigamonti: Anch’io penso che debba essere rivista, è giusto sensibilizzare ma il modello è eccessivo, con pene edittali, quelle previste dalla legge, sproporzionate.

Gobbi: Il problema è proprio quello, la mancanza di margine di manovra per il giudice rispetto alle singole infrazioni, cosa che non succede invece per altri tipi di reati, incluse le molestie su fanciulli.

Gobbi, la Polizia cantonale è stata coinvolta nella demolizione del Molino. Si rimprovera qualcosa? E come pensa di impegnarsi per il futuro dell’autogestione in Ticino?

Gobbi: È stata un’operazione decisa dal Municipio di Lugano, nell’ambito della quale la Polizia cantonale è stata messa a disposizione secondo quanto previsto dalla Legge sulla polizia. Il tema dell’autogestione rimane, ma come Consiglio di Stato abbiamo deciso in maniera molto trasversale, anche col collega Manuele Bertoli (direttore del Dipartimento educazione cultura e sport, ndr), di rimanere molto prudenti notando che si tratta di una ‘patata bollente’ – mi si passi il termine – di competenza delle città, secondo il principio della prossimità delle istituzioni locali rispetto ad attività culturali alternative.

Però il granconsigliere e municipale Udc di Lugano Tiziano Galeazzi insiste sulla necessità di un impegno cantonale.

Gobbi: Abbiamo voluto le città più grandi anche grazie alle aggregazioni? Siano allora in grado di gestire questo problema sociale e culturale.

Bourgoin: Credo che l’autogestione sia un arricchimento nella ricerca di nuove vie di comunicazione. Sta alle autorità comunali trovare nuovi sbocchi in favore delle attività aggregative dei giovani, senza passare da interventi polizieschi.

L’impressione, tuttavia, è che Cantone e Comuni cerchino di scaricarsi la ‘peppa tencia’.

Rigamonti: Impressione corretta, ma anch’io parto dal presupposto che l’autogestione – alla quale sono sicuramente favorevole – parta dal basso e dunque debba trovare nel Comune un primo partner istituzionale. Fondamentale è un dialogo che negli anni è venuto un po’ a mancare.

Bourgoin: Un dialogo che passa anche da quello che si decide a livello di piano regolatore, in particolare nella destinazione d’uso di strutture vecchie che si potrebbero benissimo assegnare all’autogestione in attesa della loro dismissione.

Gobbi: Succede a Zurigo, dove gli immobili in attesa di ristrutturazione occupati da squatter vengono lasciati loro finché non inizia il cantiere. Per me è un vilipendio della proprietà privata e dell’ordine pubblico.

Bourgoin: Però si possono creare semplicemente nuove destinazioni d’uso intermedie, invece di tenere stabili fatiscenti vuoti per quindici anni.

Gobbi: Ma rispetto alla realtà zurighese, a Lugano il problema è il conflitto interno agli autogestiti, tra chi vuole lo scontro e chi il dialogo per realizzare qualcosa di costruttivo.

Un’opera incompiuta del Dipartimento è il progetto ‘Giustizia 2018’. Avete forse sbagliato approccio con la magistratura nel portare avanti la riforma dell’apparato giudiziario ticinese?

Gobbi: Penso ci sia stata un po’ di ingenuità da parte mia nel pensare che quando si tratta di utilizzare bene le risorse e migliorare le cose ci fosse un interesse di tutti, anche a costo di abbandonare la propria zona di comfort. Fin dall’inizio ho cercato di mirare all’efficienza, ma questo comporta una rimessa in discussione che a volte è faticosa. L’obiettivo ora è lavorare il più possibile con interlocutori come il Consiglio della magistratura per trovare soluzioni più innovative e rapide.

A fronte dei prospettati ulteriori cambiamenti normativi, al Ministero pubblico ticinese potrebbero servire nuovi rinforzi. Che avrebbero ovviamente un costo. Però Plr e Lega hanno sostenuto il decreto Morisoli che blocca le nuove spese. Come se ne esce?

Rigamonti: Se parliamo dell’autorità di perseguimento penale, il problema negli ultimi dieci anni è stata la creazione di una filiera produttiva a imbuto, potenziando molto il corpo di polizia, che produce una massa di rapporti e indagini che però poi si fermano al Ministero pubblico, rafforzato solo con qualche cerottino.

Gobbi: Beh, gli effettivi in Procura sono aumentati di un quinto anche di fronte alla riduzione dei reati commessi…

Rigamonti: Comunque a fronte di un notevole aumento dei contenziosi, e lo stesso vale per il Tribunale penale cantonale. Aumenta la mole di lavoro, ma non vi si risponde in modo omogeneo, e di questo la responsabilità è dell’onorevole Gobbi.

Troppe guardie, poche toghe?

Gobbi: Senza il lavoro della Polizia giudiziaria si possono avere anche cento procuratori, ma è questa polizia che poi ne agevola il lavoro. D’altra parte, di recente il Parlamento federale ha accolto la compartecipazione delle parti agli interrogatori, che finirà per complicare e castrare il procedimento penale, permettendo agli avvocati di istruire i clienti alla luce delle dichiarazioni altrui.

Bourgoin: Credo che si possano aumentare i procuratori, ma è importante anche facilitare il processo di lavoro: il fatto che la giustizia operi ancora tutta su faldoni cartacei suona come una barzelletta. Mi pare che si fatichi a fare il grande salto verso la digitalizzazione, adeguando non solo l’organico, ma anche i profili professionali di supporto. È un passo che facilita anche le questioni logistiche e l’esercizio dei propri diritti.

Rigamonti: La politica non ha neanche saputo intervenire per attribuire funzioni ai segretari giudiziari. Allo stesso tempo la logistica è rimasta indietro, con sistemazioni indegne d’una giustizia celere e confacente ai suoi compiti. ‘Giustizia 2018’ è stata un flop e occorre ripartire da basi più solide, con un po’ di coraggio.

Quindi ora che si fa?

Gobbi: Si tratta anche di capire come cambiare lo statuto della magistratura, eventualmente andando, per quanto riguarda la Procura, verso la creazione di alti funzionari e la nomina da parte del Gran Consiglio della sola Direzione del Ministero pubblico. Con quest’ultima che assume poi i magistrati inquirenti quali, appunto, alti funzionari.

Rigamonti: Ma anche questo comporta dei costi. Bisognerà scegliere e bloccare ad esempio l’aumento degli effettivi in polizia per riequilibrare la filiera.

Bourgoin: Questo non solo nel penale, per evitare che il servizio diventi un disservizio. Si pensi alle difficoltà con l’Ufficio fallimenti.

Gobbi: Risorse aggiuntive alla magistratura – procuratori, vicecancellieri, segretari giudiziari, un giudice del Tribunale penale cantonale in più e un giudice dei provvedimenti coercitivi in più – sono state assicurate. D’altra parte facciamo i conti con alcuni ritardi da recuperare, ad esempio per quanto riguarda la Pretura penale, per i quali si sta comunque pensando a dei rimedi puntuali. Si punta anche a creare centri di competenza, superando servizi più ‘distrettuali’, piccoli e dunque più fragili.

Bourgoin: Uscendo dal penale, molto lavoro viene anche da ‘bisticci’ che potrebbero essere risolti o semplificati istituzionalizzando figure di mediatori.

Un cantiere che si trascina da molto, troppo tempo è ‘Ticino 2020’, la nuova ripartizione di compiti e costi fra Cantone e Comuni. Quando uscirete dal tunnel? E quanto si è speso?

Gobbi: Premetto che il cantiere è del Governo, non del Dipartimento. Comunque: rimettersi in discussione è spesso difficile, stiamo arrivando ora a un rapporto il cui risultato si discosta un po’ dall’obiettivo di chiarire più nettamente la logica del ‘chi decide paga e chi paga comanda’. Molti paletti e vincoli finanziari ci hanno allontanato dall’obiettivo ideale, ma si va comunque verso una maggiore e più responsabilizzante trasparenza dei flussi finanziari, anche rispetto ai Comuni che beneficiano della perequazione fiscale.

Rigamonti: Oltre ai costi, attorno ai 12 milioni di franchi se non erro, si è iniziato nel 2015 e nel 2023 non è ancora arrivato nulla, col Comitato che a novembre/dicembre annuncia una consultazione che però slitterà a dopo le elezioni. È l’ennesimo flop, peccato: da amministratore locale nutrivo grandi aspettative. Anche in questo caso i progetti si sciolgono come neve al sole.

Gobbi: Anch’io sono deluso per risultato e tempistiche, ma questo fa parte del processo di condivisione coi colleghi di governo e con le varie istanze coinvolte.

Bourgoin: Una buona dose di frustrazione credo sia data dal fatto che il budget lasciato alla discrezione comunale si ferma al 20/40% del totale, a seconda del singolo comune. Se in più non sono ben chiare le competenze e c’è un veto a qualsiasi cambiamento degli equilibri finanziari, difficile essere coraggiosi. Incoraggianti, d’altronde, paiono i risultati di progetti pilota come quello sul buon governo a Faido, che potrebbero tornare utili anche a livello superiore.

Gobbi: Sui costi dobbiamo però essere in chiaro. Per questo contesto le cifre fornite da Rigamonti. Nel 2015 non sono state registrate spese. Ebbene, in sette anni, dal primo gennaio 2016 al 31 dicembre 2022, i costi totali ammontano a 2,8 milioni di franchi. E sono ripartiti tra Cantone e Comuni: metà e metà.

Al Dipartimento spetta anche l’integrazione degli stranieri. Nel Mediterraneo si registra l’ennesimo naufragio con decine di morti, eppure la Lega continua a sostenere la politica delle porte chiuse e per il Mattino ‘la barca è stracolma’. Che fare?

Gobbi: Il Ticino ha un compito non indifferente data la sua posizione di porta a sud della Confederazione, con molti che passano da qui, ma per spostarsi in altri Paesi dove ritrovano le loro comunità di riferimento. Centri federali e altri servizi danno buona prova di accoglienza, si pensi ai rifugiati ucraini. Se poi l’Europa avesse investito nel supporto a Paesi come Italia, Spagna e Grecia anche solo una parte di quello che ha speso per rifornire di armi l’Ucraina, qualche disastro in meno ci sarebbe stato.

C’è però chi ritiene che quella dei rifugiati sia una corsa a ostacoli. Si può fare di più e di meglio?

Bourgoin: Si può e si deve: la legge lascia un margine di apprezzamento ai Cantoni in particolare rispetto alle decisioni di non entrata in materia, i cosiddetti Nem, per i quali delle eccezioni vanno pur fatte. I permessi speciali per gli ucraini mettono in evidenza un atteggiamento discriminatorio verso altri migranti: anche per loro dovremmo fare di più dal punto di vista umanitario, perché chi arriva è una persona, non un numero.

Rigamonti: La procedura è retta dalla legge federale sull’asilo, con margini limitati per l’autorità cantonale. Vengo dal Mendrisiotto che sicuramente fa già tanto. Ho seguito professionalmente casi molto toccanti, storie incredibili di vita: il Ticino da solo non potrà risolvere la questione migratoria, ma trovo che faccia la sua parte e che in futuro potrà dare ancora molto.

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